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Davide e Golia

di Giuseppe Gario
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Data di pubblicazione su web 26/02/2021  

Grazie all’amico che mi segnala questo passo di Alberto Righetto: «la sentenza che in un certo senso ha messo sullo stesso piano nazismo e comunismo ha diviso gli storici e i politici ma, seppure carente in vari passaggi, ha avuto il merito di rilanciare la questione di una memoria storica condivisa a livello europeo rispetto ai totalitarismi europei già esistenti del Novecento» (R. Righetto, Prefazione a Novecento addio. La risoluzione europea sui totalitarismi: un dibattito, a cura di R. R., Milano, Medusa, 2020). L’amico commenta: «Ben poca cosa credo siano i neo nazisti nostrani anche se sfruttano le nuove tecnologie, al confronto».

Vero, e condiviso, è anche il futuro, europeo e globale. «Una delle principali conseguenze della Rivoluzione Industriale è stata la riduzione del costo e l’aumento della velocità dei trasporti. Le distanze si sono ridotte ad un ritmo stupefacente. Giorno per giorno il mondo sembra diventare sempre più piccolo e società che da millenni si ignoravano praticamente a vicenda si trovano all’improvviso a contatto – o in conflitto». «Nel nostro modo di agire, sia nel campo politico che in quello economico, sia nel settore della organizzazione sanitaria che in quello della strategia militare si impone un nuovo punto di vista. Nel passato l’uomo ha dovuto abbandonare il punto di vista cittadino o regionale per acquisirne uno nazionale. Oggi dobbiamo uniformare noi stessi e la nostra maniera di pensare a un punto di vista globale» (C.M. Cipolla, Uomini, tecniche, economie, Milano, Feltrinelli, 1990, p. 5). Ultima solo in ordine di tempo, la pandemia Covid-19 lo conferma.

Braccia e gambe globali richiedono intelligenza morale e politica globale, e la pandemia Covid-19 ci scuote brutalmente dall’ipnosi di una globalizzazione neoliberista iniqua e scriteriata che svuota la democrazia e le sue istituzioni, ONU inclusa. La pandemia ci chiude, personalmente e socialmente, in anguste e alla lunga asfissianti reti digitali, già pseudo-liberatorie e ora catacombali nella crisi delle istituzioni democratiche prodotta dal populismo diffuso dalle stesse reti e complice della pandemia. «Con Dario Antiseri potremmo dire che il populismo è quella concezione della politica in cui si stabilisce un legame mistico tra ciò che il popolo pensa e spera e ciò che il capo teorizza. Il carattere mistico di tale legame consiste nel fatto che alcuni si ritengono i puri, i migliori, gli eletti e tutto il resto è putridume, marciume; in pratica, una setta con un dogma, una verità inconfutabile, e, nel momento in cui il capo cambia opinione, ecco che fatalmente cambia anche la verità e si assume un nuovo dogma» (F. Felice, Il populismo e i nodi irrisolti della politica, in «Avvenire», “Agorà”, 5 febbraio 2021, p. III, recensione a A. Barbano, Una proposta politica per cambiare l’Italia, Milano, Mondadori, 2021). Xi Jinping Trump Johnson Bolsonaro… e caserecci sprezzatori di mascherine e divieti di assembramento hanno favorito la pandemia ignorando annosi richiami dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della Banca Mondiale alla necessità, più che al dovere, di fronteggiare uniti lo scontato ritorno dell’epidemia dopo quella del 2002-2004 da coronavirus SARS-CoV diffuso in ventisei nazioni.

Il neoliberismo ha bloccato il cammino di intelligenza morale e politica, indicato nel 1962 da Cipolla e avviato nei Trenta Gloriosi: «nel settore dell’organizzazione sanitaria» «oggi dobbiamo uniformare noi stessi e la nostra maniera di pensare ad un punto di vista globale». Della sanità è rimasto globale solo il business. «La grande torta dei vaccini anti-virus. Alle Big Pharma 50 miliardi in un anno» titola l’inchiesta di Matteo Civillini e Gianluca Paolucci su «La Stampa» (7 febbraio 2021, p. 11). Il mercato qui non funziona e, nonostante i finanziamenti pubblici avuti per i vaccini, la «logica delle grandi imprese farmaceutiche è ridurre le spese e mantenere il controllo sulla produzione. Tanto peggio se questo vuol dire che non ci sono vaccini per tutti», spiega Gaëlle Krikorian, esperta di proprietà intellettuale (L’OMC pourrait décider que la propriété intellectuelle ne s’applique pas aux produits Covid-19, in «Le Monde», 11 febbraio 2021, on line). L’Organizzazione Mondiale del Commercio può sospendere i brevetti, ma, ostacolata da Trump, solo ora ha il nuovo presidente, donna e africana (proverbio africano: «fin che i leoni non avranno i loro propri storici, le storie di caccia glorificheranno i cacciatori»).

In UE, scrivono la presidente Ursula von der Leyen e il commissario all’economia Paolo Gentiloni, «abbiamo investito in anticipo 2,7 miliardi di euro, senza contare gli svariati miliardi che l’Europa investe ogni anno per l’ecosistema di ricerca che rende possibili tali successi. Ci aspettiamo dunque che i cittadini europei possano beneficiare di questo investimento europeo». «Era la cosa giusta da fare: restare uniti nella lotta contro il virus, lavorando a livello europeo per contrastare un virus che non conosce confini» (Maxi investimenti, sicurezza, rigidi accordi. Ecco il piano per vaccinare tutta Europa, in «Il Giorno», 7 febbraio 2021, p. 11).

Ma oltre le carenze logistiche e di materie prime per globale impreparazione, i continui ritardi nella consegna contrattata dei vaccini dimostrano che la solidarietà tra ricchi europei non basta finché «la logica delle grandi imprese farmaceutiche è di ridurre le spese e mantenere il controllo sulla produzione. Tanto peggio se questo vuol dire che non ci sono vaccini per tutti» (Krikorian, L’OMC pourrait décider que la propriété intellectuelle, cit.). «Bisogna sperare che i vaccini arrivino in tempo. Ma bisogna chiaramente convenire che in situazioni di crisi sanitaria il segreto dei contratti commerciali tra poteri pubblici e grandi laboratori non ha fondamento e si ritorcerà inevitabilmente contro chi così si crede protetto. Quando la salute di tutti è in gioco non ci sono regole del commercio che tengano» (A. Hatchuel, Secret commercial versus urgence sanitaire, in «Le Monde», 11 febbraio 2021, on line). Quando è in gioco la salute di tutti, il commercio sulla salute degli esseri umani è commercio di esseri umani.

Immunologa, Antonella Viola ci aiuta a capire: «Israele è stato molto rapido a organizzarsi ma conta appena nove milioni di abitanti, meno della Lombardia, e si è assicurato le dosi necessarie di vaccino Pfizer in cambio di un ampio database sugli effetti dell’immunizzazione della popolazione. Non ci sono stati problemi di approvvigionamento come stiamo subendo in Europa. È anche vero che il Regno Unito procede spedito ma non lo prenderei ad esempio perché hanno cambiato i protocolli, fanno sperimentazioni, ritardano la seconda dose, scelta quest’ultima che potrebbe portare alla comparsa di varianti dal momento che con una dose fornisco una quantità di anticorpi neutralizzanti non sufficiente a bloccare il virus. Rischiano dunque di essere facilitate quelle varianti che non sono riconosciute dagli anticorpi somministrati» (Varianti e contagio: perché i Paesi che vaccinano di più restano in lockdown, in «Corriere della sera», 11 febbraio 2021, p. 16).

Ecco perché «in questo mondo sempre più globalizzato circola, anche attraverso la rete, il desiderio di democrazia». «Mai, nei trent’anni successivi alla caduta dei comunismi in Europa, e alle grandi speranze che l’avevano accompagnata, la democrazia nel pianeta è stata così debole. Eppure, in molti paesi, sotto i riflettori dei grandi media o quasi ignorate, si susseguono le manifestazioni di protesta che pure i dimostranti pagano care, con arresti di massa, carriere spezzate, rappresaglie sulle persone e sulle famiglie». «D’altra parte proprio nell’epoca delle reti e nonostante il Covid, si tratta di manifestazioni di piazza, è lo spazio fisico delle strade che viene scelto come teatro dello scontro, è nelle piazze che si dà prova non solo del dissenso, ma soprattutto del coraggio che queste sfide richiedono». «È difficile che Davide batta alla fine Golia, ma sarà bene ricordarci in futuro da che parte sono stati i nostri governanti guardando alle risposte che gli stati democratici soprattutto occidentali e dell’UE danno a volte timidamente nei confronti di questi potenti» (P. Ortoleva, Dalla Turchia all’Egitto: lo strabismo occidentale di fronte ai diritti negati, in «Il secolo XIX», 7 febbraio 2021, on line). In effetti, nella nostra cultura «il Signore non salva per mezzo della spada o della lancia» ed è Davide che batte Golia (I Sam. 17, 44-47).

Davide e Golia si confrontano in uno scontro di intelligenza morale e tecnica, oggi responsabilità anzitutto dell’Europa, matrice delle dittature sovietica e nazifascista e prima del liberalismo che, dopo il crollo sovietico, è mutato in dittatura del mercato cosiddetto libero dove, nel vuoto politico globale, ognuno si fa i fatti suoi e sola regola sono gli affari dominanti fin che dominano. In pandemia ecco il bitcoin, moneta elettronica “fai da te” che esiste acquistandola e cresce di valore a piramide – di Ponzi – se e finché sempre più gente ne è attratta, in un’accelerazione continua. Con al vertice Elon Musk, la piramide bitcoin vola verso il cielo dove una Tesla Y base costerà un bitcoin, se e quando sarà. «Elon Musk è un boss “stregone”. Al fondatore di Tesla è bastato annunciare lunedì 8 febbraio che la sua società ha comprato in gennaio 1,5 miliardi di dollari (1,25 miliardi di euro) di bitcoin, e prevede di accettarli in pagamento delle sue auto elettriche, per far volare il corso della prima criptovaluta. Ha superato i 45.000 dollari, un solo bitcoin basterà ad acquistare una Tesla Y base, quando sarà» (M. Bezat, Elon Musk, “troll” de patron, in «Le Monde», 11 febbraio 2021, on line). Ma, avverte «The Economist», “Today”, «Musk ha forgiato la sua reputazione di David ribelle contro le élite di Detroit e Wall Street. Ora però è un Golia: l’uomo più ricco del mondo che gestisce la più valutata impresa di auto. Interpretare i due ruoli può essere un gioco pericoloso. Lo è ancor più perché Musk è un’icona culturale, perciò più vulnerabile ai cambiamenti dei gusti sociali – che online possono mutare in un istante» (Schumpeter. The cult of an Elon Musk or a Jack Ma has its perks–but also perils, in «The Economist», “Today”, 10 febbraio 2021, on line).

 

Come sempre, bisogna capire. Il bitcoin vola come il «canarino in fondo alla miniera e segnala l’accumulo di grisou prima che a contatto con l’aria esploda». Qui è il denaro regalato dalle banche centrali al mercato dopo la crisi del 2007 e, «troppo abbondante, non sa più dove piazzarsi, incitando gli investitori a precipitarsi su tutto ciò che brilla, mentre aggrava le diseguaglianze tra detentori del capitale e resto della popolazione» (S. Lauer, Bitcoin: le canari au fond de la mine, in «Le Monde», 23 febbraio 2021, on line).

Un grazie particolare, perciò, all’amico che mi ha segnalato (e regalato) Autorité et Bien Commun (Genève, Ad Solem, 2015) scritto nel 1941-1942 da Gaston Fessard, che nella prefazione all’edizione italiana del 1947 fa il punto su una cruciale questione di intelligenza morale e tecnica oggi in sé evidente, anche se stentiamo a capirla: «quali che possano essere l’avvenire e l’esito del conflitto tra comunismo e liberalismo, una cosa è certa: la storia non retrocederà per riportarci ai tempi in cui il Bene comune nazionale di ogni nostro paese si poteva determinare senza esplicito riferimento a quello dell’intera umanità» (p. 227). È la chiave di volta del governo globale, senza il quale Covid-19 sembra più forte di noi, mentre nella crescente, sempre più ingiusta asimmetria tra ricchi e poveri, il frammentato insieme di poteri nazionali a sua volta risponde sempre più con violenza alla legittima, sacrosanta, sempre più forte domanda di giustizia, che nell’UE ha una prima casa comune costruita sulle rovine di due guerre mondiali.

Nella seconda, «in mancanza del preannunciato annientamento, il paese subì ugualmente una scossa emotiva altrettanto violenta, provocata dallo sfollamento, al momento dell’entrata in guerra, di più di un milione e venticinquemila persone, tra donne e bambini. Una parte degli sfollati proveniva dagli slums di Londra, di Liverpool, di Glasgow, di Birmingham, di Manchester, e la gente che, in teoria, conosceva i problemi delle “famiglie difficili”, delle aree depresse, delle “popolazioni arretrate” si trovò, dall’oggi al domani, a contatto diretto e brutale con la realtà». «Il primo bersaglio della gente furono dunque gli sfollati». «Si diceva che, per evitare quell’orrore, i signori avevano chiuso casa e erano andati a stare all’albergo. Allora il paese si fece un grande esame di coscienza, e l’Inghilterra liberale – e non sarà la prima né l’ultima volta durante la guerra – si levò a difesa dei derelitti e la gente cominciò a chiedersi come si fossero potute permettere condizioni di vita tanto miserabili. Buona parte dei consensi che la gente comune, appartenente a ogni partito politico, diede durante e dopo la guerra alla legislazione del benessere, si spiegano appunto con la violenta emozione provata personalmente in quei primi mesi di sfollamento» (L. Thompson, 1940: Londra brucia, Torino, Einaudi, 1968, p. 21). E dalla democrazia è nata la società del benessere.

Oggi come allora «è a partire dal Bene comune universale che il cittadino dovrà cercare di discernere se gli ordini che gli giungono vengono da un’autorità legittima o da un potere illegittimo, per obbedire a quella e resistere a questo» (Fessard, Autorité et Bien Commun, cit., p. 224). In nome di quell’autorità Davide resiste a Golia e cambia la sorte nostra e del mondo.






 
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