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Haendel nostro contemporaneo

di Riccardo Cenci
  Haendel: Semele
Data di pubblicazione su web 13/05/2019  

A lungo esclusa dal repertorio per le proprie peculiarità formali e stilistiche, osteggiata dai moralisti dell’epoca per le derive licenziose del libretto, Semele è indubbiamente uno dei frutti più straordinari della creatività haendeliana. Merito di John Eliot Gardiner averla inserita in un breve tour europeo che dopo Parigi, Barcellona, Londra e Milano, ha toccato anche Roma, approdando all’Accademia di Santa Cecilia. Un’occasione importante visto che, dopo gli anni “orgiastici” della riscoperta barocca, l’attenzione attorno a questo repertorio, e in particolare riguardo alla produzione teatrale di Haendel, sta colpevolmente scemando, almeno nel nostro paese.

Nella sua ansia sperimentatrice, il compositore di Halle appare qui alla ricerca di una formula originale per i propri drammi musicali. Che Haendel abbia guardato avanti con grande lungimiranza lo dimostra ad esempio lo splendido quartetto del primo atto, un brano davvero inconsueto per l’epoca. Senza spingerci oltre in azzardati accostamenti con acquisizioni riformistiche di là da venire (Wagner su tutti), Semele è un’opera inglese frutto della fusione di diverse tradizioni, dal masque all’opera italiana, sino alle nuove coordinate oratoriali che lo stesso Haendel stava contribuendo a definire in maniera decisiva. Il suo carattere straordinario deriva proprio dallo sfuggire a qualsiasi ansia classificatoria coltivata da pedanti musicologi.



Un momento dello spettacolo
© Musacchio & Ianniello

Comunque, senza voler sovraccaricare l’opera con interpretazioni che non le appartengono, non si può fare a meno di notare come l’aspirazione verso l’immortalità coltivata dalla protagonista evochi tematiche letterarie di enorme respiro. Nella stessa maniera la pretesa di superare i limiti terreni, evidente nella volontà espressa da Semele di osservare il proprio amante Giove nella sua vera forma e non in sembianze umane, richiama alla mente il divieto violato da Elsa nel Lohengrin wagneriano. I due livelli dell’umano e del sovrannaturale restano impermeabili l’uno all’altro. Voler infrangere questa regola porta Semele alla rovina, ed infatti viene incenerita dall’apparizione fiammeggiante del Dio. Al contempo, bisogna sottolineare la grande abilità di Haendel nel rendere umane le passioni che abitano i protagonisti. Quando Giove comprende di dover abbandonare Semele al proprio tragico destino non è un dio imperturbabile, ma un uomo addolorato e sofferente. Nella stessa maniera Giunone si comporta come un’amante pronta a tutto pur di riconquistare il proprio bene, punendo l’audace rivale.

L’esecuzione in forma semiscenica aderisce perfettamente al carattere ibrido di questo lavoro. Il regista Thomas Guthrie costruisce un perfetto meccanismo di interazione fra coro, orchestra e cantanti, lavorando sulla gestualità e sull’espressione. Il contesto mitico e sovrannaturale viene tradotto in maniera totalmente umana, seguendo le autentiche intenzioni del compositore, perché Semele è prima di tutto una tragedia d’amore. Si pensi all’inizio del terzo atto, con i fagotti accovacciati a intessere ovattati arabeschi sul pigro dio del Sonno, il quale si rianima solo quando Giunone promette di concedergli le grazie della ninfa Pasitea se accetterà di porsi al suo servizio.



Un momento dello spettacolo
© Musacchio & Ianniello

Motore dell’azione è dunque la passione erotica, che permea di sé l’intera trama. Altro registro non trascurabile è quello dell’ironia, del disincanto con il quale l’autore tratta la materia mitica, restituito in maniera esemplare. Suggestive le luci di Rick Fisher, usate con sensibilità cromatica; adeguati i costumi di Patricia Hofstede. Pochi elementi scenici definiscono il dramma, come lo specchio usato da Giunone per adulare e ingannare Semele, o ancora il divano allusivo del sentimento d’amore e della passione erotica.

Rispetto alla nota incisione discografica dell’ormai lontano 1981, Gardiner dimostra di aver maturato una visione se possibile ancor più frastagliata e teatralmente viva dell’opera, sublimando la tradizione esecutiva in una maniera vibrante e coinvolgenteGli English Baroque Soloists lo seguono come fossero una cosa sola, offrendo un’esecuzione ariosa, lucente. La musica spicca con una naturalezza estrema. Addirittura straordinaria la prova del Monteverdi Choir, sempre limpido nelle trame contrappuntistiche e perfetto nelle dinamiche, toccante nell’intervento che chiude la tragedia. L’estasi sensuale racchiusa nella musica di Haendel non potrebbe trovare incarnazione migliore.



Un momento dello spettacolo
© Musacchio & Ianniello

Cast perfettamente all’altezza della situazione. Louise Alder incarna una Semele sensuale e vanitosa, fragile nella sua umana debolezza. La voce, luminosa e agilissima, è sorretta da una musicalità invidiabile. Un gradino al di sotto il Giove di Hugo Hymas, stilisticamente inappuntabile e perfettamente a proprio agio nelle colorature, ma anonimo nel timbro e un po’ troppo esile per rendere pienamente il carattere del dio. Degno di nota l’istrionico talento di Lucile Richardot, impegnata nel duplice ruolo di Ino e di Giunone, dal fraseggio a volte sopra le righe, ma comunque efficace, e dalla verve attoriale irresistibile. Gianluca Buratto (Cadmus e Somnus) sfoggia una voce ampia e ben timbrata, anche nel grave. Esemplare il suo risveglio all’inizio del terzo atto, quell’oscillare fra realtà e sogno che sfocia poi in una spassosa esternazione da vero basso buffo. Ottimo Carlo Vistoli (Athamas), in particolare nella sua aria conclusiva, risolta con spigliato virtuosismo. Perfetta Angela Hicksnel ruolo di Cupido, limpida e aggraziata, brava Emily Owen (Iris). Apprezzabile infine l’Apollo di Peter Davoren nel suo breve intervento. Un’ovazione interminabile, assolutamente meritata, ha salutato tutti i protagonisti.


Spettacolo visto l'8 maggio 2019 all'Auditorium Parco della Musica di Roma



Semele
dramma in musica in forma semiscenica


cast cast & credits
 
trama trama

Un momento dello spettacolo visto l'8 maggio 2019 all'Auditorium Parco della Musica di Roma 
© Musacchio & Ianniello


 
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