drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Barabba

di Giuseppe Gario
  Barabba
Data di pubblicazione su web 02/02/2021  

Ringrazio l’amico che mi scrive come «rimanga fondamentale non asservirsi alla tecnologia, come ascoltare, capire e agire con decenza sia la chiave di volta del futuro, e la leadership debba distinguersi per la volontà di ascolto… ma anche in questa prospettiva dobbiamo vedercela con la tecnologia, oggi divenuta mediatrice indispensabile per relazionarsi con l’altro e col mondo…». Cita poi Carlo Bordoni: «finisce per diventare essa stessa il mondo, l’uomo chiudendosi in essa, nell’illusione che tutto si completi e si esaurisca nel mezzo tecnologico, divenuto compagno fedele dell’esistenza»; «nel migliore dei casi, l’individuo tecnologizzato non riesce più a rapportarsi con la realtà se non attraverso il mezzo, che diventa il suo interprete, il decifratore e persino la memoria dell’esperienza… Ma non solo: il mondo visto attraverso il mezzo è filtrato e reinterpretato; per così dire, ridotto al linguaggio della macchina, la cui logica consente di comprenderlo secondo regole proprie non modificabili. La rappresentazione del mondo segue l’evoluzione della tecnica, che ne diventa l’unico interprete autorizzato». Per questo «è necessario sgombrare la strada dal miraggio di un’esistenza mediatizzata e re-imparare a conoscere la realtà in maniera diretta» (C. Bordoni, Società digitale, in Il primato delle tecnologie. Guida per una nuova iperumanità, a cura di C. B., Roma, Mimesis, 2020, pp. 217 ss.).

«Carissimo mio, non c’è da stare allegri…», conclude l’amico. Ha ragione. Su «Avvenire», Marco Tarquinio risponde ad alcuni lettori su «diversi punti di vista e quattro gravi distorsioni o totali bufale a proposito delle vicende che hanno portato alla sconfitta elettorale del presidente in carica [degli Stati Uniti] contro il candidato democratico e all’incredibile assalto a Capitol Hill. Una conferma di quanto oneste leadership e un’informazione persino più onesta siano vitali per società e democrazie» (Trump, Biden, quest’America spezzata e qualche seria lezione, utile pure a noi, 17 gennaio 2021, p. 2).

«Lo stile provocatore del 45° presidente degli Stati Uniti ha rimodellato il paesaggio mediatico americano, forzando canali e giornali “tradizionali” a adattarsi e aprendo la via a nuovi attori digitali, capaci di cavalcare la collera dell’elettorato». «L’ecosistema si è spostato: le posizioni di destra sono ora considerate centriste» (E. Zuckerman cit. da S. Cassini, L’info après le choc Trump, in «Le Monde», 19 gennaio 2021, on line]. «Luminare del liberalismo classico, John Stuart Mill difendeva il discorso anche spinto all’eccesso: “L’opinione che i commercianti affamano i poveri […] non va contestata se circola solo sui giornali”, scrisse Mill. Ma queste parole “possono essere punite se dette a una folla eccitata riunita davanti alla casa di un commerciante”. In tal caso, le parole rabbiose non sono solo parole. Trump certo sa quanto siano devoti i suoi seguaci. “Il nostro presidente ci vuole qui”, ha detto uno di loro in Campidoglio. “Noi aspettiamo e prendiamo ordini dal nostro presidente”» (Johnson. The Language of Incitement, in «The Economist», 14-22 gennaio 2021, on line).

«E quando ci si chiede quali situazioni sociali favoriscano in realtà il trionfo di gruppi ispirati dalla coscienza di una missione semi-escatologica e traboccanti di lodi e speranze illimitate, è allora che la lunga storia del millenarismo rivoluzionario medievale può essere di qualche aiuto» (N. Cohn, I fanatici dell’Apocalisse, Milano, Edizioni di Comunità, 1976, pp. 384-385). «Il propheta ai suoi seguaci non offriva semplicemente l’occasione di migliorare la propria sorte e di sfuggire a pressanti angustie; offriva loro anche, e soprattutto, la prospettiva della partecipazione da protagonisti a una missione ordinata da Dio, eccezionale e prodigiosa. Era un sogno che ben presto li stregava. E allora si formava un gruppo del tutto particolare, il prototipo del moderno partito totalitario, spietato e in costante fermento, ossessionato da chimere apocalittiche e assolutamente convinto della propria infallibilità. Esso si sentiva infinitamente al di sopra del resto dell’umanità e respingeva ogni pretesa estranea alla sua presunta missione. E talvolta, benché non sempre, riusciva a imporre il suo volere alla grande massa dei disorientati, degli inquieti, degli spauriti. Una serie di promesse millenaristiche e sconfinate, fatte con convinzione assoluta e profetica a una schiera di uomini sradicati e disperati, in una società le cui strutture tradizionali sono in via di disintegrazione: ecco, a quanto sembra, l’origine di quel fanatismo sotterraneo che costituì una minaccia permanente per la società medievale. Non è fuori posto pensare che quella è pure l’origine dei giganteschi movimenti fanatici che, nella nostra epoca, hanno scosso il mondo» (ivi, pp. 389-390). «Nazismo e comunismo, malgrado le evidenti differenze, hanno entrambi la loro fonte in una tradizione apocalittica molto antica» (ivi, p. 383).

Come i nazisti la radio, il cinema e le schede perforate gestite da sistemi precursori del computer, i neo-nazisti sfruttano le nuove tecnologie, Internet incluso (E. Black, L’IBM e l’Olocausto, Milano, Rizzoli, 2001; The Post-War Anglo-American Far Right. A Special Relationship of Hate, a cura di P. Jackson e A. Shekhovstov, London, Palgrave Macmillan 2014; M. Caiani-L. Parenti, European and American Extreme Right Groups and the Internet, Burlington, Taylor & Francis Ltd, 2013). E voci anche autorevoli obiettano ai GAFA se oscurano Trump quando passa il segno. Bisogna «ripensare il ruolo dello Stato e della società civile per proteggere economia e cittadini dagli eccessi del capitalismo. Se vantava i meriti della distruzione creatrice, l’economista Joseph Schumpeter (1883-1950) era pessimista sul futuro capitalista: anticipava la scomparsa delle piccole e medie imprese a opera delle multinazionali, la scomparsa dell’imprenditore e il trionfo della burocrazia e degli interessi acquisiti» (M. Nasi, Le capitalisme en crise d’identité, in «Le Monde», 14 gennaio 2021, on line, recensione a P. Aghion-C. Antonin-S. Bunel, Le pouvoir de la destruction créatrice, Paris, Odile Jacob, 2021).

Come scrisse Ludwig Dehio nel 1948, «nella fugace spanna di tempo, che può esserci concessa, la storia come una predica, ora di penitenza ed ora di edificazione, può preparare il cambiamento interno dell’individuo, che solo promette l’instaurazione di un’esistenza ragionevole. La storia politica, pensata fino al fondo e penetrante fino al fondo, rimanda alla cellula primordiale di tutta la storia, all’uomo» (Equilibrio o egemonia. Considerazioni sopra un problema fondamentale della storia politica moderna, Bologna, il Mulino, 1988, p. 249). Che ancora oggi può votare per Barabba.


Barabba. A Londra, all’alba di Brexit, il commentatore di Channel4 osservò che da Barabba in poi i referendum mentono. «Nei giorni finali dei colloqui commerciali, l’atteggiamento dei britannici verso l’UE è mutato in modo significativo dal 2016». «Preferirebbero nessuna Brexit» (Britain is heading for a hard Brexit. Voters now prefer none at all, in «The Economist-Today», 7 dicembre 2020, on line).

«La questione politica è che la persona è al contempo indipendente e parte di una collettività, con regole e autorità. Una risposta a questo enigma va individuata oltre la banalità di più concorrenza e competitività, in cui soggetti isolati non si assumono alcuna responsabilità e la collettività è immune alle loro proteste» (W. Davis, The Limits of Neoliberalism. Authority, Sovereignty and the Logic of Competition, New York, SAGE, 2014, p. 201). «È nell’ormai classico saggio di Böhm Privatgesellschaft und Marktwirtschaft (“ORDO”, XVII, 1966, pp. 75-151) che troviamo la legittimazione teorica più pienamente sviluppata e originale della “preferenza costituzionale” per l’ordine della competizione. L’autore attacca il pregiudizio dei giuristi secondo il quale nella legge l’individuo è direttamente a confronto con lo Stato. E dimostra che la Rivoluzione Francese, lungi dall’aver emancipato l’individuo dalla società, di fatto l’ha abbandonato alla società». «Chiarisce che cosa intende per “private law society”: “Una società della legge privata non è in alcun modo una mera vicinanza di individui sconnessi, ma una moltitudine di esseri umani soggetti a un ordine unitario (‘ineinhaitlichen Ordnung’) e, in verità, un ordine della legge (‘Rechtordnung’)”». 

«Questo ordine della legge privata non stabilisce semplicemente regole cui sono ugualmente soggetti tutti i membri della società quando concludono tra loro un contratto, acquistano beni e titoli l’uno dall’altro, cooperano o scambiano servizi, e così via. Soprattutto, conferisce a tutti coloro che sono sotto la sua giurisdizione la davvero grande libertà di movimento, la competenza di fare piani e condurre la loro vita in relazione coi loro simili, uno status entro la società della legge privata che non è un qualche “dono di natura”, ma un “diritto sociale civile”: non un “potere naturale”, ma una “autorizzazione sociale”. La realtà della legge, perciò, non è che gli individui si trovano a confronto direttamente con lo stato, ma sono legati al loro stato ‘attraverso la mediazione della società di diritto privato». «Laddove in Rousseau la volontà generale, come legame di relazione del popolo con se stesso, costituisce la fondazione della legge pubblica, in Böhm il suo fine è di stabilire e preservare la legge privata. Il governo è allora il guardiano della ‘volontà generale’ in quanto è il guardiano delle regole della legge privata» (P. Dardot-C. Laval, The New Way of the World, London-New York, VERSO, 2014, p. 302, n. 4). «Conseguenza di questo assoluto primato della legge privata è un graduale svuotamento della legge pubblica, volto non alla sua disgregazione formale, ma a disinnescarne il valore operativo. Lo stato è ora obbligato a considerarsi impresa sia all’interno che con gli altri stati. Allora, lo stato che deve costruire il mercato, deve al contempo essere costruito in accordo con le norme di mercato» (ivi, p. 302). «Questo significa che etica e politica sono assolutamente inseparabili» (ivi, p. 320). È lo stato neoliberista.

Lo stato neoliberista segue il mercato. «Thierry Ménissier vede in quest’onnipresente innovazione – spesso “selvaggia”, sempre “ambigua” – una dimensione “antiprogressista”. È il declino del progresso, e non la sua continuità, che fa regnare la rottura a ogni costo, divenuta unica e ultima risorsa, imperativo assoluto» (R.-P. Droit, Ne confondons plus innovation et progrès!, recensione a T. Ménissier, Innovations. Une enquête philosophique, Paris, Hermann, 2021, Le Monde Des Livres, 29 gennaio 2021, online). Ed ecco contratti di fornitura di vaccini smentiti dal mercato, in cui stati neoliberisti competono sul prezzo invece di realizzare il diritto alla salute, che pure il mercato lo crea assicurando un ragionevole futuro a popoli altrimenti a rischio, decimati, invalidi. «Mai rassegnati all’impotenza», scrive Marco Girardo («Avvenire», 28 gennaio 2021, p. 1) anche se «per i primi dieci miliardari il patrimonio dall’inizio della pandemia è addirittura aumentato di 540 miliardi di dollari» in quel 2020 che «ha visto le Borse aggiornare tutti i record», cui «presto si aggiungerà “Big Pharma”», e nel mondo folle esaltate testimoniano l’attualità dell’analisi di Norman Cohn: «promesse millenaristiche e sconfinate, fatte con convinzione assoluta e profetica a una schiera di uomini sradicati e disperati, in una società le cui strutture tradizionali sono in via di disintegrazione» (Cohn, I fanatici dell’Apocalisse, cit., p. 390). La disintegrazione neoliberista degli stati nazionali. Ma in Europa gli stati costruiscono nell’UE il futuro.

«Nella gara all’accaparramento, governi hanno stipulato con le aziende contratti blindati dalla segretezza, senza stabilire le clausole di accesso al vaccino in base a criteri di salute pubblica e senza un sguardo rivolto oltre i propri confini». «Il finanziamento pubblico, insieme alla tecnologia, è stata la principale leva della rivoluzione copernicana nella ricerca degli attuali vaccini». «La prima cosa che la Commissione può fare per riprendere in mano la leva negoziale è […] rilevare forzosamente il brevetto, a fronte del pagamento di royalties (art. 31, accordo Trips)». «La seconda azione riguarda il sostegno europeo alla proposta di sospendere temporaneamente tutti i diritti di proprietà intellettuale dei vaccini […] Anche questa è una strada perfettamente legale, prevista dall’art. IX, comma 3 e 4 dell’accordo di Marrakesh, costitutivo dell’Organizzazione mondiale del commercio» (N. Dentico, L’Europa vaccini sé e il mondo, in «Avvenire», 29 gennaio 2021, pp. 1 e 3).

«La folla che gridava il crucifige! era esattamente il contrario di quel che la democrazia critica presuppone: aveva fretta, era atomistica e totalitaria, non aveva né istituzioni né procedure, era instabile, emotiva e quindi estremistica e manipolabile… una folla terribilmente simile al “popolo” al quale la “democrazia” dovrebbe affidare le sue sorti nel futuro prossimo». «Essa condannava Gesù “democraticamente” e così finiva per rafforzare il dogma del Sinedrio e il potere di Pilato» (G. Zagrebelsky, Il “Crucifige” e la democrazia, Torino, Einaudi, 1995, pp. 118-119).

«Bisogna rompere il silenzio e cessare di subire» (ivi, p. 120) il Sinedrio, Pilato, Barabba.






 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013