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“Perché William Wyler era nero?”: il bianco e noir contemporaneo

di Pietro Ammaturo
  Malcolm & Marie
Data di pubblicazione su web 03/03/2021  

La battuta iniziale, in pieno (straordinario) carrello-piano sequenza, urlata dal protagonista (regista di colore alle prese con la “prima” del suo film, in balia dei critici “bianchi”), diventa snodo (forse già) centrale per Malcolm & Marie, film scritto e diretto da Sam Levinson. Nonostante la ridotta filmografia (tre lungometraggi, una serie tv e due sceneggiature) si può già indicare una sorta di fil rouge che lega tutto il suo lavoro: il disagio. Figlio d’arte, a partire dall’esordio con Another Happy Day (2011), Levinson ha tracciato una precisa linea d’analisi del concetto di famiglia americana contemporanea. Questo senso di forte disagio si concentra soprattutto sui giovani nel successivo Assassination Nation (2018) e nella serie televisiva Euphoria (dal 2019), in cui emerge la figura di una giovane tossicodipendente interpretata dalla ventiquattrenne Zendaya, che torna in questo film (con una interpretazione straordinaria) in un ruolo identico e traslato (forse non solo nel tempo).

Una scena del film
Una scena del film

Salito agli onori della cronaca come il primo film a essere realizzato in epoca Covid-19, risente sicuramente dell’aspetto pandemico, non solo nella produzione, ma anche nei contenuti: i due giovani protagonisti (anche produttori, insieme al regista), Zendaya e John David Washington (figlio del noto Denzel) non sono altro che una “famiglia” alle prese con una esperienza che li ha “congelati”, bloccati in sé stessi, senza nessuno con cui parlare o interagire. Il mondo fuori esiste solo attraverso schermi, silenzi, passwords, monitor. Presto da una banale lite emergeranno mostri interiori di portata catastrofica.

Immerso nella (forse troppo televisiva) fotografia in bianco e nero di Marcell Rév, il film cerca, fin dai titoli di testa, di richiamare qualcosa di nostalgico, uno stile lontano ma allo stesso tempo ancora affascinante, cucendo addosso ai protagonisti e ai luoghi che abitano uno strano alone di misticismo, enfatizzato dalle riprese in 35 mm. La scelta della pellicola, così come il bianco e nero, e la ricerca esasperata dell’inquadratura hanno spaccato la critica su due fronti: da un lato i cinefili puri, che applaudono alla mano del regista, alla sceneggiatura che omaggia il melodramma classico di Douglas Sirk, degli attori pulsanti; dall’altra i detrattori di un certo cinema per pochi, troppo egocentrico, spinto fino all’eccesso sui dialoghi e le inquadrature fisse, che porta il tutto verso un “nulla” definitivo e (banalmente) classicissimo.

Una scena del film
Una scena del film

E se fosse così? Se il vero punctum, per dirla con Barthes, fosse tutto in quel lungo piano sequenza iniziale? È certo che Levinson lavora su diverse percezioni spettatoriali, moltiplicando le interpretazioni proprio per l’enorme duttilità della sua opera. Se in superficie si legge la critica (sempliciotta) al razzismo e alla possibilità di essere accettati dall’establishment dello spettacolo contemporaneo, c’è in profondità un discorso meta-cinematografico ben più complesso. Non solo nelle citazioni continue: Malle e Wyler nella sceneggiatura, le calze della Loren di Ieri, oggi e domani (1963), il montaggio godardiano di Fino all’ultimo respiro (1960); ma nello stesso rapporto burrascoso che si genera tra gli attori, che sono essi stessi metafora della costruzione “travagliata” di un’opera cinematografica. A rafforzare quel senso di amalgama tensiva tra melodramma e crisi c’è anche la colonna sonora, con brani inediti di Labrinth ed editi che spaziano dal jazz al soul (calma vs potenza).

Il senso di profondo smarrimento (ci sono echi del Wim Wenders di Ritorno alla vita, 2015) è forte, soprattutto per alcune scelte registiche eccessive (il gioco di specchi nel finale, semplicemente realizzato quasi a dire “guardate quanto sono bravo”) che potrebbero far pensare a Levinson come portatore sano di cultura cinematografica verso un genere che potremmo etichettare noir melodrammatico. Genialità o furbizia?



Malcolm & Marie
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Malcolm & Marie
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