A diciotto anni di distanza dal suo ultimo lungometraggio (Between Strangers, 2002), il figlio darte Edoardo Ponti, secondogenito di Carlo Ponti e Sophia Loren, dirige La vita davanti a sé. Distribuito da Netflix, il film è tratto dallomonimo romanzo (1975) di Romain Gary, la cui prima trasposizione cinematografica (La vie devant soi, 1977), diretta da Moshé Mizrahi con unimmensa prova attoriale di Simone Signoret, si aggiudicò il Premio Oscar per il Miglior film straniero nel 1978. Co-sceneggiatore insieme a Ugo Chiti (già collaboratore di Francesco Nuti e Matteo Garrone), il regista ginevrino classe 1973 sposta lambientazione dalla multietnica Belleville di Parigi al rione Libertà di Bari, confezionando una pellicola in cui tutti i riflettori (soprattutto quelli promozionali) sono puntati sul volto vissuto della madre, portatrice sana di orgoglio, fierezza e fragilità. Il
film inizia in medias res con un lungo flashback in cui il dodicenne
senegalese Momò (Ibrahima Gueye) ripercorre con la memoria un tratto
della sua vita che gira intorno alla figura di Madame Rosa (Sophia Loren).
Nellincipit la donna, presentata di
spalle, è presa di mira da Momò come una preda nella savana prima di essere
bruscamente derubata. Ex prostituta ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, Madame
Rosa vive dei risparmi di una vita e sbarca il lunario crescendo e accudendo i
figli di altre prostitute. Il suo medico, il dottor Cohen (Renato
Carpentieri), la convince a prendere in casa Momò, bisognoso di una severa figura
materna. Il ragazzino, immerso nella cruda e spoglia realtà del rione barese,
conosce uno spacciatore (Massimiliano Gallo) che lo inserisce nel torbido
giro della droga e dei soldi facili. La sua unica speranza di redenzione sta proprio
nellinaspettato rapporto con Madame Rosa, con cui condivide un passato intriso
di ingiustizie e di dolore, di emarginazione e di morte.
Costretta
in dialoghi un po scontati tipicamente televisivi, la Loren riesce tuttavia in
una prova più che dignitosa soprattutto nelle scene di sofferenza fisica: il suo
personaggio, in preda a continui mancamenti che lo vedono progressivamente assentarsi
dalla realtà circostante, provoca nello spettatore un profondo senso di disagio
e di sofferenza dinanzi ai suoi occhi vacui, vitrei, soprattutto nella scena del
suo primo malore sulla terrazza del palazzo (probabilmente un ammiccamento allindimenticabile
Una giornata particolare di Ettore Scola, 1977). Se la direzione degli attori risulta allaltezza –
così come un po tutto il comparto tecnico, dalle musiche di Gabriel Yared
(collaboratore di Jean-Luc Godard, Robert Altman e Anthony
Minghella) ai costumi di Ursula Patzak (collaboratrice di Mario
Martone e Giorgio Diritti) – lo stesso non si può dire della regia,
anonima e incolore, priva di movimenti o inquadrature coraggiose, troppo
patinata e mai “realmente” vera. A proposito delle musiche, è azzeccata la
scelta di inserire il brano di Caparezza Io vengo dalla luna, riarrangiato
dai Maneskin, simbolo del
diverso catapultato in una società ostile.
Una scena del film La
vita davanti a sé
ha il merito di porre lattenzione su tematiche come la religione, la
delinquenza giovanile, la convivenza tra minoranze, la malattia, la
prostituzione e la vecchiaia. Proprio su questultima sembra che il film spinga
maggiormente il pedale. Ma la società tratteggiata (vista dal punto di vista
degli anziani) sconta troppi stereotipi: dalle scene di spaccio per le strade
allimprobabile percorso di maturazione (non provo di momenti di ribellione)
dei ragazzini, dal loro rapporto con i coetanei a quello con gli adulti stessi.
A voler chiamare in causa troppe questioni il rischio è sempre quello di
compiere letture superficiali. Il cinema italiano di oggi dovrebbe evitare di
rifugiarsi nel passato, come fa la Loren nello scantinato del palazzo o come fa
Norma Desmond (Gloria Swanson) in Sunset Boulevard (1950) di Wilder
davanti ai film della propria giovinezza. Spremere lo spremuto non può che portare
a un mero scimmiottamento fine a sé stesso.
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