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L’altra faccia del sogno americano

di Luigi Nepi
  Nomadland
Data di pubblicazione su web 22/09/2020  

Da quando sono usciti i titoli del concorso della 77ª Mostra di Venezia, il film più atteso e più emblematico di questa edizione è apparso fin da subito Nomadland e questo per la presenza di Frances McDormand, unica vera grande star hollywoodiana della manifestazione. Il suo primo piano di tre quarti, privo di trucco, con i capelli corti eppure spettinati, con sullo sfondo la prateria del “ventre molle” degli Stati Uniti, ha campeggiato per giorni su tutti i quotidiani e i siti che davano notizia della Mostra. Un’attesa che è stata prolungata fino all’ultimo giorno, tanto che i più maligni avrebbero potuto pensare a una scelta “strategica”, fatta nella speranza di avere al Lido il cast e poterlo così “trattenere” alla premiazione del giorno successivo. Ma la pandemia ha avuto la meglio e la produzione ha deciso di non accompagnare il film in laguna, cosa che comunque non gli ha impedito di rispettare i pronostici e vincere il Leone d’oro.


Una scena del film
© Biennale Cinema 2020

Il film è tratto dall’omonimo libro-inchiesta di Jessica Bruder (2017) in cui si raccontano le storie vere di persone che hanno deciso di seguire le teorie e la prassi dello scrittore e blogger Bob Wells, che invita a non farsi condizionare dalle ansie del classico stile di vita borghese per scegliere la “vera libertà” di un’esistenza nomade all’interno di un camper o di una roulotte, fatta di lavori occasionali in giro per gli Stati Uniti e periodici ritrovi con la sua comunità di houseless: ovvero “senza indirizzo”, cosa ben diversa da homeless (i “senza casa”). La protagonista è Fern, una donna di sessant’anni che, rimasta vedova e senza figli, lascia Empire, un paese nato e morto intorno alle fortune di una fabbrica di cartongesso, per andare a vivere come houseless, appunto, a bordo del suo camper. Qui, tra un lavoro per un magazzino di Amazon e uno come inserviente in un campeggio, viene a contatto con questa comunità di moderni nomadi, con lo stesso Wells e con la tutt’altro che banale filosofia che sottostà a questa scelta esistenziale.


Una scena del film
© Biennale Cinema 2020

Girato tra la fine del 2018 e il 2019 (e forse destinato a Cannes), Nomadland arriva nella filmografia di Chloé Zhao (nata a Pechino, ma formatasi in Inghilterra e negli Stati Uniti) dopo Songs My Brother Taught Me (2015) e The Rider (2017) (entrambi ambientati tra la comunità dei nativi Lakota Sioux del Sud Dakota). Per certi versi il film chiude una trilogia incentrata sulla dissoluzione del sogno americano, proprio in quei territori dove la retorica della frontiera sembra conservare ancora un suo fascino. Una trilogia che fa della Zhao una delle autrici più interessanti del panorama del cinema indipendente americano, tanto che Hollywood le ha già gettato una “manciata d’oro negli occhi”, chiamandola a girare Eternals, il nuovo cinecomic della Marvel da 200 milioni di dollari. 


Una scena del film
© Biennale Cinema 2020

La regista, ma anche sceneggiatrice, montatrice e produttrice (con la McDormand) della pellicola, innesta il personaggio di Fern (sorta di abbreviazione-anagramma di Frances) tra quelli del libro della Bruder e sceglie di portare sullo schermo i veri protagonisti raccontati dalla scrittrice che interpretano loro stessi. Il risultato è un film che, pur privo di un vero e proprio sviluppo narrativo, mantiene un tocco leggero, empatico, impressionista su una realtà molto più profonda e “politica” di quello che potrebbe apparire. Lo sguardo di Zhao segue sobriamente il volto (sempre in scena) duro e dolce della protagonista, che si riverbera sul paesaggio altrettanto duro e dolce del Middle-West, mostrando allo spettatore la durezza e la dolcezza di come un’altra vita sia possibile anche in quella parte di America così vicina a Trump. In tutto questo spiace sottolineare come quella che si potrebbe non a caso definire la nota più stonata del film si trovi proprio nella scelta delle musiche di Ludovico Einaudi, che vengono impropriamente e anche un po’ ingenuamente usate nel preciso intento di dare suggestione a immagini di per sé già suggestive, finendo così per risultare ridondanti, se non addirittura imprevedibilmente invadenti. Sia chiaro non siamo davanti a un capolavoro, ma a un buon film ben fatto con lampi di verità dove, sotto il personaggio di Fren, si riesce a vedere non solo Frances McDormand, l’attrice, ma anche Cynthia Ann Smith, la donna.



Nomadland
cast cast & credits
 


La locandina del film





 
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