Ibsen pop o Ronconi pop sarebbero stati titoli-ossimori altrettanto azzeccati
per presentare Un nemico del popolo
firmato da Massimo Popolizio per la
produzione del Teatro Nazionale di Roma: operazione interessantissima, “giovane”, che svecchia Ibsen e ce lo mostra, appunto, attraverso una chiave di lettura
popolare, in un contesto delocalizzato (forse) nel tempo e nello spazio.
È
in primis il contrasto a stuzzicare
la curiosità dello spettatore: immaginate Le
tre sorelle di Čechov sedute in un bar dellHavana o Il giardino dei ciliegi coltivato nellAgropontino. Così Popolizio
sposta Ibsen e le terme della
cittadina norvegese in cui si svolge il dramma etico-politico in una non
precisata località del centro America, probabilmente in Texas. Nulla di poco
credibile, ma di spiazzante sicuramente. La
grande domanda che lautore norvegese pone in questo testo è etica e
intramontabile: tra il profitto e lambiente, tra una sicura rovina economica e
la salute del prossimo, per cosa opta il potere? Quanto senso può avere la
battaglia degli “onesti pochi”? Il dottor Thomas Stockmann-Popolizio, medico di
uno stabilimento termale, analizza le acque e le scopre inquinate e quindi nocive
per la salute dei villeggianti che affollano il luogo arricchendo la cittadina.
Vorrebbe denunciare la scoperta a gran voce («La voce del popolo» è il titolo
del quotidiano locale) ma il sindaco Peter Stockmann (Maria Paiato en travesti),
di lui fratello, gli dichiara una guerra senza mezzi termini anteponendo il
profitto alla verità. Tra questi due estremi oscillano e si schierano parenti,
amici, figure influenti del tessuto urbano: il popolo.
Un momento dello spettacolo © Giuseppe di Stefano
Non
sono i personaggi né i costumi né limpianto scenografico, fedeli ai tempi (il
testo è scritto nel 1882), a denunciare lambientazione, bensì il pervasivo côté
atmosferico creato da luci, suoni, videoproiezioni e certamente dal cantastorie
di colore, ubriaco-inserviente in tuta da lavoro (Martin Ilunga Chisimba) arbitrariamente inserito dalla regia con
funzione di prologo di questa tragicommedia dei nostri giorni.
Le
scene di Marco Rossi “si gettano”
quasi sulla platea, coprendo i palchetti del proscenio con pannelli-pareti di
colore grigio ferroso che, via via componendosi, formano gli spazi della
narrazione: interno del laboratorio del Dottor Stockmann, tipografia del
giornale La voce del popolo, tribuna
del dibattito pubblico. Giustapponendosi, cadendo, scomparendo in graticcia, i
pannelli creano profondità e segmentano il palcoscenico in modo da agevolare la
creazione di un gioco di scene e controscene in cui gli attori-personaggi si
osservano di nascosto, si spiano, origliano. Le condutture delle terme, tubi e
rubinetti a vista, sono monito costante dello scandalo che quelle pareti
cercheranno di contenere.
In
alto, a riempiere totalmente la visuale scenica, le videoproiezioni (di Bruno e Renzetti) propongono
diapositive “emaciate” di un sud selvaggio e di periferie legnose e assolate,
creando insieme alla musica country
(curata da Maurizio Capitini) un
soffocante contrasto con i costumi pesanti e invernali di Gianluca Sbicca. I personaggi vestono abiti scuri e lunghi (fatta
eccezione per il camice bianco, aperto e svolazzante, del dottore), soprabiti
pesanti che allungano le figure e le irrigidiscono nel proprio ruolo. Tuttaltro che rigida invece la regia di Popolizio, seppure studiatissima. Ogni gesto, ogni battuta sono calibrati e misurati secondo la lezione ronconiana (di cui si vede traccia anche nella scenografia): i movimenti degli attori, i loro percorsi sembrano seguire delle linee ben precise; i gesti ampi, eloquenti, destrutturati sono spesso avviati da un attore e conclusi da un altro in un gioco scenico che stupisce per leffetto di immediatezza.
Un momento dello spettacolo © Giuseppe di Stefano
Lo
stesso Popolizio e Maria Paiato, nei panni dei due fratelli rivali, danno
vita a due personaggi vibranti, in contrasto tra loro non solo per le opinioni
che difendono ma anche sul piano fisico. Il primo molto più alto e corpulento, la
compagna di scena di statura minuta. Anche sfruttando la musica, il
regista-attore propone un Dottore soft,
morbido nelleloquio e nei movimenti, pronto però ad accendersi e a irrigidirsi
sopraffatto dallindignazione nelle scene finali. La Paiato, quasi androgina,
riesce perfettamente a mostrare le sfaccettature di un abilissimo uomo di
potere che si destreggia tra la menzogna e la politica, senza risultare neppure
troppo ipocrita.
Del
resto le tematiche di questo dramma non sono estranee al nostro presente:
parlare di corruzione e di disinteresse ambientale in un paese che non sa come
smaltire i propri rifiuti, periodicamente attraversato da scandali passeggeri
come lolio di palma o le frequenze del 5g, permette di creare nel pubblico del
Teatro Nazionale di Roma un interessante cortocircuito di tipo brechtiano. In
particolare, nel quarto atto prende forma un dibattito politico dal quale il
dottor Stockmann uscirà sconfitto. Popolizio, disseminando attori sui palchetti
e in platea e attraverso audio-registrazioni, “schiera” arbitrariamente lo
spettatore, che si ritrova così, in silenzio, tra chi accusa e addita il dottor
Stockmann come “nemico del popolo”.
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Spettacolo visto il 18 aprile 2019 al Teatro Argentina di Roma.
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