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La colpa della vittima

di Matteo Citrini*
  Les épouvantails
Data di pubblicazione su web 30/08/2019  

Dirigere la storia di due sopravvissute allo schiavismo significa identificare con convinzione il proprio cinema in strumento di denuncia sociale e umana. Ed è quello che sceglie di fare Nouri Bouzid con Les épouvantails, film crudo nello stile e che, sebbene si affidi alla finzione, restituisce senza orpelli ma con tragica forza la drammatica condizione femminile nei paesi islamici.

La pellicola si apre con l’uscita dal carcere di Zina e Djo, due donne che per ragioni opposte sono finite schiave dei terroristi dell’ISIS, in quella disumana condizione definita dalla cosiddetta “jihad sessuale”. La scarcerazione non coincide però con la libertà: né per Djo, tormentata dai fantasmi di quel terribile periodo di prigionia che la condurranno al suicidio, né per la bellissima, ammaliante Zina, che ha su di sé l’onta di essere scappata di casa seguendo ciecamente l’uomo amato e finendo da lui venduta. 



Una scena del film
© Biennale Cinema 2019

Ed è nella condizione di Zina che il film trova la sua raison d’etre: innocente per sé stessa ma colpevole per tutti gli altri, eccetto forse che per la madre dilaniata dal conflitto interiore tra il biasimo per le azioni sconsiderate della figlia e l’ineludibile amore materno. Così l’avvocatessa che dovrebbe aiutarla si mostra restia a fidarsi di lei mentre il padre, accecato dalla vergogna, dopo averla ripudiata tenterà persino di sacrificarla, in un insano gesto che innesca lo sconcerto dello spettatore occidentale di fronte a un sistema di codici “civili” ai limiti dell’abominevole. Solo l’amicizia di Driss, giovane omosessuale, dona a Zina qualche attimo di pace dal rancore e dal disprezzo che la circondano.

A supportare una narrazione sì di finzione ma radicata nella realtà contemporanea, una prova recitativa di spessore, a partire dalla giovane Afef Ben Mahmoud che riesce a portare in scena una Zina mai banale o stonata ma sempre in grado di mostrare la sua doppia natura di corpo giovane e attraente, oltremodo testarda nel suo rifiuto di rinnegare le proprie scelte, e di “morta che cammina”, di “spaventapasseri” (da qui il titolo) senza più nulla dentro perché annichilita dagli orrori della prigionia e dal tradimento dell’uomo amato.



Un scena del film
© Biennale Cinema 2019

Al netto di qualche eccessivo virtuosismo di camera (confusionaria nei movimenti in alcune scene) e di alcuni clichés da film dell’orrore, il regista mostra abilità e sensibilità nella scelta di relegare in fuoricampo quel terribile periodo di prigionia, i cui supplizi e atrocità infestano però ogni scena e che proprio in quanto non visti e non detti, ma solo accennati ed evocati, danno valore e bellezza al film.

Bouzid dimostra così di aver compreso come il cinema sia un efficiente dispositivo di denuncia sociale non tanto perché capace di mettere in scena una condizione reale, quanto piuttosto perché in grado di costruire visivamente quella scissione tra una realtà che si conosce ma si relega ai margini della coscienza, perché troppo estrema e sconvolgente, e quanto si decide di vedere, perché comodo e abitudinario. Zina col suo corpo vuoto si muove proprio nella zona limite di questa sfaldatura. Esattamente come nella sua disperata corsa finale, quando, oramai lontana e ai margini di un’inquadratura finalmente sgombra dal peso di pregiudizi e sguardi predatori, si volta quasi a chiederci dove sia ora il suo posto nel mondo.



* Dottorando in Storia dello spettacolo presso l’Università di Firenze.
Impaginazione di Antonia Liberto, dottoranda in Storia dello spettacolo presso l’Università di Firenze.


Les épouvantails
cast cast & credits
 


Il regista Nouri Bouzid

 
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