La
sezione Orizzonti di questa edizione della Mostra si avvale della presenza di Ismaël
El Iraki, classe '83, con il suo lungometraggio d'esordio Zanka Contact.
Il regista marocchino, dopo il pluripremiato cortometraggio H'rash
(2009), porta in laguna un titolo che, piaccia o no, si distingue per commistione
di stili e coraggio nella mise-en-scène.
Il
film entra subito nel vivo con l'ingresso sullo schermo della prostituta
Nisrine (
Khansa Batma), il cui vero nome è Rajae. La ripresa al
rallentatore
è portatrice “sana” di vivacità visiva,
kitsch al
punto giusto nella piacevole sfrontatezza sul volto della donna. Dopo una corsa
in taxi verso chissà dove, avviene la prima rottura dell'equilibrio che dà il
la
ai titoli di testa in stile
pulp. La storia si riavvolge e le immagini
televisive di un concerto
rock anticipano l'ingresso del protagonista
maschile, imbavagliato e in balia di due uomini cui deve una grossa somma di
denaro. La “vittima” è l'ex
rockstar eroinomane Larsen (
Ahmed Hammoud),
nome d'arte ispirato all'omonimo effetto (l'insopportabile fischio stridente
degli altoparlanti). Nisrine e Larsen sono due personaggi al limite destinati (letteralmente)
a scontrarsi, innescando una serie incontrovertibile di eventi che danno vita a
una pellicola un po' pretenziosa in spericolato equilibrio sui consolidati
generi della Hollywood “classica” degli anni Trenta – il
western (anche quello
italiano), il
musical e il
gangster – trasformandosi poi in
melodramma fino a scimmiottare il
road movie.
Una scena del film
© Biennale Cinema 2020
El
Iraki, sopravvissuto non senza conseguenze alla parigina notte senza fine del Bataclan
(2015), porta in scena, con tinte autobiografiche, due anime perdute che
provano a risollevarsi da un disturbo da stress post-traumatico, vittime entrambe
di inenarrabili violenze, riportate sullo schermo con le suggestive sequenze
allucinatorie che assalgono Larsen, sempre con indosso la sua giacca di pelle
di serpente. Più che il Brando di The Fugitive Kind (1960)
ricorda il Nicolas Cage di Wild at Heart (1990). I protagonisti,
destinati ad amarsi già dal primo incontro, sono entrambi prigionieri del
passato ma anche del presente: lui la siringa e lei il bordello. In questa
suggestiva Casablanca, il crocevia delle loro vite è la musica, unica
possibilità catartica (quasi) per tutti. Entrati in una grottesca escalation
di ferocia in cui vengono inseguiti e braccati come selvaggina, tentano di
salvarsi a vicenda, tant'è che a Larsen a un certo punto verrà detto: «Ricorda
che prima di lei eri morto».
Una scena del film
© Biennale Cinema 2020
Sebbene
la mescolanza di stili e di generi conferisca vitalità alla pellicola, verso lo
scioglimento si eccede nel sentimentalismo, abbandonando la freschezza
narrativa della prima parte. Tuttavia va riconosciuto al regista il merito di
aver gestito una sceneggiatura complessa, strizzando l'occhio al cinema
tarantiniano e a quello sud-coreano, sempre più emergente nel panorama
internazionale. Un altro merito consiste negli elementi di forte denuncia
sociale, come quelli contro il sistema giudiziario marocchino, l'omertà del
popolo e il sovranismo (si veda la folgore verbale scagliata nei confronti di Donald
Trump).
L'idea
trasmessa dal regista è che certi traumi non possono essere accantonati, né
cancellati. Ci si può solo convivere e provare in qualche modo a rinascere.
Buona la prima.