«Commossa Isa Danieli, nei
panni di Filumena Marturano, nella
versione di Cristina Pezzoli, ha sorpreso il pubblico che applaudiva,
fermando con le mani il sipario che si stava chiudendo sulla prima nazionale
dello spettacolo e commentando “E che so Sansone?”. Sera emozionata anche per
il piccolissimo Tito, figlio della Pezzoli, che sta crescendo a latte e
palcoscenico, entrato in scena pure lui in tutina celeste. “Filumena non sè
goduta i figli suoi piccoli e io mi godo questo” ha detto, continuando a tenere
la concentrazione del pubblico su di lei». Così, a caldo, Roberta Lazzarini
scriveva sul «Messaggero» nel novembre del 2000, nel recensire la regia di
Cristina Pezzoli. Qui, lapprezzata regista di Vigevano, dalla grinta di una
combattente, aboliva ogni preventivo impianto eduardiano per rinnovare con
laudacia e la spregiudicatezza artistica che le erano proprie un testo
ritenuto fin lì inossidabile e impraticabile senza il suo attore-autore.
E comprendiamo, da lettori
avvertiti, la tenerezza della grandissima Isa Danieli dinanzi al bambino, lei
stessa cresciuta in una valigia-culla e allattata dietro il palcoscenico dalla
madre, attrice-cantante di sceneggiate, nellintervallo tra unesibizione e
unaltra. Con linevitabile durezza che il teatro riserva alle donne di tutti i
tempi, anche le quattro maternità di Cristina Pezzoli sono state divise tra
retropalchi e camerini, tra tournées e
prove costumi, tra puntamenti e “generali”, congestionate fra i troppi impegni
di una regista (una delle poche donne in questo ruolo nel nostro teatro)
ricercata per lefficacia del segno artistico e per la freschezza incisiva
delle invenzioni sceniche.
Roccia lombarda, carattere
impossibile, si sarebbe detto, alla prima impressione. Sempre imprevedibile e mai
banale, formatasi alla Civica Scuola “Paolo Grassi” di Milano, fulminata dal
teatro grazie a Dario Fo e cresciuta accanto al magistero di Nanni Garella
e di Massimo Castri, allalba del nuovo millennio piazzava uno
spettacolo che dimostrava ancora una volta le sue indiscusse abilità, il suo
irrefrenabile bisogno di innestare il nuovo, di rileggere la tradizione al solo
scopo di vivificarla. Con la forza indomita di una leonessa, la Pezzoli, donna
generosa e artista militante, che di sé diceva di “andare a trecento allora”,
sapeva fare questo ed altro. Quando non recuperava allattualità testi
dimenticati, come Lannaspo di Raffaele
Orlando, quando non allestiva opere al festival pucciniano o produzioni per
La Contemporanea 83 o per Gli Ipocriti, sapeva valorizzare come nessun altro la
drammaturgia contemporanea. E non per modo di dire o per vezzo retorico alla
moda.
Nel triennio della direzione
artistica dellAssociazione teatrale pistoiese - Teatro Manzoni di Pistoia
(2002-2005), con la coerenza che la caratterizzava ha lanciato nuovi autori e
ha saputo scommettere senza esitazioni su giovanissimi. Sua la scoperta dellallora
ventunenne Letizia Russo, di cui ha messo in scena Tomba di cani, affidando il ruolo di Glauce, vedova cieca-Edipo, alla
sensibilità poliedrica e vibratile di Isa Danieli. Oltre alla Russo, nella sua
teatrografia spuntano altri autori contemporanei, tra i quali Antonio
Tarantino, Stefano Benni, Remo Binosi, Walter Fontana.
Una scelta forte di politica culturale, nella quale credeva fino in fondo e che
ha pagato fino in fondo. Causa principale le ristrettezze miopi, erette a
sistema di pensiero, di una circuitazione teatrale asfittica, dominata dagli
scambi tra i potenti ex Stabili di un tempo.
La sua fiducia incrollabile nel
valore culturale e sociale del teatro lha resa complice perfetta di chi scrive
nel biennio 2006-2008 nella fondazione del gruppo universitario teatrale La 106,
poi diventato compagnia dellAteneo fiorentino come Binario di Scambio. Il nome
ha connotato quel progetto avventuroso e pionieristico sottotitolato Tracciato
deviato da Prato a Mosca e ispirato al testo Anche le donne hanno perso
la guerra di Curzio Malaparte, che
debuttò il 28 giugno 2007 ad Officina giovani, allora diretta da Teresa
Bettarini. Della Pezzoli anche la supervisione registica dello spettacolo A ferro e fuoco, dedicato alle Lettere dal carcere di Gramsci e
premiato al festival UniversoTeatro di Benevento del 2008 da Ugo Gregoretti.
Da docente del laboratorio di
regia presso il corso di laurea specialistica in Pro.SMArT. (Produzione
di Spettacolo Musica Arte e Arte tessile) Cristina Pezzoli ha avuto il coraggio di giocare al
teatro con la “meglio
gioventù” studentesca
di quegli anni: giovani attivi e reattivi, che
del teatro hanno fatto a loro volta una professione e una passione. Deliberatamente fuori dagli schemi, donna e artista
libera, capace e autorevole, dopo anni di pratica nei teatri di prosa e lirici,
sulla scia del teatro universitario si era tuffata a capo fitto nel teatro
sociale. E durante gli ultimi dodici anni, tutti investiti a Prato, si era
immersa in una fitta trama di rapporti per cercare con il teatro di
riconnettere e ricucire le periferie con il centro, gli asiatici con gli
europei, la pratica teatrale con lantropologia.
Nel cuore operaio del centro
storico, lapertura di Compost, spazio di incontro multiculturale nato
in una vecchia fabbrica nei pressi della Biblioteca Lazzerini, è stato un
tentativo straordinario di conoscenza e di interazione della folta comunità
cinese con i residenti. Ma anche lo specchio dellaccresciuta sensibilità
della Pezzoli verso il teatro come strumento formidabile per incidere direttamente
nelle realtà sociali attraversate da complesse dinamiche migratorie. La città
di Prato, laboratorio etnico di straordinaria importanza, ha offerto al ciclone
Pezzoli la possibilità di rigenerare meccanismi teatrali di lunga durata alla
prova di bisogni e domande inedite. Sua in questo periodo lidea di impiegare
lattore cinese Shi Yang Shi come mediatore culturale e artistico.
Nel frattempo, consapevole della
sua identità di donna-regista, lavorava con molte attrici, le più varie, e ne
metteva in luce i talenti. Si è misurata con la valorosa generazione di
artiste nate sullo scorcio degli anni Cinquanta (Maddalena Crippa,
Elisabetta Pozzi, Pamela Villoresi, Laura Marinoni), ha
riportato a teatro la Milva strehleriana interprete di Brecht, ha lanciato
Veronica Pivetti, ha ripetutamente diretto la Danieli, alla quale ha
affidato anche una potentissima e indimenticata Madre Courage. Lelenco non
dice la sua ricchezza di sguardi, di intuizioni, di soluzioni, la sua idea di
teatro vivo, pulsante, capace di riattivare pubblico e scene. Del 2018 è lo spettacolo Calendar girls con lamata Angela Finocchiaro, con Laura Curino, Ariella Reggio, Carlina Torta, Matilde Facheris, Corinna Lo Castro e altre interpreti. Un lavoro che lasciava intuire una predilezione sempre più spiccata
verso i ruoli femminili, da lei sbozzati con particolare cura e rilanciati in
una cifra tragicomica.
Cristina Pezzoli ha vissuto non
retoricamente per il teatro, per lidea di unarte dalla forte connotazione
civile e politica, in grado se non di rinnovare il mondo almeno di renderlo
migliore. Al teatro ha
sacrificato tutto. Forse lunico
lusso di cui andava fiera erano le vacanze in unisola siciliana in
compagnia della sua bella e ricca famiglia e dei suoi cani. Anche nellisola in
cui è troppo presto approdata dirigerà gruppi e attiverà nuovi sensi, nuove
energie, per eternare il gioco preferito del come se.
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