Non
dandosi per vinta con Jànos, si fa assumere nello stesso ospedale dove luomo lavora,
trovando un ambiente ostile tra i colleghi per via della sua professionale
provenienza statunitense. Comincia quindi una spasmodica indagine sulluomo,
addirittura seguendolo in taxi di notte (uno dei più abusati
clichés al cinema). La storia non ce la fa a
decollare e inizia una discesa ineluttabile ripercorrendo gli stilemi delle
soap televisive. Nemmeno lingresso in scena di un giovane studente, che
insistentemente corteggia Marta, riesce a risollevare landamento narrativo,
sempre più frenato dalla rigida recitazione e dallassenza di espressività
degli attori. Quando János sembra non interessare più alla protagonista, è lui
a farsi avanti. Nel frattempo si fa strada nello spettatore, senza troppa
convinzione, il dubbio che sia tutto il frutto della fantasia di Marta.
Una scena del film
© Biennale Cinema 2020
Una
lettura che potrebbe risollevare le sorti dellopera potrebbe basarsi sulle
conseguenze della solitudine affettiva, capace di creare
ex novo figure,
relazioni, fantasmi. Ben lungi dalle atmosfere nordiche di
Aki Kaurismäki e da quelle della connazionale
Ildikó Enyedi, la narrazione lineare (fin
troppo) del film non restituisce quella sensazione di spaesamento necessaria
per immedesimarsi nella protagonista, che si muove in maniera goffa tra realtà
e immaginazione.