«Si trova nella vasca da bagno, il crogiolo dello spirito
del mondo da cui esce uno splendente Hermes, dorato come il sole vincitore (Sol
invictus), che si erge sui protagonisti della vicenda, stretti a lui poco
più in basso nella tinozza dello “Spirito del mondo”». Così termina la pièce
di Alexander Eisenach Felix
Krull. Stunde der Hochstapler (Felix Krull. Lora degli imbroglioni),
che lautore e regista ha liberamente tratto dal romanzo di Thomas Mann Bekenntnisse des
Hochstaplers Felix Krull (Confessioni
del cavaliere dindustria Felix Krull). Mann iniziò a scriverlo nel 1910 e
lo concluse – con un lavoro segnato da molti intervalli – poco prima della
morte.
La pièce è stata presentata in prima assoluta a
Berlino il 16 agosto, ad apertura della nuova stagione del Berliner Ensemble.
Un lancio a sorpresa per un teatro – come quello che fu di Bertolt Brecht – conosciuto per il suo repertorio utopico critico
politico. Lo spettacolo ha fatto parlare di sé raccogliendo molte critiche.
Felix Krull – per Eisenach – è un
personaggio ermetico. La storia che si dipana sul palcoscenico snocciola, come
in un rosario, citazioni, evidenti o sottese, che si riferiscono ai grandi del
pensiero tedesco, da Goethe a Schopenhauer a Nietzsche, e anche a Hegel,
uno che ha fatto dello spirito del mondo il baricentro della propria filosofia.
Ed ecco unaltra ragione per la quale la sorpresa si tramuta in scandalo: queste citazioni non sono cólte decorazioni,
Felix
Krull è un lavoro filosofico.
Un momento dello spettacolo © Berliner Ensemble Se il romanzo di Mann è unopera ironica, la
rielaborazione di Eisenach è grottesca. Se la fonte letteraria non ha un
finale, nella pièce quel finale cè.
Come si legge in buona parte della letteratura critica su Mann, Felix Krull è un personaggio
ermetico; non da meno lo è nella riduzione teatrale di Eisenach. In
entrambi i casi infatti i personaggi vengono chiamati imbroglioni: “imbroglione”
è lappellativo del briccone divino, lo psicopompo Mercurio, il dio guardiano
delle soglie e dei passaggi, dunque delle trasformazioni e trasmutazioni.
Scriveva Mann in una lettera a Kereny: «Hermes, è la mia divinità
preferita». Ed
aveva ben presente quanto ne aveva scritto Walter Friedrich Otto: «Hermes mostra alcune qualità
arcaiche […] ricordi arcaici e magici sono
per esempio le ali ai piedi e il mantello infernale che lo rende invisibile».
Nella pièce Felix Krull guarda con ironia consapevole e
critica le sue vittime, prima di abbandonarle lasciandole cuocere nel loro
proprio brodo. Indicato nel titolo come limbroglione, in realtà è il Sol
invictus: vincitore perché finalmente il meccanismo da lui stesso messo in
moto, da bravo briccone, produce il risultato cui voleva arrivare: la trasformazione del mondo. È un briccone, ma divino. Così lo ha
voluto Mann. Dunque i suoi
scherzi e le sue trasformazioni non sono
casuali. Il gioco è divino e mira a un fine preciso. Le
molteplici relazioni di seduzione che imbastisce con uomini e donne sono basate
sullinganno, di cui è consapevole, come ci fa capire la elegante mimica
scenica di Marc Oliver Schulze. Tali seduzioni conducono al nulla, si disfano consumate dal “volere”
dei personaggi, dalla sete di
potere che li trascina alla distruzione e allautodistruzione, e che Krull ha
semplicemente messo in movimento.
Un momento dello spettacolo © Berliner Ensemble Spesso il protagonista è stato interpretato come un
essere incapace di concludere qualcosa, di inserirsi e condurre una decente
vita borghese. A me pare
piuttosto che qui sia un deus ex
machina, che abbia largento vivo addosso, che sia il mercurio vitale,
guardiano delle soglie e “psicopompo” della trasformazione dellumanità verso un vivere migliore.
Il mercuriale Sol invictus, uscendo grottescamente
vittorioso sul popolo, che ha spinto a una nuova coscienza di sé e condotto
sulla strada della salvezza, annuncia che la trasformazione del mondo è
avvenuta sotto legida di Amore. Questo
è il segreto che egli annuncia, che smentisce il nichilismo
imperante, e che trasforma la
vuota apparenza, il nulla dei personaggi e dei loro falliti desideri, nellapparizione dei molti volti della verità.
La capacità dellAmore di determinare
la trasformazione è suggerito in un sussurro, poco prima della fine
della pièce, da una scienziata in camice bianco (unumanista, forse un medico o una ricercatrice biologica in veste
dalchimista): Amore è lingrediente che trasforma lanimale, preda
dellistintuale volontà di potenza, in uomo. E trasforma anche il nichilismo imperante in vita positiva e
speranza. Per Eisenach esso toglie alla “volontà” schopenhaueriana anche il
potere che questa ha sul
mondo e lo restituisce agli uomini:
a ogni uomo che si tenga lontano dallaffermazione del suo volere su quello
degli altri in una lotta allultimo sangue. Nietzsche e Schopenhauer sono i
riferimenti citati nel corso di questa messa in scena, evocati in quanto il
loro pensiero informa la coscienza della nostra società che con esso interpreta
sé stessa e, si dice in scena, la realtà della società di massa e delle nostre problematiche
democrazie, basate sul nulla, e delluomo, ormai solo individuo, singolo, completamente
separato dalle sue radici e dalla comunità, preda delle sue nevrosi.
Nevrosi di uno e di tutti. Questa generalizzazione non
basta a creare legame sociale e neppure quello con sé stessi. Così
vediamo sul palcoscenico che ogni personaggio vive seguendo il proprio “Wille”, la propria volontà di potenza,
di supremazia sugli altri, vicini e lontani, in una follia di perversione alla
fin fine e innanzitutto autodistruttiva. Secondo il regista che interpreta o meglio
reinterpreta Mann, alla base di questo homo
nevroticus e della filosofia da cui nasce cè il nichilismo assoluto,
lidea dellessere come ciò che cè e che poi non cè più, che nasce e muore,
preda al più di unindifferenza cosmica che non lo salva dal precipizio verso
cui lui e la sua-nostra società è avviata. Ma questa indifferenza cosmica si
rivela, nella pièce, un errore di
valutazione, uno stare a guardare le cose ponendosi da un punto di vista
sbagliato. Perché e come sia ciò possibile non è argomento di questo lavoro, ma
forse – ci auguriamo – del
prossimo, che il regista sta scrivendo per il debutto già annunciato per
dicembre.
Un momento dello spettacolo © Berliner Ensemble
Chissà se Eisenach conosce il nostro filosofo nazionale, Emanuele Severino, che da cinquantanni
predica che è sbagliato considerare così lessere, luomo e tutte le cose del
mondo, perché tutto invece è. Ma per
capirlo, sostiene Severino, occorre innanzitutto cambiare il modo di vedere,
cambiare la consapevolezza che luomo ha di sé stesso, forse ponendosi di
fronte a uno specchio diverso, o azzerando con coraggio le vecchie
consapevolezze autodistruttive. Occorre avere
il coraggio di sottoporsi a un esperimento in laboratorio, o di lasciarsi
andare nella pignatta del Weltgeist (lo
Spirito del mondo) per uscirne vittoriosamente altro (come dice il regista e
non Severino). E sempre Eisenach fa dire alla alchimista, grazie allAmore, la
bugia che lapparenza ha regalato al mondo.
Perché molto si parla di apparenza in questo lavoro
teatrale: i personaggi ne parlano in molti modi (cè chi vuole apparire come
non è, cè il gioco di specchi dellinganno di come ci vedono gli altri,
lapparenza esaltata di un novello Faust, quella evocata parlando di Wagner, linconsistenza di non essere
davvero qualcosa, lapparenza di dama di una sciagurata e infelice sadomaso,
ecc.), e alla fine si capisce che il concetto di “apparenza”, di maschera, che
è per il regista di importanza centrale, nello sviluppo teatrale trasforma il
suo significato (custodito già nella etimologia della parola). Alla fine non è
più il vuoto, il niente, ma il darsi allo sguardo della verità, proprio
attraverso quella che ci era sembrata una vuota maschera. Così allora lo spettatore
capisce che lapparenza non è bugia, come laveva erroneamente (un altro
errore, o ancora un tiro burlone del divino imbroglione?) pensata.
Un momento dello spettacolo © Berliner Ensemble Laltro riferimento importante è Goethe, citato poco, ma
che importa se ci si ricorda che non differentemente finisce il suo Faust, cioè con il trionfo di Amore.
Certo Faust sale in cielo, e i personaggi del Felix Krull rimangono in terra, ma per entrambi la trasformazione
cè ed è opera di Amore. Spesso, inoltre, anche Mefistofele è stato
considerato uno jellato deus ex machina,
in realtà travolto dallimpetuoso Faust posseduto dal demone dellinstabilità e
dellavventura, che brucia la vita scendendo nelle profondità delle esperienze,
alla ricerca della verità oltre lapparenza, altro elemento comune con questa pièce.
Spesso linganno, lo scherzo, passa attraverso una certa
qualità erotica dellattrazione esercitata da Felix; ciascun personaggio la
imbastisce e consuma a modo suo, per ritrovarsi alla fine sconfitto dal suo
stesso operare, dal suo modo di averla voluta, concepita. Quando alla fine la
parola magica il «qualcosa che fa la differenza» si svela essere lAmore,
allora si apre una prospettiva nuova, e su di essa il regista chiude lo
spettacolo invitandoci a riflettere. O forse tutta questa storia è lennesimo
tiro burlone di quellimpostore grottesco e spietato di Felix Krull?
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