Ospite di un amico americano, anni fa ho ammirato larrivo serale di uno stormo di anatre sul prato tra casa e laghetto, lieta novità per la disponibilità di cibo e soprattutto lassenza di alligatori, millenari abitanti oggi ospiti in un parco naturale senza tempo perché senza storia, già set dei film di Tarzan. Precedente e adottata dallo stormo, una paperina bianca zoppa e incapace di volare contraccambiava lospitalità con un ovetto quotidiano. «95% of the time for food, 5% for sex», mi disse di loro lamico, lotta per la vita trasferita poi altrove dalle anatre e persa dalla paperina al ritorno degli alligatori.
A
Milano, «ti chiami Baggio e hai quarantacinque anni. Facevi il contabile
amministrativo, non il calciatore. Posto fisso per quindici anni, ferie e tutte
quelle cose che ti sembravano scontate, sino a qualche mese fa. Poi lazienda è
fallita e sei stato liquidato insieme agli altri settantanove dipendenti.
Prendi la Naspi, 960 euro al mese da quasi un anno, e arrotondi facendo le
consegne per Glovo. Non ti è mai piaciuta la bicicletta, ma lauto hai dovuto
venderla. Allinizio guadagnavi, correvi come un matto e hai preso anche delle
multe perché per fare meno strada percorrevi le strade in senso inverso. Poi ti
sei ammalato una settimana e da quel momento sei diventato vittima del ranking.
Ranking, ranking, quella stronzata di darti il punteggio per tenerti sotto
scacco. Non puoi ammalarti con Glovo. Non puoi avere la febbre. Se hai la
febbre, dopo ti vengono precluse le fasce orarie più redditizie. Diventi
inaffidabile. Magari te lo dicessero in faccia. Non cè nessuna faccia. Ti
sbarrano la porta. Non sai mai nulla, tu. Gli slot orari sono quasi tutti
bloccati e aspetti che qualcuno molli il turno. Aspetti davanti allo schermo.
Rapidamente hai cominciato a lavorare meno ore e a guadagnare meno soldi. A
Milano 960 euro non bastano se hai un figlio, una separazione alle spalle. Hai
provato a protestare al telefono, con il tuo referente di zona. Lui non ti ha
quasi fatto parlare. È lalgoritmo. Non dipende da lui. Ti ha fatto incazzare.
Non ti ascolta. Non capisce che quei soldi ti servono. Lui ti ha detto allora
che se avessi continuato a scocciarlo, ti avrebbe sloggato. Non lui
direttamente, ma il sistema. Lui è obbligato, dice. Deve registrare la
chiamata. Deve registrare il tuo comportamento. “Aggressivo” dice. “Aggressivo
di che?” gli rispondi. Provaci tu a stare in bicicletta la sera dinverno, in
equilibrio nel traffico, colorato come un pagliaccio» (D. Serafin, Senza più
valore. Indagine sui salari e le retribuzioni in Italia, Varese, People,
2019, pp. 5-6).
In
pochi anni il ranking si è diffuso dalla global governance alla
consegna a domicilio di cibi pronti nelle nostre città, secondo un modello
matematico di percolazione che, scrive la Treccani, «può essere esteso a tutti
quei problemi in cui si è interessati alle proprietà di connessione globale di
un sistema macroscopico, le cui connessioni sono realizzate a livello
microscopico in modo stocastico». È tutto sistema: «la spettacolare
proliferazione della indicizzazione internazionale sembra essere il risultato
di almeno tre tendenze interrelate: ladozione della valutazione della
performance nella moderna vita politica e sociale, il rafforzamento delle reti
globali di governance e la proliferazione di nuove tecnologie dellinformazione
e di fonti dati aperte» (RANKING THE WORLD. Grading States as a Tool of Global Governance, a cura di A. Cooley e J. Snyder, Cambridge, Cambridge University Press, 2015, p. 10). Fino al punto che
ormai è necessario «valutare la mania di valutare, dalle scelte di consumo ai
risultati delle politiche pubbliche», perché «il giudizio contenuto nei ranking
può minare la chiarezza dei dibattiti politici sui valori che essi pretendono
servire»: «ranking e indicatori non solo esprimono giudizi, ma hanno cominciato
ad agire come “sostituti” del giudizio nella sfera politica pubblica. È una pericolosa
svolta, specie quando gli indici guadagnano sempre più autorità e sono usati
per finalità di supporto e governo. Alla radice, il problema è il fallimento di
chi classifica nel concettualizzare correttamente ciò che valuta – nel nostro caso
democrazia, fallimento dello stato, corruzione, libertà di stampa, qualità
dellinvestimento». «Dato che i casi di interesse per la politica pubblica sono
spesso quelli in cui gli elementi non si adattano ordinatamente in sindromi
coerenti, il risultato può essere un indice che oscura persino le peculiarità, fondamentali
per la valutazione politica» (ivi, p. 179).
Appunto
ciò che oggi il signor Baggio contesta quale corriere di Glovo: il sistema non
governa, ma genera caos coi suoi giudizi di fatto arbitrari. Cooley e Snyder
nel 2015 non prevedevano la capillare diffusione del ranking coi suoi
vizi, ma già allora «in casi estremi, come la Russia, loltraggio sociale sentito
dagli attori quando sono comparati a paesi anchessi poveramente valutati in
termini di libertà civili quali Nord Corea, Iran o Turkmenistan può
rimpicciolire lo spazio per un utile dialogo politico su temi quali la
“democrazia” o la “trasparenza”» (ivi, p. 191). Oggi, per il signor Baggio, azzera
lo spazio di dialogo tra cura e lavoro. A scala globale e individuale, «da
ultimo il valore del ranking è minato dallendogenesi del processo di rating.
Un rating basso di credito è facilmente una profezia che si autorealizza» (ibid.),
come anche il signor Baggio denuncia.
Apparentemente
scientifico, il ranking domina economia, società e politica. «Considerando
quanto sono complicate le economie reali – scrive il matematico Bruce M.
Boghosian, segnalato da un amico che ringrazio – troviamo soddisfacente che
un approccio analitico semplice sviluppato da fisici e matematici descriva le
attuali distribuzioni della ricchezza in varie nazioni con unaccuratezza senza
precedenti. È anche curioso che queste distribuzioni mostrino caratteristiche
sottili ma fondamentali tipiche di sistemi fisici complessi. Ma soprattutto il
fatto che un ritratto del libero mercato semplice e plausibile come il modello
affine della ricchezza dia origine a economie tuttaltro che libere ed eque
dovrebbe essere sia motivo di allarme che un invito allazione». «Di fatto
questi modelli matematici dimostrano che la ricchezza, lungi dallo scendere
come un rivolo fino ai poveri, ha uninclinazione a fluire verso lalto,
cosicché la distribuzione “naturale” della ricchezza in uneconomia di libero
mercato è quella di una completa oligarchia. È solo la ridistribuzione che pone
limiti alla disuguaglianza» (B.M. Boghosian, Misurare la disuguaglianza, in «le Scienze», 31 gennaio 2020, p. 63.
E a p. 58: «nel 2010, 388 individui possedevano la stessa ricchezza personale
di tutta la metà più povera della popolazione mondiale: circa 3,5 miliardi di
persone; oggi Oxfam stima che questo numero di individui sia sceso a 26»).
Il
signor Baggio non sa che il suo caso, motivo dallarme e invito allazione per
un professore di matematica della Tufts University, è un dato di natura per i neoliberisti
dominanti in cielo e in terra, con la parziale ma fondamentale eccezione
dellUE. Che può trarre un decisivo vantaggio anche competitivo riconoscendo,
con Boghosian, che «la fortuna ha un ruolo molto più importante di quello che
le viene generalmente riconosciuto, e quindi la virtù comunemente attribuita
alla ricchezza nella società moderna – e, allo stesso modo, lo stigma
attribuito alla povertà – è completamente ingiustificata» (ibid.), anche se per
i ricchi sponsor di Brexit è fede. «Inoltre, solo un meccanismo per la
ridistribuzione attentamente studiato può compensare la tendenza naturale della
ricchezza a fluire dai poveri ai ricchi in uneconomia di mercato. La
ridistribuzione è spesso confusa con le tasse, ma i due concetti vanno tenuti
distinti. Il prelievo fiscale fluisce dai cittadini allo Stato per finanziare
le attività di questultimo [infatti lUE vuol tassare i profitti GAFA sul
mercato europeo, meritando limmediata rabbiosa reazione daziaria di Trump,
ndr]. La ridistribuzione, invece, può
essere messa in atto dallo Stato, ma va pensata come un flusso di ricchezza da
cittadini a cittadini per compensare liniquità intrinseca delleconomia di
mercato. Nel più semplice schema di ridistribuzione, tutti coloro con una
ricchezza al di sotto della media riceverebbero fondi, mentre chi è al di sopra
pagherebbe. E dato che gli attuali livelli di disuguaglianza sono così estremi,
molte più persone riceverebbero di quante pagherebbero» (ibid.).
In
UE, naturalmente, non negli Stati nazionali anchessi sotto scacco del ranking,
che lUE può invece reinventare, pur se di (limitata) utilità, in coerenza con
una compiuta democrazia federale di dimensione sufficiente per badare a sé
stessa, nello storico impegno europeo dinnovazione culturale, civile,
politica, economica, tecnica: impegno necessario e indifferibile nel mondo
cosiddetto globale che, nella sua deriva pseudoscientifica, produce la chimera
della democrazia di pochi sempre meno numerosi e sempre più ricchi, che governano
i molti sempre più numerosi e sempre più poveri. Questa chimera sta distruggendo
le fondamenta USA. Nel processo a Trump, appunto per abuso di potere, i
senatori repubblicani hanno respinto laudizione delle testimonianze – rappresentanti
dei ricchi sempre più ricchi a sostegno di un presidente eletto da una
minoranza bianca di poveri sempre più poveri. Trump non è più solo ad abusare.
Tarzan e Jane festeggiano il
primo anno di unione in un film danimazione Disney del 2002, quasi un secolo dopo
il loro primo incontro letterario sempre stroncato da costumi e leggi razziali tuttora
floridi. Come le anatre e la paperina, soggetti alla legge “naturale” degli
alligatori fin che è prevalsa – sempre tra alti e bassi – la legge umana a
tutela dei diritti. Costumi e leggi sono questioni politiche e le regole del
gioco democraticamente accettate sono tali alla lettera, funzionano solo se
condivise e attivamente partecipate nel riconoscere (capire e far capire)
limportanza vitale del rispetto reciproco. Altrimenti sono regole non del
gioco, ma di ingaggio che consentono nel migliore dei casi (il signor Baggio) lesclusione
dal consorzio civile, nel peggiore (i nostri vicini medio-orientali e orientali)
il massacro di chi non è tutelato dal sistema bilanciato di poteri
specializzati che diciamo democrazia a garanzia del rispetto della vita e della
dignità di ognuno di noi, conquista politica fondamentale della modernità, in crisi
(di crescita?) nella cosiddetta post-modernità, il nostro presente in bilico.
Il
fatto è che «del potere si può abusare; lesatta definizione di ciò che
costituisce abuso dipenderà dal
contesto sociale e culturale, ma è ineludibile nellanalisi del comportamento
umano. Se labuso è sistematico – ripetuto e deliberato – bullismo sembra il termine
giusto per definirlo». «Il bullismo può essere definito come labuso
sistematico del potere. Ci saranno sempre relazioni di potere nei gruppi
sociali, per forza o dimensione o abilità, forza personale, numerica o gerarchica
riconosciuta». «Il bullismo può verificarsi in molti contesti, inclusi il posto
di lavoro e la casa; è particolarmente probabile si verifichi in gruppi sociali
con chiari rapporti di potere e scarsa supervisione, come le forze armate, le
prigioni e anche le scuole» (School
Bullying: Insights and Perspectives, a cura di P.K. Smith e S. Sharp, London-New
York, Routledge, 1994, p. 2). «Gli studi delle singole personalità e attitudini
degli alunni coinvolti nel bullismo offrono un quadro di bambini piuttosto
estroversi e socialmente sicuri di sé, che mostrano assai poca ansia o senso di
colpa, si conformano moltissimo ai loro propri ideali di essere dominanti e
potenti nel proprio gruppo di pari. Significativamente, tendono inoltre a
considerare laggressione un modo accettabile e realistico di esprimere la
propria posizione sociale e lo percepiscono sostenuto dagli atteggiamenti
famigliari» (ivi, p. 5). Patologico negli studenti, lo è doppiamente in persone
adulte – se ci rammenta qualcuno anche a casa nostra, non è un caso.
Trump
ha portato il bullismo nella Casa Bianca, facendo di una devianza scolastica una
pratica di governo per esaltare il proprio potere personale e ridurre la
democrazia a una lotta di provocazioni e insulti: una chimera. Il bullismo diventa
così la chiave di volta di ogni società che lo esprime o tollera. Allo specifico
di Trump ben sadatta il commento di un personaggio di Scott Spencer sul
processo al campione O.J. Simpson, accusato dellassassinio della moglie:
«Sai, Jim, tutti i media sono impazziti perché il signor O.J. Simpson si è
procurato una squadra di avvocati di primordine. Tutti continuano a dichiarare
che la giustizia è stata messa in vendita. Io dico invece che ha fatto bene.
LAmerica è questa, cari miei. Tutto è in vendita. Credete sul serio che i
poveri ricevano le stesse cure mediche dei ricchi? Tutto è in vendita, senza
eccezioni. Dovete capire che è così che funziona il sistema, e perciò O.J. ha
fatto esattamente quel che doveva. In America, il verde dei dollari conta più
del nero, e anche del bianco» (S. Spencer, Una nave di carta, a cura di
L. Briasco, Palermo, Sellerio 2019, p. 435). La
democrazia cosiddetta illiberale è solo bullocrazia, violenza gratuita e
sistematica che, come il bullismo scolastico, impone di «focalizzarsi sulla
soluzione del problema», «incoraggiare i cittadini stessi a portare soluzioni»,
«usare stili di comunicazione assertivi invece che aggressivi o passivi» e
«intraprendere azioni immediate assicurandosi di intraprendere passi per
affrontare il problema sul lungo termine» (School Bullying, cit., p. 212). Democrazia non è violenza, è abito di diritti e
doveri cucito da un sistema di istituzioni giuridiche e politiche (odiate dai
governi populisti centro-europei, per dire) a misura di cittadini solidali (nel
volontariato, per dire) che sanno pensare, capire, motivare, fare del bene anche
per gli altri nella ventura (nelle cose a venire) che diciamo vita. Cittadini reali
del mondo reale, non cittadini-chimera (incluso chi non vota, per dirla con le
sardine), quasi bastasse non respirare se laria non è buona o badare ai fatti
propri nelle ricorrenti epidemie globali. Peculiarità dei cittadini-chimera è di
essere sacrificabili, sul mercato tecno-politico del riconoscimento facciale per
dire, recrudescenza del virus tecno-totalitario diagnosticato nel 1948 da George Orwell in 1984. Il vaccino democratico è indispensabile per non essere
più sacrificabili.
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