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Passioni e morte del capomastro autodidatta

di Gianni Poli
  Il costruttore Solness
Data di pubblicazione su web 27/02/2020  

Lo spettacolo diretto da Alessandro Serra e costruito attorno al protagonista (un Umberto Orsini interprete motivato, intelligente e di sensibilità rara, se pure un po’ sacrificato in un ruolo impoverito dai tagli del testo), suggerisce vari spunti di riflessione sulla resa della problematica ibseniana e sui mezzi per rappresentarla. A partire dall’adattamento dell’originale, che si rivela piuttosto una riduzione (da una traduzione indefinita) drastica e spesso incongrua, lesiva della struttura di un capolavoro che è la summa della drammaturgia di Ibsen.

Lo spettatore riconosce subito lo stile della rappresentazione nel simbolismo virato in abili astrazioni scenografiche e in un dialogo sveltito e talmente alleggerito da comportare la durata abbreviata di un’ora e mezzo nella replica in esame. Inoltre, il funzionamento della scena assume un protagonismo speciale, perché in una vicenda di “costruzione” (dedotta dal titolo-tema) si concreta, per metafora, la vita dei personaggi. La scenografia consta di parti mobili, integrabili e adattabili, in continuo divenire. Pareti alte e buie in vuoti circostanti, tagliati da luci scabre o vischiose per rendere oppressive o claustrofobiche le condizioni delle persone che vi si affrontano nell’isolamento stabilito da fessure fra masse imponenti. Una sorta di strumento cinematografico di scelta del campo visivo. Il che consente al regista di sottolineare, nelle tante responsabilità dell’allestimento, un altro assunto estetico, quello della coralità del dramma, concentrato sul “costruttore”. Una legittima interpretazione che però, per la scarsa messa a fuoco dei comprimari, determina decisive carenze o imprecisioni di carattere e peculiarità espressiva.


Un momento dello spettacolo
© Compagnia Orsini

Di ciò soffre soprattutto la relazione principale fra Halvard Solness e Hilde, così ardua e profondamente ambigua nel racchiudere il nucleo più misterioso dell’opera. Mentre allo spettatore meno esigente resta forse più comodo assecondare gli incontri e i loro sviluppi lungo una drammaticità come attutita dalla stilizzazione della recitazione (comunque anti-naturalista). Un’attenzione accentuata verso i rapporti personali nel loro contesto fa emergere diverse incongruenze e difficoltà di fruizione. Non si comprende ad esempio l’intervento da psicoanalista del medico su Solness, né il comportamento disinteressato di Aline di fronte alle tresche spudorate esibite dal marito; né è chiara la posizione della segretaria Kaja, qui opportunista distaccata, tra il padrone (suo amante) e il fidanzato (compagno di convenzione), là dove l’autore esprime, nella scena d’apertura, una forte, scandalosa sensualità, oltre che un momento significativo della situazione coniugale dei Solness. Anche i tagli e le censure – apportate allo scambio di battute fra Hilde, la ragazza che fu bambina insidiata, consenziente, da Solness e l’uomo ormai maturo che la ritrova pronta a offrirglisi – alterano la vasta trama di disagi, di sensi di colpa e di scelte errate, sottraendole coerenza drammaturgica e verità espressiva. Resta più esplicito il rinvio a un mondo onirico, reso grazie alle luci e alla sonorizzazione, tradotto in immagini d’uno spazio mentale (di stampo simbolista) dal quale emergono fantasmi che nello spazio scenico costringono a promiscuità psicologicamente disagevoli o insostenibili, o che offrono una via di fuga appena immaginaria.


Un momento dello spettacolo
© Compagnia Orsini

I temi principali permangono: la tormentata vocazione di Solness, passata da quella di costruttore (non di architetto accreditato) di chiese a costruttore di case, causa del senso d’un colpevole tradimento; la lotta generazionale dei figli contro i padri; la perdita dei figli della coppia, imputata alla madre rimasta per sempre segnata. Riemerge comunque, irriducibile e inspiegabile, l’enigmatico amore che lega Halvard a Hilde che ricorda la sottomissione, perversa, dei vecchi ai giovani nelle emblematiche opere di Witold Gombrowicz. Quando la musa-bambina, ormai donna, lo riaccompagna verso il sogno, riaccende nell’uomo affermato l’illusione d’una possibile vittoria sul declino definitivo della sua esistenza. Lo si verifica al momento in cui Hilde infonde nell’uomo la forza disperata di ribellarsi al destino, con la rievocazione del loro primo incontro: fatale d’allora, tragico infine, quando scalando la sommità della sua nuova casa Solness (sofferente di vertigini) millanta il coraggio (o l’incoscienza) che lo conduce al precipizio.


Un momento dello spettacolo
© Compagnia Orsini

Accanto a un Orsini inesorabile giudice di sé stesso, misurato persino nell’esasperare le proprie debolezze, recitano Lucia Lavia, una Hilde dalla composita ambiguità e malizia, certa di un potere seduttivo vincente; Renata Palminiello, moglie nevrotica e madre frustrata, estranea quasi e insensibile al dolore; Chiara Degani, che sottrae autenticità alle morbose inclinazioni di Kaja, restando alla soglia del conformismo; Flavio Bonacci, spento difensore del talento misconosciuto del figlio Ragnar; un Salvo Drago relegato a tracciare appena i suoi progetti sul foglio da disegno; infine il dottor Herald di Pietro Micci, confessore di incubi che richiederebbero ben altre introspezioni. Spettacolo “scorrevole”, ma che resta alla superficie d’una realtà della quale non riesce a sondare l’orrore più profondo.



Il costruttore Solness
cast cast & credits
 


Un momento dello spettacolo
visto al Teatro Modena di Genova il 20 febbraio 2020
© Compagnia Orsini





 
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