Il
boccascena come il desktop espanso del nostro computer. Un effetto neve
illumina di fiocchi argentati lo schermo gigantesco del palcoscenico del Teatro
Argentina. Nel buio le mani della nostra storia più recente e atroce imprimono,
lentamente, le parole di Primo Levi; intanto un canto lontano accompagna
lo spettatore verso il lungo monologo tragico di Valter Malosti. Se
questo è un uomo fa parte del progetto Me, mi conoscete. Primo Levi a
teatro, ideato dallattore-regista per Teatro Piemonte Europa con la
collaborazione del Centro Internazionale di Studi Primo Levi, il Comitato
Nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Primo Levi e il
Polo del 900.
Se
questo è un uomo
(1947), diario, confessione, grido dellautore reduce di Auschwitz, è la più
oggettiva e cruda testimonianza italiana dellOlocausto. In quel celebre libro
il lager si materializza certamente attraverso gli orrori in esso
perpetrati, ma soprattutto per mezzo dellesposizione in prima persona della
propria intimità, del dolore del deportato, della descrizione di una
quotidianità allucinata fatta di incontri e piccole azioni; piccoli gesti come
ultimi baluardi di unumanità umiliata ma sopravvissuta.
Un momento dello spettacolo © Tommaso Le Pera
Luci,
suono e attore sono gli elementi principali attraverso cui si esprime la regia
di Malosti per questo difficile one man show, drammatico fin nella sua
essenza. Il compito del regista è qui delicatissimo proprio per la materia
prima che maneggia; non vi è pressoché distanza tra il testo e lautore, e
pochissima ne troviamo tra la vita e larte. Il contenitore libro, come il
contenitore teatro, possono farsi solo occasione per un nuovo atto di denuncia,
tanto più attuale oggi, in uno scenario sociale preoccupante che incita ai
nazionalismi e oltraggia Liliana Segre,
testimone vivente della stessa tragedia tramandata da Levi.
La
scena costruita rinvia, attraverso la parapettata iniziale, a un interno: una
stanza grigia e spoglia che espone un termosifone. «Voi che vivete tranquilli
nelle vostre tiepide case» – così Levi richiama lattenzione del lettore in Se
questo è un uomo. Presto però lo scenario cambia e si trasforma in un
binario morto avvolto dalle tenebre. Le assi del palcoscenico sono coperte da
un materiale che si intuisce ghiacciato – un misto tra acciaio e cemento armato
–, banchina-binario di una stazione che è inferno ma che, purtroppo, non è
ancora morte. Questo binario svetta in alto sul lato destro della scena creando
un muro, inclinato e scivoloso, su cui spesso lattore si accascia. Leffetto
che lo spazio scenico produce – il freddo, il senso di pericolo – è soprattutto
dato dalle luci, dai rumori e dalle proiezioni di cui la regia fa uso e abuso.
Un momento dello spettacolo © Tommaso Le Pera
Lelemento
tecnico è qui fortemente sfruttato, forse in supporto allo sforzo dellattore che
è impegnato in un monologo lungo quanto lintero spettacolo, spezzato solo
dalla musica-canto e dagli effetti sonori e visivi. I suoni, evocativi e
abbondanti, si sovrappongono alla recitazione di Malosti-Levi creando lo spazio
dello sfruttamento e del sopruso, un luogo in cui si è sempre esposti. Un
riflettore segue e denuncia continuamente il corpo in scena, lo spia, mentre
una lampadina che cala dallalto sembra offrirgli un ultimo conforto. Le
proiezioni si susseguono sul fondale-desktop proprio come sfondi (lande
desolate, cespugli rinsecchiti, il tumulto del mare, un maestoso cavallo
bianco), ora descrittivi, ora simbolici, forse superflui nel voler suggerire
una lettura che già Levi, per il tramite dellattore, ci fa percepire.
Lattore-regista
rimane il vero punto di forza di questo spettacolo. Malosti in abito scuro anni
Cinquanta, cappotto e valigia, crea una figura pulita, elegante e ben nutrita che
subito entra in cortocircuito con il racconto di un corpo emaciato, intirizzito
dal freddo, torturato da piaghe e sudiciume. Nel suo ininterrotto monologo è
solo. Due figure sporadicamente gli camminano intorno come fantasmi – una donna
e ciò che resta di un uomo –, ma nulla aggiungono alla narrazione. La
recitazione dellinterprete è umida, difficile, insegue e trattiene le parole
che gli rotolano giù come un conato liberatorio. Sentiamo il palato impastato
di saliva e lo sforzo nel trattenere una erre francese, percepiamo con lui
lesigenza di bere.
Un momento dello spettacolo © Tommaso Le Pera
In
questo viaggio fatto di parole, le lingue – quelle dei prigionieri e il tedesco
duro del comando – si mescolano nella babele del lager fino ad arrivare
a Dante: La Divina Commedia, Il canto di Ulisse, ultimo rifugio
contro la brutalità. «Fatti non foste per viver come bruti» (Inferno, XX), ci ricorda Levi, e
lattore ne approfitta per un meraviglioso pezzo di teatro.
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