Lo spettacolo diretto da Alessandro Serra e costruito attorno al
protagonista (un Umberto Orsini interprete
motivato, intelligente e di sensibilità rara, se pure un po sacrificato in un ruolo
impoverito dai tagli del testo), suggerisce vari spunti di riflessione sulla
resa della problematica ibseniana e sui mezzi per rappresentarla. A partire
dalladattamento delloriginale, che si rivela piuttosto una riduzione (da una
traduzione indefinita) drastica e spesso incongrua, lesiva della struttura di
un capolavoro che è la summa della
drammaturgia di Ibsen.
Lo spettatore riconosce subito lo
stile della rappresentazione nel simbolismo virato in abili astrazioni
scenografiche e in un dialogo sveltito e talmente alleggerito da comportare la
durata abbreviata di unora e mezzo nella replica in esame. Inoltre, il
funzionamento della scena assume un protagonismo speciale, perché in una vicenda
di “costruzione” (dedotta dal titolo-tema) si concreta, per metafora, la vita
dei personaggi. La scenografia consta di parti mobili, integrabili e adattabili,
in continuo divenire. Pareti alte e buie in vuoti circostanti, tagliati da luci
scabre o vischiose per rendere oppressive o claustrofobiche le condizioni delle
persone che vi si affrontano nellisolamento stabilito da fessure fra masse
imponenti. Una sorta di strumento cinematografico di scelta del campo visivo.
Il che consente al regista di sottolineare, nelle tante responsabilità dellallestimento,
un altro assunto estetico, quello della coralità del dramma, concentrato sul
“costruttore”. Una legittima interpretazione che però, per la scarsa messa a fuoco
dei comprimari, determina decisive carenze o imprecisioni di carattere e peculiarità
espressiva.
Un momento dello spettacolo © Compagnia Orsini
Di ciò soffre soprattutto la relazione
principale fra Halvard Solness e Hilde, così ardua e profondamente ambigua nel
racchiudere il nucleo più misterioso dellopera. Mentre allo spettatore meno
esigente resta forse più comodo assecondare gli incontri e i loro sviluppi lungo
una drammaticità come attutita dalla stilizzazione della recitazione (comunque anti-naturalista).
Unattenzione accentuata verso i rapporti personali nel loro contesto fa
emergere diverse incongruenze e difficoltà di fruizione. Non si comprende ad
esempio lintervento da psicoanalista del medico su Solness, né il
comportamento disinteressato di Aline di fronte alle tresche spudorate esibite dal
marito; né è chiara la posizione della segretaria Kaja, qui opportunista distaccata,
tra il padrone (suo amante) e il fidanzato (compagno di convenzione), là dove lautore
esprime, nella scena dapertura, una forte, scandalosa sensualità, oltre che un
momento significativo della situazione coniugale dei Solness. Anche i tagli e
le censure – apportate allo scambio di battute fra Hilde, la ragazza che fu
bambina insidiata, consenziente, da Solness e luomo ormai maturo che la
ritrova pronta a offrirglisi – alterano la vasta trama di disagi, di sensi di
colpa e di scelte errate, sottraendole coerenza drammaturgica e verità
espressiva. Resta più esplicito il rinvio a un mondo onirico, reso grazie alle
luci e alla sonorizzazione, tradotto in immagini duno spazio mentale (di
stampo simbolista) dal quale emergono fantasmi che nello spazio scenico costringono
a promiscuità psicologicamente disagevoli o insostenibili, o che offrono una
via di fuga appena immaginaria.
Un momento dello spettacolo © Compagnia Orsini
I temi principali permangono: la
tormentata vocazione di Solness, passata da quella di costruttore (non di
architetto accreditato) di chiese a costruttore di case, causa del senso dun
colpevole tradimento; la lotta generazionale dei figli contro i padri; la
perdita dei figli della coppia, imputata alla madre rimasta per sempre segnata.
Riemerge comunque, irriducibile e inspiegabile, lenigmatico amore che lega Halvard
a Hilde che ricorda la sottomissione, perversa, dei vecchi ai giovani nelle
emblematiche opere di Witold Gombrowicz.
Quando la musa-bambina, ormai donna, lo riaccompagna verso il sogno, riaccende
nelluomo affermato lillusione duna possibile vittoria sul declino definitivo
della sua esistenza. Lo si verifica al momento in cui Hilde infonde nelluomo
la forza disperata di ribellarsi al destino, con la rievocazione del loro primo
incontro: fatale dallora, tragico infine, quando scalando la sommità della sua
nuova casa Solness (sofferente di vertigini) millanta il coraggio (o lincoscienza)
che lo conduce al precipizio.
Un momento dello spettacolo © Compagnia Orsini
Accanto a un Orsini inesorabile
giudice di sé stesso, misurato persino nellesasperare le proprie debolezze, recitano
Lucia Lavia, una Hilde dalla
composita ambiguità e malizia, certa di un potere seduttivo vincente; Renata Palminiello, moglie nevrotica e
madre frustrata, estranea quasi e insensibile al dolore; Chiara Degani, che sottrae autenticità alle morbose inclinazioni di
Kaja, restando alla soglia del conformismo; Flavio Bonacci, spento difensore del talento misconosciuto del
figlio Ragnar; un Salvo Drago relegato
a tracciare appena i suoi progetti sul foglio da disegno; infine il dottor
Herald di Pietro Micci, confessore di
incubi che richiederebbero ben altre introspezioni. Spettacolo “scorrevole”, ma
che resta alla superficie duna realtà della quale non riesce a sondare
lorrore più profondo.
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