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Orrore e paura, con fantasia

di Gianni Poli
  Misery
Data di pubblicazione su web 21/11/2019  

Lo spettacolo piace decisamente e ci si chiede subito perché. Sarà perché la materia dell’originale, il romanzo horror di Stephen King, è trattata con evidente ironia e stabilisce, verso il genere e le convenzioni d’approccio, un distacco che facilita la fruizione divertita. Sarà per la mediazione del drammaturgo William Goldman, autore d’un adattamento funzionale che dosa attesa e tensione narrativa con l’azione drammatica, pure mantenendo vivi gli immancabili ingredienti del giallo e del thriller. La rappresentazione è diretta da Filippo Dini con una sentita adesione emotiva, in grado al contempo di affinare l’analisi dei moventi e dei comportamenti dei personaggi e di accrescere la coscienza del gioco teatrale, in analogia col gioco della scrittura, all’intersezione appunto dei diversi linguaggi comunicativi.


Un momento dello spettacolo
@ Teatro Due

La situazione iniziale della storia sorge dall’incidente automobilistico che ha coinvolto il famoso scrittore Paul Sheldon, salvato dalla sua ammiratrice Annie. Lo sviluppo di sentimenti e relazioni vede il protagonista mutare rapidamente dalla gratitudine e dalla gioia per lo scampato pericolo alla sensazione d’essere entrato in un incubo senza fine. La sua salvatrice, infatti, dapprima eccitata per l’incontro con l’amato creatore di Misery, apprende dal manoscritto dell’ultimo suo romanzo la morte dell’adorata eroina e ne resta sconvolta. Scatena allora la sua violenza per costringere l’autore a scrivere un seguito nel quale il personaggio “resusciti” e continui a soddisfare la sua immedesimazione morbosa. Costretto al compito ingrato, «mentre tenta disperatamente di organizzare una fuga – annota il regista nel programma di sala – Paul affronta faccia a faccia, come mai lo ha affrontato nella sua vita, il suo demone, incarnato da Annie. Il demone che accompagna la vita di ogni artista». E continua con altre ipotesi – forse eccessive quanto i sentimenti che la pièce rappresenta – nel definire Annie e il suo idolo: «Prigioniero del suo talento e della sua vocazione, scopre se stesso nel viaggio all’inferno in compagnia di Annie. E lei è semplicemente indimenticabile. […] Non è folle, Annie ama alla follia».

Secondo Arianna Scommegna, che interpreta Annie, il rapporto fra vittima e carnefice non è mai scontato, poiché l’intima aspirazione dell’ammiratrice ribalta la situazione e giustifica la propria crudeltà verso l’autore con la sofferenza che l’atto creativo provoca in lei stessa. «Nell’atto creativo c’è la gioia della natività ma anche tanto dolore. Ecco il cortocircuito». In effetti, lo spettacolo contraddice (felicemente) certe premesse, ottenendo quella miscela di cruda realtà e d’illusione che possono muovere all’umorismo; anche tramite citazioni di luoghi e situazioni di un genere cinematografico a sua volta critico verso le trovate più persuasive.  


Un momento dello spettacolo
@ Teatro Due

Il luogo scenico principale è la stanza in cui giace il ferito dalle gambe spezzate. Grazie al dispositivo rotante, si mostrano a volte la cucina e l’accesso esterno dell’abitazione. L’isolamento e la claustrofobia si avvertono acuiti dalle note lancinanti d’una musica stridente, fuse nei rumori naturali che, sincronizzati con il ciclo della luce solare, segnano lo scorrere del tempo. Inoltre, a connotare la personalità dell’ospite parlano le immagini sacre alle pareti e altri indizi del suo moralismo cattolico, manifesto fin dall’inizio nell’ipersensibilità verso il turpiloquio, represso nell’autocensura, eppure compiaciuto. Controllato a vista e costretto a letto o su una sedia a rotelle, Paul vive prigioniero d’una donna alterata e crudele che, paradossalmente innamorata, gli spezza di nuovo le gambe quando esita a mutare il destino dell’eroina. L’intervento di uno sceriffo sospettoso e scaltro, un po’ ingenuo (un Carlo Orlando prossimo al cliché hollywoodiano), contribuisce alla suspense del racconto, nel quale finirà ucciso da Annie a colpi di pistola.  

Di alta qualità la recitazione dei protagonisti. Ad Arianna Scommegna tocca la parte più impegnativa, resa con immediatezza e vigore, ammirevole per la varietà della gamma espressiva. Cosciente della sua nevrosi fatta missione, trova una pronuncia ora rozza ora suadente nelle proposte e nelle imposizioni alla vittima. L’emissione concitata, l’urgenza della sua condizione delirante giungono con precisione implacabile. Alla gestualità della contadina unisce la professionalità dell’ex infermiera. Dall’altalenante sequenza dei suoi eccessi sorge la strana comicità dell’orrore e del dolore esibiti. Filippo Dini è sicuro e convincente nel misurare paura e sgomento, alla ricerca della via di fuga e della sopravvivenza, nei momenti in cui indaga sul proprio intimo e scopre scopi e limiti della sua vocazione artistica. Sa sottolineare gli estremismi dell’antagonista, pure superando la diagnosi psicopatologica a senso unico e orientando gli eventi traumatici in direzioni fantastiche, oltre ad assumerli a spunti di severa riflessione.      


Un momento dello spettacolo
@ Teatro Due

L’acme conflittuale si raggiunge nello scontro fisico, quando la donna viene atterrata dalla macchina da scrivere che Paul usa come arma e nella reazione di lei che soffoca lo scrittore e tenta di amputargli una gamba con la sega meccanica. Così, fra raggelanti suoni (di Arturo Annecchino), canzoni dallo swing avvolgente nei cambi di scena e luci magnifiche, dalle tonalità pittoriche (di Pasquale Mari), il sipario cala lentamente sui due combattenti stremati. L’epilogo però prosegue sul proscenio. Un po’ didascalico, riunisce l’autore, intervistato per promuovere l’ultimo libro della serie Misery, e una giovane valletta, chiamata Misery (impersonata dalla stessa Scommegna): prova ulteriore dei pericoli e delle risorse della finzione, sia letteraria sia scenica, qui cordialmente complici nel chiudere con eleganza e bravura la rappresentazione. 



Misery
cast cast & credits
 


Un momento dello spettacolo visto il 5 novembre 2019 al Teatro Duse di Genova



 
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