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BC

di Giuseppe Gario
  BC
Data di pubblicazione su web 04/02/2020  

In una delle strisce di Johnny Hart su BC (Before Christ) viene perfezionata l’invenzione della ruota di pietra: il freno, piolo da infilare al volo nei buchi del battistrada, schianta il guidatore a terra: ed ecco la ruota quadrata, poi triangolare con un sobbalzo in meno. In un’altra, al suo “touché” il vincitore di un duello è steso da una randellata. La mentalità BC capovolge tecnica e diritto moderni. È cronaca. Venduto a migliaia a collaudi incompleti, dopo due incidenti con la morte di tutti i passeggeri il 737MAX rivela il deficit etico e tecnico di Boeing e dell’autorità di controllo USA. «Nel decennio ultimo Boeing ha lesinato su ricerca, sviluppo, investimenti destinando solo il 7% dei ricavi, contro il 10% di Airbus. 737MAX era il futuro. È l’ora di un nuovo pilota e un nuovo corso», senza sacrifici umani sull’altare dei dividenti (Maxed out, in «The Economist», 21 dicembre 2019-2 gennaio 2020, p. 14). In India, Modi discrimina i cittadini e provoca protesta islamica e repressione (Who’s an Indian citizen?, ivi, p. 40). Sotto elezioni e giudizio, Trump e Netanyahu lanciano un’offerta pubblica di acquisto ai palestinesi per la resa in Cisgiordania e Gerusalemme est (CNN, diretta, 28 gennaio 2020).

Gli alberi si conoscono dai frutti. «In termini politici il mantra neoliberale era piuttosto semplice, consistente in tre fondamentali e universalmente attuabili obiettivi politici – privatizzare i settori più importanti dell’economia (ad esempio trasporti, miniere, telecomunicazioni, manifatture, salute, educazione) e le società pubbliche, deregolamentare il sistema economico e le sue istituzioni-chiave (ad es. banche, relazioni industriali, mercati azionari) e in generale allineare leggi e attitudini al capitalismo di libero mercato a ogni livello sociale». «Di fatto, va precisato che la prima applicazione dei principi neoliberali fu in Cile nel 1973, quando la CIA aiutò il colpo di stato contro il presidente democraticamente eletto (Allende) di un generale di destra (Pinochet), giustamente considerato molto più riconducibile alle dottrine neo-liberali di Friedman e della scuola di Chicago. L’antidemocratico lato oscuro del neoliberismo fu evidente ovunque in America Latina, in particolare nei regimi brutali di Brasile e Argentina» (S.J. Rosow-J. George, Globalization & Democracy, Lanham, Rowman & Littlefield 2015, p. 36).

«Negli anni 1980, tuttavia, l’ondata neoliberale fu più evidente al centro dell’anglosfera – UK di Margareth Thatcher (1979-1990) e USA di Ronald Reagan (1980-1988). Determinò l’agenda politica e analitica anche in Australia, Nuova Zelanda e Canada. E negli anni 1980 il neoliberismo divenne egemonico nelle maggiori istituzioni dell’economia politica globale (ad es. FMI e Banca Mondiale), dove furono abbandonate le prospettive keynesiane e le originarie istituzioni regolative di Bretton Woods divennero i poli più potenti dell’agenda del libero mercato globalizzato. È il noto Washington Consensus […] emanazione di FMI, Banca Mondiale e Dipartimento del Tesoro US, tutti con sede a Washington». «C’è stata una massiccia espansione dei settori finanziari in tutto il mondo insieme a un’accelerazione del processo di globalizzazione economica, via via che un numero crescente di economie è stato integrato in un sistema di mercato globale di “turbo-capitalismo”. Ma in questo processo lo sviluppo finanziario lodato dai neoliberali è largamente avvenuto fuori dalle economie “reali”, nel mondo del trading elettronico della valuta, dei fondi speculativi e dei “derivati”. Negli anni 1980 Susan Strange e altri misero in guardia contro i pericoli di questa deriva, additando i caratteri da “casino capitalism” di un sistema finanziario in cui si scambiano quasi simultaneamente miliardi di dollari, con la capacità di investitori e speculatori di destabilizzare e di fatto distruggere economie e società per contagio finanziario (ad es. in Asia nel 1997-1998)» (ivi, pp. 36-38).

«Così, se gli USA ne sono stati i maggiori beneficiari, l’ordine mondiale neoliberale non può essere ridotto agli interessi di un singolo stato (per quanto potente) o a una singola classe dirigente. Una più precisa comprensione dei vincitori nel contesto neoliberale si concentra su un’élite transnazionale o globale che nei suoi vari spazi e luoghi è capace di trarre vantaggio dalle condizioni sociali e politiche intrinseche alla democrazia neoliberale. La variante della narrativa democratica occidentale è utile così non solo agli ideologi USA che invocano il “destino manifesto”, pietra angolare della leadership globale americana, ma anche a ognuno dei numerosi regimi al governo in Medio Oriente, Asia, Africa e Europa Orientale, che possono facilmente manipolare con successo le promesse del libero mercato neoliberale a proprio (antidemocratico) vantaggio» (ivi, p. 42).

«Questo progetto di democrazia gestita si può forse capire meglio in termini di poliarchia». «Detto semplicemente, la poliarchia si riferisce a un sistema in cui di fatto governa un piccolo gruppo mentre la partecipazione di massa al processo decisionale è confinata alla scelta della leadership in elezioni gestite da élite in competizione. In questo senso, è il governo d’una élite con caratteri “democratici” in cui la partecipazione democratica è limitata al processo elettorale e al semplice atto di scegliere tra élite ogni 5 anni [da noi venduto come governo del popolo, ndr]. Più significativamente la concezione democratica poliarchica ignora l’importanza dell’uguaglianza economica come elemento integrante della democrazia. Contro la concezione democratica “popolare” per cui sono cruciali i risultati politici, economici ed etici del sistema democratico, l’approccio poliarchico si limita al processo, politico e istituzionale». «Il significato di questa concezione drasticamente limitata di democrazia è assai chiaro nel fatto che “non c’è contraddizione tra processo democratico e ordine sociale costellato di drastiche ineguaglianze sociali”. Perciò, con la sua attenzione esclusiva alla competizione elettorale tra élite politiche, la definizione poliarchica di democrazia depotenzia le questioni di ineguaglianza sociale ed economica proprie degli snodi classici della democrazia della prima modernità, suggerendo invece che la monopolizzazione di ricchezza e potere da parte di una minoranza è di fatto conforme alla democrazia – finché esistono “elezioni libere ed eque”» (ivi, pp. 43-44).

È una vecchia storia. «Il mondo economico americano preferisce chiamarsi “il sistema della libera iniziativa”: o, con ancor maggiore espansività, “il modo di vita americano”». «No, il solo significato esistenziale di iniziativa si riferisce a ciò che gli uomini d’affari stanno facendo in quel momento, e libera è soltanto la concomitante pretesa di essere lasciati in pace a farlo. Nel complesso l’ideologia corrente del mondo economico è soltanto un’evasione dalla realtà della vita, accompagnata da pugni sul tavolo» (D.T. Bazelon, L’economia di carta, Milano, Edizioni di Comunità, 1964, p. 29).

Nel mezzo secolo tra i libri di Bazelon e di Rosow e George, crollata l’URSS, l’ideologia si riduce alla scalata di imprese e stati per profitto. Come in Cile, i governi neoliberisti servono per soffocare il dissenso e tenere periodiche elezioni “libere ed eque gestite da élite in competizione” con le loro macchine del consenso. «Poiché le differenze difficili da negoziare nel mondo globale si manifestano meno tra gli stati, la guerra tra stati tende a diminuire, come infatti è. Il punto è rafforzato dalla conclusione di Doyle che, siccome diminuiscono le guerre tra gli stati poliarchici, i liberali devono affrontare guerre e interventi coloniali per assicurare materie prime e mercati. Ma questo indica che invece di produrre un mondo pacifico il capitalismo genera conflitti “sotto” il livello statale che rende problematici stati e sicurezza umana» (Rosow-George, Globalization & Democracy, cit., p. 131). Spesso guerre civili, i conflitti si generalizzano e i governi li sfruttano imprenditorialmente a proprio vantaggio, lasciando i cittadini a cavarsela come possono. Di nuovo, è cronaca. Nella riforma costituzionale russa «in sostanza, le risoluzioni dell’Onu, del Consiglio d’Europa e i verdetti dei tribunali internazionali non avrebbero più valore sul territorio russo. Quanto al potere, quello vero passerebbe a quel Consiglio di Sicurezza finora organo consultivo del quale Putin resterebbe a capo conferendogli uno status costituzionale, e all’ancora nebuloso Consiglio di Stato, una sorta di copia un po’ sbiadita ma nella sostanza molto simile al Politburo di gloriosa memoria (per la nomenklatura, ovviamente)» (G. Ferrari, Tre piaghe e un azzardo, in «Avvenire», 19 gennaio 2020, p. 1). Così in Brexit Sajid Javid, cancelliere dello Scacchiere: «“Non saremo nel mercato unico – avverte – né in quello doganale”. Le aziende britanniche sono pertanto esortate a rassegnarsi e ad “adattarsi” alla nuova realtà» (A. Napoletano, Brexit, il governo ammette “Problemi per le aziende, ivi, p. 17).

Finanza e dazi sono armi. Gli USA ne subiscono danni divisivi interni, discreditanti e destabilizzanti esteri. «Qualora il conflitto economico e strategico con la Cina sfuggisse al controllo, avrebbe costi immensi. Duplicare una filiera tecnologica costerebbe due triliardi di $ almeno, il 6% del loro prodotto interno lordo complessivo. Grande sfida che potrebbe offrire un obiettivo comune, il cambiamento climatico sarebbe ancora più difficile da affrontare. In gioco anche il sistema di alleanze, un pilastro della forza americana. Alla Cina maggiore fornitore e importatore si affidano 65 paesi e nazioni e, di fronte alla scelta tra le due superpotenze, non tutti sceglierebbero zio Sam – specie se continua l’attuale politica America First. Più preziosi di tutto i principi che hanno fatto grande l’America: regole mondiali, mercati aperti, libertà di opinione, rispetto per alleati e debite procedure. Negli anni 2000 usava chiedersi quanto la Cina potesse diventare come l’America. Negli anni 2020 la vera domanda è se una sua disaggregazione completa come superpotenza può rendere l’America più simile alla Cina» (Poles apart, in «The Economist», 4-10 gennaio 2020, p. 7).


BC. I sacerdoti neoliberisti del dio unico denaro esprimono e guidano la regressione umana, politica, tecnica, giuridica, economica in corso. Per dirla con Scott Spencer, «il mondo appartiene a coloro che possono soddisfare la propria fame. Gli altri sono cibo» (Una nave di carta, Palermo, Sellerio, 2019, p. 76). «Interrogato sulla natura del denaro, un intervistato congetturò candidamente che era solo “un oggetto di prezzo relativo” (trader F), vale a dire un mezzo per definire relazioni di valore piuttosto che qualcosa con un suo intrinseco valore. È forse ironico che gli attori di mercato più consapevoli dell’artificio del denaro siano anche i più incentivati ad accumularlo» (Money Talks. Media Markets Crisis, a cura di G. Murdoch e J. Gripsrud, Bristol, Intellect, 2015, p. 61). Ironia tragica: se il denaro è un fine in sé distrugge sé stesso e tutto ciò a cui impedisce di essere, desertifica il mondo.

L’antica consapevolezza tragica della regressione umana si incarna nel mito di Sisifo, che nel pieno dell’ultima – speriamo – notte di civiltà d’Europa e del mondo, Albert Camus invita a pensare felice, concludendo Le mythe de Sisyphe. Essai sur l’absurde (Paris, Gallimard, 1942): «La stessa lotta faticosa per arrivare alla cima del monte basta a colmare un cuore umano. Bisogna immaginare un Sisifo felice». Così commentava nel 1995 Emilio Tadini: «Risolvere delle contraddizioni particolari che ci troviamo davanti, pensare davvero di fare un po’ di luce in questo buio che ci troviamo di fronte, come si presentano, senza illudersi di accendere definitivamente il sistema di illuminazione dell’universo, senza illudersi che il male finisca, che l’ingiustizia sia tolta una volta per tutte, e senza deludersi: allora ecco che capite che cos’è questo elogio di Sisifo, questo dire Sisifo può essere felice» «in questa sua eterna fatica mai finita» (La Grande Radio, Radiorai3, 12 gennaio 2020, ore 18.00).

«Al riguardo l’esempio USA è ricco di lezioni. Là il neoconservatorismo è diventato ideologia standard della New Right, anche se l’“alto tono morale” di questa ideologia sembra incompatibile col carattere “amorale” della razionalità neoliberale. Un’analisi superficiale indica che siamo in presenza d’un gioco duplice. In realtà tra neoliberismo e neoconservatorismo c’è un accordo per nulla fortuito». «È dunque l’elogio incessante dell’individuo calcolatore e responsabile, inevitabilmente nella forma del lavoratore e padre di famiglia oculato e previdente, che sostiene lo smantellamento dei sistemi di pensione, pubblica istruzione e sanità» (P. Dardot-C. Laval, The New Way of the World: On Neo-Liberal Society, London-New York, Verso, 2014, p. 310). In questo suk globale l’UE, forte del suo mercato interno e nel faticoso procedere verso un governo federale di democrazia moderna, in settant’anni ha portato in Europa la pace, necessaria precondizione dello sviluppo economico e sociale, la pace che il neoliberismo sta distruggendo nel mondo insieme a democrazia e sviluppo economico e sociale.

Ricevendo il Sidney Peace Prize nel 1999 l’arcivescovo Desmond Tutu disse «che noi diventiamo esseri umani nella nostra relazione con gli altri; non possiamo diventare umani da soli». «Riconoscere che diritti umani e pace sono reciprocamente dipendenti è un passo importante verso l’attivazione dei diritti umani e della pace» (Activating Human Rights and Peace. Theories, Practices and Contexts, a cura di G. Bee Chen, B. Offord e R. Garbutt, Farnham, Ashgate, 2012, pp. 244 e 246). Senza diritti umani niente pace, democrazia, sviluppo tecnico, economico e sociale. Solo lo stato brado in cui l’umanità sta scivolando sotto i nostri occhi.







 
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