ォIl
dolore ci dice che esistiamo, il dolore ci dice che esistono quelli che amiamo:
il dolore ci dice che esiste il mondo in cui viviamoサ (Miguel de Unamuno).
Ci
sono autori che sono come dei vecchi amici, di cui conosciamo la storia, i
racconti, le idee e spesso già sappiamo cosa poterci aspettare da loro; magari
difficilmente ci sorprendono, ma altrettanto difficilmente possono deluderci.
Tra questi Robert Guédiguian occupa
una posizione, se possibile, ancora più “estrema” per la scelta di lavorare da
quasi quarantanni con gli stessi attori e negli stessi luoghi: Ariane Ascaride, Gérard Meylan e Jean-Pierre
Darroussin sono da sempre i corpi e le “maschere” del suo cinema, mentre
Marsiglia, e ancora Marsiglia, continua a essere lo sfondo di quello che
potremo definire un nuovo episodio della sua commedia umana.
Sylvie
(Ascaride) e Richard (Darroussin) hanno due figlie: Mathilda, la maggiore, che Sylvie
ha avuto da Daniel (Meylan) finito in carcere quando lei era incinta, e solo successivamente
riconosciuta da Richard, e Aurore. Entrambe sono sposate, rispettivamente con
Nicolas (un disoccupato che tenta di dare una svolta alla sua vita comprando
unauto nuova per lavorare grazie a Uber, la piattaforma online per il servizio di trasporto) e Bruno, (che invece gestisce,
con molta spregiudicatezza, un magazzino di materiale elettronico e un
laboratorio di riparazioni con personale extracomunitario senza regolare
contratto).
Una scena del film ゥ Biennale Cinema 2019
Il
film inizia con il parto di Mathilda che dà alla luce la piccola Gloria. La
cosa permette che tutta la famiglia (compreso il nonno Daniel, appena uscito
dal carcere) si riunisca intorno alla culla, carica di buoni propositi per il
futuro. Questa apparente serenità è però destinata a incrinarsi molto presto quando Nicolas viene
aggredito da un gruppo di tassisti che lo picchia a sangue e gli danneggia
irrimediabilmente lauto, costringendolo alla completa inattività. Le
conseguenze (soprattutto economiche) di questo fatto mettono in grave crisi il suo
già fragile rapporto con Mathilda, risvegliando quelle gelosie e quegli
squilibri che la nascita della bambina aveva surrettiziamente sopito, e
portando allinnesco di un perverso meccanismo che appare subito molto
difficile poter fermare.
Dopo
la “deviazione” alto-borghese de La casa
sul mare (in concorso a Venezia due anni fa), Guédiguian torna a guardare
agli “ultimi”, alle vittime di una crisi che si è fatta più culturale che
economica, dove alla lotta di classe si è sostituita unincomprensibile quanto
pericolosa guerra tra poveri, in cui non cè più spazio per nessun tipo di
complicità o compassione. Il tutto allinterno di una realtà così competitiva
da far smarrire non solo lidea che si possa e si debba tornare a rivendicare
quei diritti che sembravano acquisiti e indiscutibili, ma anche quelle che
dovrebbero essere le coordinate di base per una civile convivenza.
Per
questo Gloria mundi appare più
compatto, lineare e anche formalmente più strutturato del lavoro precedente: la
storia avanza in modo naturale, senza forzature, attraverso personaggi “veri” e
credibili. Ariane Ascaride e Jean-Pierre Darroussin si fanno quasi da parte,
lasciando ai giovani lonere di portare avanti gli snodi cruciali del racconto,
mentre la ieratica staticità di Meylan ben si addice al suo ruolo di “buono”
che, dopo aver passato quasi trentanni in carcere a scrivere commoventi haiku, sembra quasi respingere lidea di
potersi integrare in una società così diversa da come la immaginava,
“condannandosi” inevitabilmente a diventare il deus ex machina del film.
Una scena del film ゥ Biennale Cinema 2019
Per
Guédiguian ォil neocapitalismo ha schiacciato relazioni fraterne, amichevoli e
solidali, e non ha lasciato altro legame tra le persone, se non il freddo
interesse e il denaro, annegando tutti i nostri sogni nelle gelide acque del
calcolo egoisticoサ. Con Gloria Mundi il
regista vuole mostrare le conseguenze della morte di questi sogni, la perdita
di ogni riferimento ideale e dellidea stessa di un bene comune, che lascia il
posto a un disordinato e tutto sommato abominevole istinto di sopravvivenza
che, a sua volta, sta alla base di tante inquietanti semplificazioni politiche,
nonché di altrettanto preoccupanti scenari futuri.
Forse
è per questo che nello sguardo insostenibilmente sereno di Daniel, che chiude
il film, sembra di percepire leco di quella essenziale, stupenda “supplica”
che ci ha lasciato Vittorio Arrigoni:
ォRestiamo umaniサ.
|
|