Da
anni Guillermo del Toro è al lavoro
su una “sua” versione di Pinocchio, continuamente rinviata (forse
inizierà nel 2021). Doveva dirigere Lo Hobbit, lo aveva anche
sceneggiato, ma in previsione di tempi e costi biblici tutto passò a Peter Jackson. In ultimo, doveva
realizzare, in stop-motion, ladattamento
del romanzo Le streghe (The
Witches, 1983)
di Roald Dahl (saccheggiatissimo al
cinema; dello stesso autore anche La fabbrica di cioccolato, ma il
progetto è stato affidato a Robert
Zemeckis. Il regista di Forrest Gump (1994) raduna la sua squadra di
fidati, Don Burgess alla fotografia
e Alan Silvestri alla colonna
sonora, rivede la sceneggiatura già in parte scritta dallo stesso Del Toro (che
intanto è passato a produrlo, il film, insieme a Alfonso Cuarón) e ricolloca la trama del romanzo nellAmerica
razzista degli anni 60, con un protagonista di colore invece di uno norvegese. Una scena del film
È
indubbio che il tocco di Del Toro si senta: molti dei noti, chirurgici,
bozzetti che disegna prima di dirigere un film devono aver trovato posto in
questo girato. Cosa sono in fondo le mani delle streghe, se non una sorta di déjà-vu degli arti del mostro de Il
labirinto del fauno (2006)?
Ma se questi incubi prendono vita, dallaltro lato la mano di Zemeckis (quanto
mai “ferma” registicamente e fotograficamente nonostante piani sequenza
vertiginosi e lidea sopita di un 3D inesistente) porta tutto a una comfort zone: lavorando deccesso più
che di suggerimento, mostrando più che nascondendo, appiattendo un prodotto
dalle molteplici possibilità narrative e visive. Se di Del Toro cè lapproccio
a tratti paradossale, ma allo stesso tempo raccapricciante, della finzione che
può diventare reale (metafore per il pubblico adulto: il convegno sulla
violenza sui bambini, il nemico “è proprio sotto di noi”, è il nostro vicino di
casa); Zemeckis porta tutto a semplici opposti: luce-buio, colorato-monocromatico,
piccolo-grande, facendo primeggiare così la chiave di lettura del principale
pubblico al quale è destinato il film, quello degli adolescenti. Si pensi alle
inquadrature della spiaggia dallhotel (il mondo del “sano” divertimento e
della normalità è lontano, lorrore è nella incredibile realtà) oppure a tutti
i luoghi chiusi che si aprono come delle scatole cinesi.
Una scena del film
Il
messaggio di Zemeckis è chiaro: per guardare (al) bene bisogna fare luce sulle
piccole cose, ma allo stesso tempo provare a tenere distinti la vecchia realtà
dalla perturbante finzione (digitale). Cosè in fondo il proiettore mostrato a
inizio film se non un modo per il regista di raccontarsi e lanciare il suo
monito? Infatti qui la Performance
Capture arriva a invertire totalmente i ruoli, mentre la Computer grafica irrompe (solo) sul
volto di Anne Hathaway (la
più convincete dellopaco cast) nella trasformazione del preesistente. La
colonna sonora di Silvestri, infine, non riesce a creare veri momenti epici di
grande respiro, servendo da “riempitivo” per la vicenda (eccezione: i brani black
della prima parte del film). Forse bastava osare e credere di più nella
fantasia, lasciando libera la mente invece di far vincere locchio.
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