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Domani, oggi, ieri

di Giuseppe Mattia
  La vita davanti a sé
Data di pubblicazione su web 08/02/2021  

A diciotto anni di distanza dal suo ultimo lungometraggio (Between Strangers, 2002), il figlio d’arte Edoardo Ponti, secondogenito di Carlo Ponti e Sophia Loren, dirige La vita davanti a sé. Distribuito da Netflix, il film è tratto dall’omonimo romanzo (1975) di Romain Gary, la cui prima trasposizione cinematografica (La vie devant soi, 1977), diretta da Moshé Mizrahi con un’immensa prova attoriale di Simone Signoret, si aggiudicò il Premio Oscar per il Miglior film straniero nel 1978. Co-sceneggiatore insieme a Ugo Chiti (già collaboratore di Francesco Nuti e Matteo Garrone), il regista ginevrino classe 1973 sposta l’ambientazione dalla multietnica Belleville di Parigi al rione Libertà di Bari, confezionando una pellicola in cui tutti i riflettori (soprattutto quelli promozionali) sono puntati sul volto vissuto della madre, portatrice sana di orgoglio, fierezza e fragilità.


Una scena del film

Il film inizia in medias res con un lungo flashback in cui il dodicenne senegalese Momò (Ibrahima Gueye) ripercorre con la memoria un tratto della sua vita che gira intorno alla figura di Madame Rosa (Sophia Loren). Nell’incipit la donna, presentata di spalle, è presa di mira da Momò come una preda nella savana prima di essere bruscamente derubata. Ex prostituta ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, Madame Rosa vive dei risparmi di una vita e sbarca il lunario crescendo e accudendo i figli di altre prostitute. Il suo medico, il dottor Cohen (Renato Carpentieri), la convince a prendere in casa Momò, bisognoso di una severa figura materna. Il ragazzino, immerso nella cruda e spoglia realtà del rione barese, conosce uno spacciatore (Massimiliano Gallo) che lo inserisce nel torbido giro della droga e dei soldi facili. La sua unica speranza di redenzione sta proprio nell’inaspettato rapporto con Madame Rosa, con cui condivide un passato intriso di ingiustizie e di dolore, di emarginazione e di morte.

Costretta in dialoghi un po’ scontati tipicamente televisivi, la Loren riesce tuttavia in una prova più che dignitosa soprattutto nelle scene di sofferenza fisica: il suo personaggio, in preda a continui mancamenti che lo vedono progressivamente assentarsi dalla realtà circostante, provoca nello spettatore un profondo senso di disagio e di sofferenza dinanzi ai suoi occhi vacui, vitrei, soprattutto nella scena del suo primo malore sulla terrazza del palazzo (probabilmente un ammiccamento all’indimenticabile Una giornata particolare di Ettore Scola, 1977). Se la direzione degli attori risulta all’altezza – così come un po’ tutto il comparto tecnico, dalle musiche di Gabriel Yared (collaboratore di Jean-Luc Godard, Robert Altman e Anthony Minghella) ai costumi di Ursula Patzak (collaboratrice di Mario Martone e Giorgio Diritti) – lo stesso non si può dire della regia, anonima e incolore, priva di movimenti o inquadrature coraggiose, troppo patinata e mai “realmente” vera. A proposito delle musiche, è azzeccata la scelta di inserire il brano di Caparezza Io vengo dalla luna, riarrangiato dai Maneskin, simbolo del diverso catapultato in una società ostile.



Una scena del film

La vita davanti a sé ha il merito di porre l’attenzione su tematiche come la religione, la delinquenza giovanile, la convivenza tra minoranze, la malattia, la prostituzione e la vecchiaia. Proprio su quest’ultima sembra che il film spinga maggiormente il pedale. Ma la società tratteggiata (vista dal punto di vista degli anziani) sconta troppi stereotipi: dalle scene di spaccio per le strade all’improbabile percorso di maturazione (non provo di momenti di ribellione) dei ragazzini, dal loro rapporto con i coetanei a quello con gli adulti stessi. A voler chiamare in causa troppe questioni il rischio è sempre quello di compiere letture superficiali. Il cinema italiano di oggi dovrebbe evitare di rifugiarsi nel passato, come fa la Loren nello scantinato del palazzo o come fa Norma Desmond (Gloria Swanson) in Sunset Boulevard (1950) di Wilder davanti ai film della propria giovinezza. Spremere lo spremuto non può che portare a un mero scimmiottamento fine a sé stesso.




La vita davanti a sé
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