Una scena del film
Nel
comune di Ro Ferrarese gli ex farmacisti Nino interpretato da un Pozzetto più
convincente che no in un genere per lui inedito e “la Rina” interpretata
dalla Sandrelli che nonostante i pochi minuti sullo schermo riesce comunque a incidere
devono fare i conti con la fine della loro coppia, formatasi più di
sessantanni fa. La morte della donna trascina luomo in uno stato dapprima
catatonico e poi di progressiva accettazione. Nella sua triste vicenda si
inserisce, quasi per caso, laspirante romanziere Amicangelo (nomen
omen) un Gifuni purtroppo molto limitato dalla sceneggiatura e dal contesto
in cui si muove, quasi ingabbiato in certe dinamiche narrative incaricato
dalla figlia del vedovo di raccogliere le memorie del padre, in un percorso che
si rivelerà per lui catartico. Proprio sullasse dei due personaggi maschili si
regge buona parte del film, che oscilla tra sogno, memoria e presente. Nino,
come il bergmaniano professore de Il posto delle fragole (1957), si
ritroverà catapultato in una dimensione “altra” alla ricerca del perduto, del
non detto, di ciò che è stato e che mai più ritornerà. A restituire sullo
schermo i volti della coppia nel passato ci sono Musella e la Ragonese, forse
un tantino in là con gli anni per interpretare quelli che nella storia sono
pressappoco ventenni.
Una scena del film
Avati
riesce brillantemente a tenere il piede in due scarpe, a mostrare gioventù e
vecchiaia intente a nutrirsi contemporaneamente di morte, di passione e di
nostalgia. Dalla fredda, funerea fotografia della prima parte, a opera dello
storico collaboratore Cesare Bastelli, si passa a tinte più calde nei flashback
“onirici” di Nino. Per non parlare del forte simbolismo che pervade il film,
frutto del genio del maestro del gotico italiano, come la scarpa nera che cade
per sbaglio alla domestica e rende così consapevole del lutto il protagonista. Memorabile
a inizio pellicola, inoltre, lo stacco di montaggio dalla parola “immortale” alla
barella dellambulanza, a precedere la struggente chiamata in sala di
rianimazione. Sul versante della scenografia, “barocca” e tetra, un grande
elogio va a Giuliano Pannuti per la sua ricostruzione di questa Xanadu
in miniatura pullulante di migliaia di cimeli inestimabili. Una pecca da
segnalare è purtroppo la mancata registrazione del suono in presa diretta che
ha come esito alcune incertezze nella sincronia voci-labbra.
Una scena del film
In
una spirale di paura, sofferenza e smarrimento, prende forma limprobabile
dialettica tra la scelta provocatoria di Pozzetto (“ragazzo di campagna” e uomo
di cabaret) e quella di Gifuni (intellettuale di città e uomo di teatro).
Questultimo interpreta un ghost writer divorziato e con uno stile di
vita privo di solidi punti di riferimento che trova non poche difficoltà a
“gestire” una storia così intensa come quella di Nino, lui che non è stato nemmeno
in grado di “gestire” la propria. Questo personaggio potrebbe idealmente rappresentare
lirruzione del contemporaneo in un libro di memorie novecentesche: un
confronto-scontro tra due generazioni e matrimoni diversi. Tra le citazioni da
segnalare sicuramente ci sono quelle a Ingmar Bergman (ancora) e al suo Il
settimo sigillo (1957), proiettato durante un cineforum giovanile; a
Raymond Carver (il romanzo di Amicangelo fa un gioco di parole con il
celebre testo What We Talk About When We Talk About Love, 1981); a Cesare
Pavese, autore della struggente frase che riassume sostanzialmente lopera
di Avati: «Luomo mortale, non ha che questo dimmortale. Il ricordo che porta
e il ricordo che lascia».
Sebbene
risulti generalmente incompiuto, sebbene alcune tappe siano state bruciate
troppo in fretta, sebbene alcuni flashback potessero essere evitati e
sebbene il rapporto tra i due uomini potesse essere approfondito meglio, Lei mi parla ancora riesce comunque, senza pretese velleitarie, a funzionare
come amabile pretesto per muoversi avanti e indietro nella vita e nei ricordi
dello stesso Avati. Se il teatro è più vicino alla vita vera, allhic et nunc, il cinema si presta maggiormente a una vicinanza con limmortalità:
condizione che il regista ci ricorda essere più un punto di partenza che di
arrivo.