Nel
cartellone del teatro Manzoni di Milano, in mezzo a tanti protagonisti del
piccolo schermo, trova spazio anche Anfitrione da Plauto del regista Filippo Dini. Lo spettacolo si pone a
metà tra intrattenimento televisivo e teatrale, tra comicità alla Zelig e
quella plautina. La commistione dei linguaggi, di per sé lecita tanto più in
una palliata, non sempre è
convincente. Il difficile equilibrio tra trama originaria e ambientazione
moderna è ottenuto solo a tratti, spesso si perde.
La
vicenda si svolge davanti e dentro una villa a due piani nella campagna di
Fasolara, paese immaginario della pianura padana. La scenografia di Laura Benzi è funzionale a delineare lo
spazio scenico antistante la casa dove i personaggi interagiscono in modo
dinamico, lo spazio retroscenico degli incontri amorosi tra Giove e Alcmena e
nel finale il theologheion dal quale
si palesano le divinità. Anche le luci di Pasquale
Magri sono un valido supporto alla trama, soprattutto nella scena iniziale
in cui lo stesso Giove prolunga la notte damore con la sua innamorata e in
modo metateatrale dà indicazioni di illuminotecnica.
Un momento dello spettacolo @ Teatro Manzoni Lo
spettacolo inizia con lirruzione dalla platea del rumoroso Sosia. Luomo è al
cellulare con la madre e parla con un forte accento napoletano. Nella scena,
forse troppo lunga, Giovanni Esposito
esaspera i caratteri del servus callidus
plautino qui autista tuttofare dellonorevole Anfitrione. La vis comica di Sosia, sebbene “manierista”,
convince il pubblico che applaude a scena aperta.
Si
delinea progressivamente il contesto: Anfitrione sorprendentemente è appena
stato eletto presidente del Consiglio e insieme a Sosia torna a casa per
festeggiare con la moglie. Alcmena nel frattempo ha trascorso una
indimenticabile notte di passione con Giove che aveva assunto le sembianze di
suo marito. Larchetipo della matrona
romana è trasposto nello stereotipo a volte fastidioso della quarantenne
frustrata, infelice per le numerose assenze del marito egoriferito e per la
mancanza di un figlio. Barbora Bobulova
ne interpreta in modo convincente le nevrosi.
Un momento dello spettacolo @ Teatro Manzoni Nella
più famosa scena plautina in cui Sosia e il sosia Mercurio si
fronteggiano emerge la crux
drammaturgica. I due Sosia sono infatti molto diversi non solo fisicamente ma
anche caratterialmente. Il primo è esile e pusillanime, il secondo (Valerio Santoro) atletico e arrogante. Analogamente,
Anfitrione (Antonio Catania) è
basso, vanitoso ed egoista, mentre Giove-Anfitrione (Gigio Alberti) è alto, sensibile e premuroso con la moglie.
Pertanto
gli equivoci di identità risultano poco credibili nello svolgersi della
vicenda. Debolezza registica che nel finale è “smontata” dai protagonisti
stessi. La rottura della quarta parete è un escamotage
apprezzabile. Sosia: «Io tutta quella somiglianza non la vedo». Anfitrione:
«Giove non mi assomigliava per niente». E alla domanda di Alcmena: «perché non
lavete detto? Abbiamo mentito tutti?», il marito liquida così la questione:
«sono un uomo del fare». In questo modo è legittimata la superficialità dello
spettacolo che non solleva gli interrogativi sullidentità di Plauto.
Un momento dello spettacolo @ Teatro Manzoni Nellultima
scena Anfitrione in piedi al tavolo urla al microfono slogan da campagna
elettorale e la giustificazione che in qualità di neopresidente del Consiglio
utilizzerà in rapporto ai problemi irrisolti del Paese: «gli dèi esistono!
Possiamo dire che qualsiasi cosa è colpa degli dèi. La colpa è degli dèi. È
questa la visione!»
Silenzio
amaro. Applausi calorosi.
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