È possibile sopravvivere dopo che si è persa la persona che più si amava? A cosa ci si aggrappa quando sembra che non ci siano più appigli? Il regista ungherese Kornél Mundruczó prova a rispondere a queste domande, come da lui stesso esplicitato durante la conferenza stampa di presentazione del suo primo film in lingua inglese allultima Mostra del cinema di Venezia. Al Lido Pieces of a Woman si è aggiudicato il Premio Arca Cinema Giovani, consentendo inoltre alla magnetica Vanessa Kirby di conquistare la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile e la successiva candidatura ai premi Oscar 2021. Fortemente voluto dal produttore esecutivo Martin Scorsese, il film ha attirato lattenzione di Netflix che ne ha acquisito i diritti di distribuzione, pubblicandolo sulla propria piattaforma streaming a partire da gennaio 2021. La sceneggiatura di Kata Wéber nasce da una reale esperienza vissuta dalla donna e dal regista stesso, desiderosi di condividere la loro drammatica storia con il pubblico, servendosi dellarte come panacea per il dolore.
Nella
città di Boston Martha (Kirby) e Sean (Shia LaBeouf) stanno per diventare
genitori ma, come ogni tragedia che si rispetti, il destino – sotto le
sembianze di unostetrica superficiale (Molly Parker) – ha altri
programmi in serbo per loro. Costretti ad affrontare disarmati il più
inenarrabile dei dolori, la coppia intraprenderà un arduo percorso di risalita
e di rinascita. Il film seguirà le loro vicende nellarco di un anno, con le didascalie
a scandire lo scorrere del tempo. Il punto di vista privilegiato è quello di
Martha (“donna a pezzi” come suggerisce il titolo), chiamata a gestire il
rapporto con sé stessa, con il marito, con la madre e con un processo penale nei
confronti dellapparente causa di ogni male.
Una scena del film
Lesperienza
come regista teatrale di Mundruczó trova il suo massimo compimento nel
magistrale, struggente piano sequenza iniziale nel quale i tre protagonisti si
muovono nevrotici, doloranti, incerti e terrorizzati durante le operazioni di parto.
Il tutto è ripreso in tempo reale, senza possibilità di rifiatare o chiudere
gli occhi, in una situazione di puro voyeurismo. Il risultato è stilisticamente
impeccabile e memorabile, grazie anche allimprescindibile commento sonoro del
leggendario Howard Shore, già collaboratore di Scorsese in After Hours (1985). Essendo strutturato a mo di
Kammerspielfilm (il progetto iniziale prevedeva un allestimento
teatrale), il film punta in maniera decisiva sulle prove attoriali. Azzeccata la
scelta di affidare il ruolo di Marta allattrice londinese –presente in Concorso
a Venezia anche con The World to Come di Mona Fastvold (nei panni
di una donna omosessuale nel XIX secolo) –; così come convince il ruolo di
co-protagonista affidato a LaBeouf, divenuto celebre per la serie
cinematografica Transformers. Da sottolineare che i due avevano già
recitato insieme in Charlie Countryman (2013) di Fredrik Bond. Non
è possibile, inoltre, non menzionare limmensa Ellen Burstyn – nel ruolo
della dispotica madre di Martha – anchella a suo tempo diretta da Scorsese nel
meraviglioso Alice Doesnt Live Here Anymore (1974).
La
soluzione registica di prendere subito “per la collottola” lo spettatore consente
al seguito della pellicola di vivere di rendita, con un ritmo che va progressivamente
appiattendosi, privo di ulteriori picchi emozionali. Tuttavia, dalla tragedia
dellouverture si dipanano arringhe che colpiscono la società, sempre
più egoista e cinica; la burocrazia, sempre più farraginosa e cieca; le
disuguaglianze tra il ceto abbiente e quello proletario. Martha ha il compito di
incollare e rimettere assieme tutti i pezzi della sua vita andata in frantumi,
costretta a tenere a bada gli ingombranti sensi di colpa, lira repressa e
limpossibilità di ritornare allequilibrio prepartum. Tra tutti, il
rapporto con Sean, destinato a naufragare quando i due si rendono conto di
essere incastrati in un limbo, incapaci di voltare pagina.
Una scena del film
Lultima
fatica di Mundruczó ha il merito di creare sullo schermo un pathos intenso, quasi totalmente accentrato
sulla Kirby (in pole position per i prossimi Oscar) e sulle sue
camminate solitarie che ricordano tanto quelle malinconiche di Jeanne Moreau
in Ascenseur pour léchafaud (1958) di Louis Malle. Dai suoi
occhi emerge prepotentemente il desiderio di lasciarsi andare, di non
allacciare più la cintura di sicurezza, di non ascoltare più la musica, di non
avere più pensieri. La macchina da presa si posa su dettagli della casa, come i
fiori appassiti o le pile di piatti sporchi nel lavandino, a simboleggiare
proprio questo desiderio incontrollabile di scorrere inerti, senza alzare la
testa: a tal proposito è memorabile il monologo della madre di Marta,
sopravvissuta alla Shoah. Non
esiste insomma vendetta o risarcimento capace di riannodare i fili del tempo.
Tocca solo rialzarsi quel tanto che basta per raccogliere una mela dallalbero.
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