In
seguito alla pubblicazione della nostra recensione alla mostra Nei palchi della Scala,
abbiamo intervistato Franco Pulcini, che a questo progetto ha dato i
natali.
Professor
Pulcini, quando e come è nata lidea di una mostra sui palchettisti del massimo
teatro meneghino?
Da
quando sono entrato alla Scala come responsabile delle edizioni, ho capito che
la ricostruzione della storia di ogni singolo palco doveva essere fatta: è un teatro
popolato di fantasmi, interessante sapere dove stanno! Lissner, il
sovrintendente che mi ha assunto, aveva altre priorità, ma con un po di
insistenza ho convinto nel 2017 Pereira. Lui mi ha messo a disposizione un
contributo per le borse di studio che gli avevo proposto. E ho avuto la fortuna
di trovare grande entusiasmo nei miei colleghi del Conservatorio Pinuccia
Carrer e Antonio Schilirò, che hanno coordinato il lavoro e in pratica lhanno fatto.
Il sito, estremamente raffinato, è stato ideato da Massimo Gentili Tedeschi,
unautorità nel campo della biblioteconomia e della catalogazione. Si è innamorata
del progetto anche lattuale direttrice del Museo della Scala, Donatella
Brunazzi, con cui ho un ottimo rapporto, che ha costruito intorno alla ricerca
una bellissima mostra. In quelloccasione si è fatta una versione del sito
più divertente, semplice e intuitiva, mentre loriginale
della Braidense ha una cronologia meticolosissima, ma di proporzioni
considerevoli in quanto a dati inseriti, ed è quindi più uno strumento per
esperti. Con quel genio di Pierluigi Pizzi, Francesca Molteni, con cui facciamo
i video, Valentina Dellavia, la scenografa che segue lallestimento, il
progetto grafico di Emilio Fioravanti, e con Matteo Sartorio e Mattia Palma, ci
siamo autodefiniti lallegra brigata delle mostre. Ora ne stiamo facendo una
nuova, prudentemente via Zoom.
Il
lavoro di ricerca scientifica è stato condotto da studenti e diplomati del
corso di Musicologia del Conservatorio di Milano. Cosa ha significato per lei,
che in quel conservatorio ha insegnato Storia della Musica dal 1979 al 2017,
coinvolgere dei giovani in un progetto di questa portata?
Quasi
tutti i ragazzi che hanno partecipato alla ricerca erano stati miei studenti ai
corsi di musicologia del Conservatorio: Paparazzo, Suardi, Tassoni, Campisi.
Con un contenuto compenso, sono andati a cercare on line nelle biblioteche del
mondo intero, soprattutto a Vienna, ma anche negli Stati Uniti, gli almanacchi
e le pubblicazioni che mancavano alle biblioteche italiane, e che segnalavano le
proprietà dei palchi anno per anno, dal 1778 al 1920. Dai nomi si ricercavano
le prove delle precise identificazioni. Altre notizie sono state ritrovate negli
atti notarili o negli archivi delle famiglie nobili milanesi, sempre molto
disponibili, come i Visconti di Modrone. È stato per loro un viaggio nella
storia della Milano dellOttocento: loccupazione dellimpero dAustria,
larrivo dei francesi, la Restaurazione, la Carboneria, le Cinque giornate, le
guerre dindipendenza, lUnificazione, eccetera. E hanno senzaltro imparato a
muoversi con disinvoltura in un sito complesso.
La
mappa digitale che avete realizzato mette a portata di click centoquarantatré
anni di vita scaligera. Cè qualche storia, tra quelle dei vari Trivulzio Litta
Belgiojoso e Visconti, che lha particolarmente colpita?
Ero
curioso di sapere cosa facevano e dove abitavano questi palchettisti. Sono molto
interessato ai palazzi e alle ville che possedevano: allinizio i nobili, i
politici, poi gli industriali della seta e del cotone. Sono gli stessi edifici che
sono ora di Armani, dei Versace, di George Clooney o trasformati in biblioteche
o facoltà universitarie. Sono stato poi colpito dalla ricostruzione della vita
disinvolta di molte signore. Cera lamante di Foscolo, quella di Rossini, la
favorita di Re Umberto I (che gli cedette il palco, anziché viceversa), o le
tante che Stendhal corteggiava invano. Emozionante stare nel palco dal quale
probabilmente Federico Confalonieri ha sentito per la prima volta “Va pensiero”,
alla prima mondiale del Nabucco, dopo
essere stato quindici anni imprigionato allo Spielberg, mandato in esilio a New
York e riparato in Svizzera. O quello da cui Luchino Visconti adorò a prima
vista la Callas, decidendo di riformare con lei la regia operistica. O i palchi
in cui andavano, in tempi diversi, Parini, Porta, Pellico, i Ricordi, gli amici
di Bellini, o magari Radetzky, o il cuoco del Viceré. O quello da cui il conte
antiaustriaco Massimiliano Cesare Stampa svillaneggiò limperatrice Sissi,
dandole le spalle al suo ingresso nel palco reale col marito Francesco
Giuseppe. Non tutti i palchi sono così carichi di storia, perché non tutti i
frequentatori erano proprietari o amici dei proprietari, ma buona parte lo
sono.
La
mappa è uno strumento di indubbio valore scientifico, ma è ovviamente rivolta
anche alla fruizione da parte di un pubblico di non esperti. Cè qualche punto
di partenza ideale che vorrebbe suggerire a un navigatore alle prime armi?
La
storia è sempre un percorso in cui possiamo immergerci seguendo le nostre
aspirazioni. Anche in questo excursus
sulle proprietà, in buona parte “araldico”, si incontrano personalità curiose,
tipi stravaganti. Certo, vi sono anche uomini potenti poco interessanti o
semplici investitori: un palco costava come un trilocale nel centro di Parigi.
Se fosse al valore attuale, forse sette o ottocentomila euro. Eppure rendevano
magari il sei o il sette per cento della cifra investita. Era anche uno status symbol, come la villa al lago, il
palazzo in città e la tomba di famiglia al cimitero monumentale. Dominique Meyer,
il nuovo sovrintendente, è molto interessato alla ricerca e vorrebbe che le
schede storiche venissero ridotte ed esposte dentro i palchi stessi. Ci sto
lavorando con i colleghi dellufficio edizioni.
Vorrei
ora parlare un po di lei. Si potrebbe ben dire che ha speso la sua vita per la
cultura: musicologo, saggista e romanziere, ha lavorato in televisione per
Classica HD, ed è direttore editoriale del Teatro alla Scala da quindici anni,
se non vado errato. Come ha maturato la scelta di occuparsi di musica?
Da
bambino vedevo le opere liriche alla televisione insieme a mia nonna, che
trovava Turandot troppo moderna,
piena di fastidiosi strilli. Essendo sorda la teneva a un volume insostenibile.
Una sorella di mio padre era cantante lirica. Ho iniziato ad amare e
comprendere il grande repertorio del passato quando avevo quattordici anni e suonavo
la chitarra classica. Quando è stato il momento di scegliere una facoltà, ho optato
per Lettere, per fare il musicologo. Pianoforte e composizione li ho studiati
privatamente, dando gli esami al conservatorio come privatista. Da ventenne ho
anche composto musiche di scena per il teatro e la radio, ma ho smesso presto. Sono
stato fortunato che in quegli anni cera un notevole incremento dello studio in
Conservatorio e ho avuto un posto da insegnante quando non ero ancora laureato,
grazie a un concorso per titoli, avendo già al mio attivo alcune pubblicazioni
scientifiche e molte altre divulgative.
Tra
i suoi docenti alla Facoltà di Lettere di Torino cera Massimo Mila, nome
illustre della musicologia italiana del Novecento. Che ricordi serba del suo maestro?
Aveva
unautorevolezza e un rigore morale che ti potevano anche gelare, ma, come
tutte le persone di grande valore e dotate di unintelligenza superiore, aveva
anche una sua armata semplicità. Andavo spesso a casa sua, anche solo per la
firma del piano di studi. Ti insegnava a risparmiare anche solo un pezzetto di
carta per un appunto. Mi presentò a Luigi Nono come “lultimo pulcino della mia
nidiata”, perché di lì a poco andò in pensione. Devo quasi tutto a lui: mi ha
chiesto di occuparmi delle opere teatrali inedite di Janáček, con cui è iniziata la mia carriera
musicologica. Quando seppe che sarei andato a insegnare al conservatorio di
Milano, mentre lo accompagnavo in auto a casa, mi fece una lunga predica sul
dovere per linsegnante di non portarsi a letto le studentesse, neppure le più intraprendenti.
Consigliava di dire: “Ne riparliamo quando lei sarà diplomata e io in
pensione…”. Era un uomo spiritosissimo. Da lui ho imparato che, scrivendo, devi
condire il sapere con ironia e sfumata malizia; ma sempre con un fine etico.
Mila
ha in qualche modo incoraggiato il suo amore per il mondo slavo, amore
testimoniato dagli importanti lavori su Janáček
e Šostakovič, oltre che dalle traduzioni de La volpe astuta, Da una casa di morti e Káťa Kabanová per La Scala?
Allora
amavo molto Mahler, un musicista che lui non apprezzava molto. Non credo amasse
né comprendesse nemmeno Šostakovič, ma non
ha fatto in tempo a leggere il mio studio, che è del 1988. A un certo punto,
credo fosse il 1971, avevo scoperto Janáček
e gli ho confessato il mio recente amore. Devo dire che mi ha incoraggiato
moltissimo. Mi ha fatto avere una borsa di studio per svolgere le mie ricerche
in Cecoslovacchia e quando ero là mi scriveva, con le solite raccomandazioni.
Le mie lettere sono conservate nel suo lascito: me lha detto un mio ex allievo,
che lo sta curando. Ho avuto la soddisfazione di avergli fatto cambiare idea su
qualche titolo, per esempio Laffare Makropulos, che in anni precedenti
non aveva apprezzato.
Venendo
ancora al massimo teatro meneghino, mi piacerebbe citare il suo giallo Delitto alla Scala. Motore degli eventi
è il ritrovamento dellArianna, opera perduta di Claudio Monteverdi. In
un certo senso, tuttavia, il romanzo è intriso della vita segreta del teatro,
facendo il paio alle vicende storiche ricostruite dalla mostra sui palchi. I
suoi colleghi in Scala come lo hanno preso?
Qualcuno
ha pensato di essere stato messo in caricatura e ho subito qualche silenzioso
malumore. Ancora oggi, mi si chiede chi è quello, e chi è quellaltro. Il teatro
è luogo di passione, che si presta a contrasti emotivi. Per esperienza, ho
sempre trovato il back-stage
dellopera un po operettistico e lho descritto senza troppi scrupoli. Mi è
sembrata curiosa la commistione fra il ritrovato manoscritto antico un po
iettatorio, e la commedia del narcisismo artistico. Leditore, facendo lediting, mi segnava in margine: “questo
è un po troppo, ma non hai paura che ti licenzino?”. Mi è andata bene. E il
romanzo ha avuto un certo successo. Attualmente è venduto in edizione
economica, ma è stato pubblicato anche con i giornali «la Repubblica» e «La
Stampa». Sono stato fortunato che sia piaciuto molto alla signora Natalia
Aspesi, che ne ha scritto una spiritosissima recensione. Ho scritto anche Delitto
al Conservatorio, che è uscito e mi ha dato soddisfazioni di critica
addirittura superiori, e ho completato la trilogia dei gialli musicali con Delitto
alla sbarra, sul mondo del balletto, che non è ancora uscito. Cè sempre lo
stesso commissario. Quando hanno spiegato a Meyer la mia doppia vita di
scrittore e musicologo, lui ha commentato che “I due pulcini” sembra il titolo
di unopera…
Le
ultime domande non possono che riguardare il particolare momento storico che
stiamo vivendo. La crisi sanitaria ha messo in luce un po ovunque storture
sistemiche e, nel caso particolare dei mondi della cultura, una fragilità
intrinseca che necessita di sostegno accorto e specifico. A tal proposito,
quali piani e prospettive sta elaborando La Scala per il post-Covid?
La
Scala ha dalla biglietteria una parte rilevante della disponibilità finanziaria.
Quando è chiusa, i soldi si riducono di un terzo e non può sopravvivere. A me
dispiace moltissimo per tutti quelli che lavorano come assistenti, per esempio
alla regia, dei singoli spettacoli. Anche se giovani, ho molti amici tra loro.
Persone capaci, lavoratori instancabili, che contribuiscono a rendere grande
lItalia nel mondo. Di questi tempi non guadagnano niente, perché si tratta di
partite IVA. E basta un nulla per non ottenere i seicento euro, per esempio
essere iscritti a due diverse casse. Il teatro potrà riaprire quando il paese
sarà in sicurezza. La stagione sta per essere annunciata, ma nessuno sa se e
quando potrà iniziare.
E
cosa consiglierebbe ai tanti giovani che, come lei anni fa, hanno compiuto o
stanno compiendo la scelta difficile di vivere facendo cultura, sia essa
musicale o meno?
Mio
padre aveva preconizzato per me, occupandomi di musica, un destino di fame.
Invece sono riuscito a guadagnarmi da vivere. Ho faticato molto. Lavoravo
sempre, molto più di adesso. La mia famiglia non era povera, ma neppure benestante.
Dalla ricerca musicologica, sono passato alla televisione, al teatro, alla
scrittura creativa di genere. Direi che soprattutto la carriera di scrittore è
difficilissima per un giovane. Ci vuole molto talento e molta fortuna. Ma anche
quella del musicologo deve accompagnarsi a un altro lavoro, magari
linsegnante. Lo stanno facendo molti. I creativi devono specializzarsi nella
sceneggiatura dei serial. Anche la scrittura per il teatro o quella dellautore
televisivo possono rappresentare una buona strada. Cè sempre la carriera
universitaria, se si è disposti a unanticamera lunghissima. Limportante è imparare
a scrivere con concisione ed efficacia. Limare cento volte quel che si produce.
La gente non va oltre le cinque righe. Per riuscire a fagliele superare bisogna
pensare bene a quel che si scrive. Un consiglio generale: imparare alla
perfezione linglese, parlato e scritto, la porta del mondo. Io mi sono perso
nelle lingue slave e nel tedesco, trascurandolo. Ed è stato un errore.
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