Un giorno degli anni Settanta Alessandro
dAmico accompagnò Romolo Valli
e Umberto Tirelli in visita al Museo
Biblioteca dellAttore di Genova, quando ancora si trovava nella vecchia sede
di piazza Marsala, adiacente ai teatri. E grande fu lammirazione di Tirelli,
sarto teatrale e collezionista di tessuti depoca, nel constatare che il
velluto del costume confezionato da Worth
nellOttocento per la Maria Stuarda
di Adelaide Ristori aveva mantenuto
i suoi riflessi, così come i velluti degli strascichi di Elisabetta regina dInghilterra, uno verde e laltro rosso,
trapuntati doro, risplendevano ancora in tutta la loro magnificenza, degni di
una regina della scena quale, in effetti, fu Adelaide Ristori Marchesa
Capranica del Grillo.
Ventanni più tardi, il 20 aprile 1998, inaugurandosi a Roma alla galleria
Il segno di Angelica Savinio la mostra dedicata alle fotografie di Pasquale De Antonis (Un fotografo a teatro: da Visconti a
Strehler, da Gassman a Mastroianni),
Piero Tosi, il grande costumista di Luchino Visconti, prese in prestito
dalla Sartoria Tirelli i costumi da lui stesso realizzati per due regìe
viscontiane: luno sontuoso, indossato da Paola
Borboni nellOreste di Alfieri; laltro castigato, quasi
austero, di Rina Morelli ne La locandiera di Goldoni,
accoppiato a quello del Cavaliere di Ripafratta («Mastroianni era bellissimo, era stupendo – ricordava
Tosi – quando, nellultimo atto, entrava in scena come una furia, con quel
mantello rosso», in F. Mazzocchi, La
locandiera di Goldoni per Luchino Visconti, Pisa, ETS, 2003, p. 175). E fu lo stesso Tosi a sistemare i costumi sui
manichini e a portare una rosa di seta, da lui conservata, da appuntare sul
costume di Mirandolina. Quella mostra, inaugurata contemporaneamente nella
triplice sede di Teramo, città natale del fotografo, di Genova, al Politeama
Genovese, e a Roma, salutava la donazione, avvenuta grazie alla generosità di Savina Savini, dellarchivio
fotografico di De Antonis al Museo Biblioteca dellAttore.
Per La locandiera Visconti
avrebbe voluto come scenografo Giorgio
Morandi, ma il pittore bolognese si schermì dicendo che non era quello il
suo mestiere. Ed ecco allora il regista rivolgere al costumista Tosi, cresciuto
alla scuola di Gino Sensani, la
richiesta di fargli una scena “alla Morandi”. E Tosi, pronto, creò una locanda
fiorentina metafisica, lui che era nato a Sesto Fiorentino il 10 aprile 1927: una
stanza dallarredo essenziale in cui spiccavano suppellettili che parevano appunto
prese a prestito dai quadri morandiani; un cortile circondato da un alto muro
di cinta, oltre il quale si scorgeva un paesaggio di tetti che ricordava i
quadri di Ottone Rosai, di cui era
stato allievo; e, per finire, la stireria dellultimo atto, unaltana, aperta
ai quattro venti, con i lenzuoli stesi ad asciugare, i grandi armadi con la biancheria
ben stirata e riposta con ordine sugli scaffali. Unambientazione originale,
non pienamente compresa dalla critica teatrale del tempo.
Quanto a Mirandolina, contrariamente alla tradizione del costume
settecentesco caratterizzato dai generosi décolleté
tesi a esaltare lavvenenza femminile del personaggio, per Rina Morelli – una locandiera
di mezza età che alloccorrenza non disdegnava di annodarsi il fazzoletto in
capo per sbrigare le faccende domestiche – Tosi realizzò un costume accollato,
completato da un grembiule accuratamente immacolato. Conformandosi alla
rivoluzionaria lettura realistica di Visconti, il costumista aveva confezionato
un castigato abito da lavoro, utile a risaltare loperosità della protagonista.
La Mirandolina della Morelli era una donna emancipata, per quanto consentito
dallepoca, gelosa della propria indipendenza, che giocava dastuzia e
dintelligenza con gli avventori della sua locanda, primo fra tutti il misogino
Cavaliere di Ripafratta. Era una borghese che viveva del suo lavoro,
orgogliosa e consapevole delle proprie doti professionali, che si riflettevano
nella lucentezza degli argenti dei servizi da tavola, nellimpeccabile
inamidatura delle tovaglie, nellordine, la pulizia, la qualità dei lini che
promanavano dalle scene approntate da Tosi.
La locandiera debuttò alla Fenice di Venezia il 2 ottobre
1952. Lincontro di Tosi con Visconti era avvenuto solo un anno prima sul set
di Bellissima, film meta-cinematografico
non meno che meta-teatrale, come sostenuto da Siro Ferrone nel numero monografico di «Drammaturgia» dedicato al regista
milanese (Bellissima: leducazione
teatrale, 7, 2000, pp. 83-957). Erano gli inizi di una collaborazione che
solo la morte di Visconti avrebbe interrotto. A detta di Tosi, Bellissima si rivelò faticosissimo,
perché limpianto neorealistico del film imponeva la quotidiana ricerca di
abiti adatti, come il tailleur della
vecchia attrice Tilde Sperlanzoni,
intinto nel tè per attenuarne il bianco originale. E il tè tornerà utile per
invecchiare le camicie dei garibaldini nel Gattopardo,
grandiosa trasposizione cinematografica dellomonimo romanzo di Tommasi di Lampedusa, che nel 1964
valse a Tosi il Nastro dargento a Venezia e la candidatura allOscar per i
migliori costumi. Come dimenticare il costume di Angelica al ballo? Fu
necessario un mese di riprese per girare quella lunga scena a Palazzo
Valguarnera-Gangi, sontuosa nei costumi e centrale nella narrazione del film
per la sua durata e complessità. Unesperienza che rivive nella testimonianza
di Tosi raccolta da Rosamaria Salerno
nel numero di «Drammaturgia» testé citato: «Ricordo ancora la prova che si fece il giorno
precedente le riprese con tutti gli invitati vestiti e truccati e il palazzo
tutto illuminato con candele, senza luce elettrica, senza archi, senza
riflettori, con tutti i fiori e tutti gli arrivi delle carrozze nel cortile con
la discesa delle famiglie che poi salivano su, depositavano i loro indumenti al
guardaroba, venivano ricevute dalla principessa, entravano nelle sale
illuminate. Fu il giorno più emozionante della mia vita perché ho visto nel
silenzio – non cerano né rumori, né ciak, né azione, né stop – tutti i
personaggi entrare come in un sogno. Avvolti in una luce di candele che era
come un pulviscolo doro misto al profumo di fresie, che si diffondeva, tutta
la coloritura degli abiti e delle facce si amalgamava in un fremito di luce
palpitante di oro e di miele. Naturalmente, di tutta questa meraviglia nelle
riprese non è rimasto niente perché la pellicola allora era molto meno
sensibile, quindi non potevamo fare riprese solo con la luce delle candele» (Al
lavoro con Visconti, pp. 137-55).
Il sodalizio con Visconti (otto spettacoli teatrali e tredici film)
fu certamente il capitolo più importante di una carriera, che vide Tosi
affiancare tanti altri registi, da Bolognini
a De Sica, dalla Wertmüller a Zeffirelli,
in una lunga sequenza di film. Basti citare Il
portiere di notte per accennare allapporto creativo del costumista Tosi il
quale, più che vestire il personaggio, lo delineava, secondo quanto racconta in
proposito la regista del film Liliana
Cavani: «Vidi il
bellissimo schizzo di Pierino con Charlotte
Rampling disegnata in bretelle e seno nudo, il cappello da ufficiale
nazista. Capii che avrebbe dovuto essere così. Unimmagine forte, certo, ma non
stavamo raccontando di un oratorio. Charlotte, da grandissima attrice qual è,
non batté ciglio» (in «la Repubblica», 11 agosto 2019, p. 40).
Non poteva mancare nel lungo viaggio di Tosi una puntata nel tempio
della lirica con La sonnambula di Bellini diretta da Leonard Bernstein, regista lo stesso Visconti, il 5 marzo 1955 alla
Scala, protagonista Maria Callas.
Nel prezioso volumetto (Tosi alla Scala,
Allemandi, 2002) dedicato allunico episodio scaligero della carriera del
costumista, Vittoria Crespi Morbio
ci invita nel camerino della cantante: «Tra
un marron glacé, un cioccolatino e un vocalizzo aveva inizio la vestizione: una
scarpetta, un lungo guanto, labito color avorio dalle maniche a sbuffo, e
prima ancora il busto. Maria Callas si trasformava in Amina, la protagonista
della Sonnambula: e ne assumeva il
vitino di vespa. Così laveva sognata Luchino Visconti, un poco Maria Taglioni, un poco Giuditta Pasta: una silfide che non
doveva aver peso in scena». E così laveva tratteggiata Tosi: «Una creatura
fragile, raccolta in una veste in gros di seta; eppure una regina, incoronata
da unaureola di rose posata sul capo» (p. 26).
Nel 2013 è stato assegnato a Tosi lOscar alla
Carriera, ritirato per lui da Claudia
Cardinale. Ma se limmaginario hollywoodiano lo vuole circondato da uno
stuolo di assistenti, al lavoro in un grande atelier, al contrario – avverte
Crespi Morbio – questo artigiano della bellezza «spesso lavora in cucina, fra
una teiera e il frigorifero pieno di colori e di pennelli dove prendono forma
marsine, corpetti, pastrani, secondo le armonie di una tavolozza che tende ad
assommare le tinte piuttosto che disperderle. Erede di quella tradizione che da
Ottone Rosai scivola nei mondi
remoti della tradizione italiana, egli ci appare il demiurgo che collega la
“razza che rimane a terra”, secondo un verso di Montale, con un mondo di Idee
platoniche perfette» (ivi, p. 35).
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