Sulla scena del Teatro Duse di
Genova appare subito esplicito limpianto sonoro di questopera di teatro
musicale da camera: le percussioni e lattrezzatura elettronica, a sinistra; a
destra, il complesso strumentale. Al centro, un alto specchio e una pedana
praticabile raccordata al proscenio e alla platea. Così laire de jeu stabilisce il rapporto fra scena e sala, per una
partecipazione reattiva dello spettatore.
Andrea Liberovici ripropone un suo progetto già sperimentato, da Urfaust e Figli delluranio (2005) a Operetta
in nero (2011) e a Fausts Box
(2016), per dargli una nuova coerenza e un nuovo significato. È loccasione, nellesegesi
di Angelo Foletto, per verificare «la
grande bellezza del teatro (musicale) di oggi tra opera e cinema» (Programma di sala, p. 53). Il lavoro è
molto colto e stratificato, ricco di rimandi, allusioni, citazioni; nellinsieme
mira a creare un “mosaico” delementi suggestivi, sia musicali sia verbali sia visivi,
in forma di fenomeni cosmici o di minimi fatti personali, distribuiti in simmetria
geometrica. Il libretto in inglese (sovratitolato in italiano) corrisponde alla
partitura per lorganico, specificato in voci, clarinetto, elettronica, quartetto
darchi e percussioni.
Un momento dello spettacolo
© Alfredo Anceschi
I “movimenti” sono distribuiti nelle
tre parti in cui è scandita lopera: Fausts
Box, Florence, Madrigal for 9 Rooms. Ne è protagonista
MeFaust, un ambiguo Mefistofele-Faust (interpretato da Helga Davis, personalità androgina en travesti) a confronto incessante
con sé stesso, nel riflesso che rimanda un grande specchio (e schermo video) in
un dialogo variegato di motivi. In questo dispositivo affiorano, talvolta con
qualche pesantezza, le fonti letterarie e filosofiche. Dal capolavoro di Goethe, Liberovici divaga infatti verso
suggestioni memoriali, anche visive; momenti di uninfanzia mitica e conflitti con
le domande esistenziali maggiori. Per ciò si serve delle voci (registrate) del
Ghost Writer nel Prologo (Ennio Ranaboldo) e del Narratore (Robert Wilson).
Dal
Faust originale, molto caro
allautore che lo ha frequentato in
Urfaust
e reinventato in
Fausts Box, provengono
i temi del
Prologo, domande sul senso
imperscrutabile della vita («Prendete a piene mani la vita!»), sulla formazione
delle idee nella ricerca del sapere condotta da quel campione della sensibilità
europea: «Faust. Diciamo che il suo nome è il Logo di questa trasformazione» (ibid.).
Tanto che, nellipotesi
in progress,
dovrebbe animare unimmagine dellEuropa, multiforme disegno nelle tessere di
un mosaico culturale, comprendente la figura di
Florence Nightingale, benemerita riformatrice dellassistenza medico-ospedaliera,
e la città di Venezia, scrigno e modello duna bellezza scampata al tempo e
alla Storia.
Un momento dello spettacolo
© Alfredo Anceschi
Loperazione è complessa per
strumenti di comunicazione e obiettivo artistico. I mezzi sono la narrazione
poetica e il canto, la sonorità musicale o rumoristica, prodotti e diffusi da
tecniche alquanto sofisticate. Così le percussioni tradizionali (tamburi, vibrafono)
si integrano con suoni “concreti”, quali martelli e parti di lavatrice. La
componente affidata al quartetto classico genera atonalità neoavanguardiste e ironici
traviamenti (fino alla parodia) di generi attuali, dal pop song al gospel. Spesso
i musicisti presentano una gestualità esibita, contestuale alleffetto emotivo
della dizione poetica o concettuale. Revisione critica delle forme tradizionali
e un po di nostalgia si scontrano in ricorrenti incisi ideologici, nei quali
leventuale moralismo viene bilanciato dalla contestazione scherzosa dei
giudizi.
Memorabili alcune “arie” che
diventano canzoni e alimentano lincerto andamento da musical in numeri godibili: il canto Hypothalamus, «Oh hypothalamus / where are you in my body», in
forma di gospel a ricalco di Happy days, e lo sfogo del Capro espiatorio incazzato «Fuk You»,
che viene eseguito da un icastico coretto a
cappella. Nel fiume impetuoso della voce della Davis (un timbro “baritono”,
modulato dal microfono) si ascolta il fluire e il frangersi delle acque e il
palpitare delle viscere, mentre i ritmi trascorrono da cadenze afro a fraseggi jazz o swing. Del resto,
è lei lagente principale che consente di «cantare (con) i gesti, recitare
(con) i suoni». Rischiando la libertà assoluta, Liberovici sembra inseguire un «mini-delirio
wagneriano», in quanto autore di unopera “totale”; ma se ne salva – osserva
Foletto – perché «[ne] è allegramente consapevole e allo stesso tempo
ludicamente immune» (Programma, p.
55).
Un momento dello spettacolo
© Alfredo Anceschi
In rapido
tableau vivant si
fissa lapparizione di Florence, che accoglie sulle ginocchia, in posa di
Pietà di
Michelangelo, la stessa direttrice,
Sara Càneva. Nella terza sequenza, «sacra rappresentazione laica
del nostro tempo» (
Programma, p. 56),
appare una Venezia che rinasce splendida dal fango su cui è costruita. Per
esprimerla, il madrigale
Solo e pensoso
di
Luca Marenzio (1599) viene rielaborato
affinché allascolto risulti di contrastato umorismo. Le situazioni evocano
LEnfant et les sortilèges di
Colette musicato da
Ravel e il connubio musica-pittura mostra
affinità con lesperienza degli artisti fiorentini
Daniele Lombardi e
Giuseppe
Chiari. Lautore cita
Prometeo.
Tragedia dellascolto di
Luigi Nono
e
Einstein on the Beach di
Robert Wilson e
Philip Glass (ripreso con la stessa interprete nel 2014). Lesito
della ricerca compone una drammaturgia “mentale” di vaga impronta surrealista
che presume, fino allinsistenza dimostrativa, la fede del compositore nel
proprio artificio. Unattenzione tesa, partecipe, di un pubblico a ranghi
ridotti ripaga la prestazione (durata unora e quarantacinque minuti con
intervallo) raffinata e curata in ogni particolare.