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Madri di MISERICORDIA

di Anna Barsotti
  MISERICORDIA
Data di pubblicazione su web 23/01/2020  

Non è la storia ma la perfezione del “concertato” a trascinare lo spettatore dentro di essa, spaccando la quarta parete, nonostante la frontalità della scena che l’artista palermitana Emma Dante seguita a preferire come spazio agito (e delimitato) tra fondo e ribalta. Così come dal buio devono emergere, a un tratto, i suoi attori-fantasmini: più e meno di personaggi, riconoscibili (da chi abbia dimestichezza con il “poema teatrale” dantiano) ma sempre nuovi per l’intreccio sonoro, ritmico, delle loro scansioni corporee e vocali. In questo piccolo capolavoro, infatti, si condensa il dialetto reinventato di mPalermu in infusione con il pugliese, come in Le sorelle Macaluso.


Un momento dello spettacolo
@ Masiar Pasquali

Tre donne e un ragazzo sono disposti, nell’incipit, sul fondo, seduti su seggioline pieghevoli e con una prossemica che ne anticipa raggruppamenti e antagonismi: due delle femmine (Nuzza-Manuela Lo Sicco, Anna-Leonarda Saffi) a sinistra sferruzzano e soprattutto confabulano, a destra una sola (Bettina-Italia Carroccio), che le altre tendono a isolare; creatura di separazione, e di contesa, il “pinocchietto” autistico (Arturo-Simone Zambelli), dai legnosi movimenti (apparentemente) spastici e ripetitori, ma intonati, per la consueta musicalizzazione, al ticchettio dei ferri da calza. Poi la fila (o schiera) si disfa per dare vita ad azioni che, di quando in quando, percorreranno lo spazio che divide il fondale dal proscenio, sostando sovente su quest’ultimo o in sua prossimità. Sono quadri sorprendenti perché vi si rovescia di continuo, ma per salti, la prospettiva: dal paradosso d’una gioia di vivere nel degrado al tragico che da quel degrado, nel passato rievocato, è scaturito; e anche viceversa. Finché non si scopre, come avviene spesso nella Dante più recente, che al di là dei bisticci (anche) meschini e delle contrapposizioni, in questa parte emarginata del mondo, sussiste la misericordia.


Un momento dello spettacolo
@ Masiar Pasquali

Una misericordia “materna” (che riecheggia nel termine-titolo una preghiera) ha portato le tre apparenti donnette a prendersi cura del figlio difettato, prima ancora della nascita, d’una loro compagna, vittima delle violenze d’un disumano falegname (Geppetto). Lo spunto fiabesco – ormai componente sostanziale della produzione dantiana – è calato in una realtà anomala ma vera, dove solo pochi oggetti residuali, come le passioni scolpiti da colpi di luce, offrono all’immaginazione l’effetto della miseria e del deterioramento. Fortissima la scena in cui l’atroce narrazione dei calci nella pancia gravida della disgraziata Lucia (che ne muore) scaturisce da accuse reciproche che, invece, sono mosse da un sentimento di solidarietà, dal comune amore per la madre e per il figlio, e dalla frustrazione dell’impotenza. Altrettanto forte (anche per l’effetto sorpresa) il quadro della svestizione delle stesse donne, dalle vestagliette casalinghe ai tanga da prostitute, in un ballo grottesco e dolente, dove il primo piano del corpo voluminoso di una di loro (Anna-Leonarda Saffi) colpisce senza vergogna per la perfezione dei movimenti. D’altra parte, come anticipato, la più o meno latente tragicità di tali scene è compensata dai riti gioiosi e (al fondo) malinconici con cui le madri adottive si prendono cura del pinocchietto indocile, il quale passa dagli spasmi autistici a un’esuberanza straordinaria, aleatoria e svolazzante, che pure (mediante sottili e raffinati innesti) li comprende. Per tutte, si veda la scena del suo difficile addormentamento, comicamente ripetuta eppure colma di struggente tenerezza. Così come struggente è il congedo.


Un momento dello spettacolo
@ Masiar Pasquali

Infatti il destino di questo “Pinocchio”, giunto all’iniziazione dell’adolescenza, non può essere che l’istituto. Commuove anche il quadro in cui Zambelli simula, con gesti “discreti” e parimenti “fluidi”, la difficoltosa riuscita d’una vestizione da ragazzo “normale”. Ma nella valigetta che si porterà dietro le sue fate madrine zeppano ricordi evocati dal mondo degli oggetti caro alla Dante: dalla crocetta, alla foto, al carillon; e il finale non è paradossalmente infelice. Dopo aver salutato, chiamandole “mamma”, le tre donne che l’hanno accudito, il ragazzino conserva la vitalità d’un burattino d’eccezione: posto all’estremo limite sinistro del boccascena, come se stesse per balzare giù, investito dalla luce, suona la sua trombetta (come quando passa l’amata banda).



MISERICORDIA
cast cast & credits
 



Un momento dello spettacolo visto al Piccolo Teatro Grassi di Milano il 14 gennaio 2020
@ Masiar Pasquali

 
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