Alessandro
Haber sorprende ancora. Diretto da Piero Maccarinelli presenta Il padre, moderno dramma a stazioni del
giovane drammaturgo francese Florian Zeller, che in questa traduzione
scenica italiana diventa un pericolosissimo incubo da “soggiorno”.
Il testo, dal titolo “arcaico”, quasi da
tragedia greca, è attualissimo. Scritto nel 2012 per le scene francesi,
affronta i temi delicati, “tragici” oltre ogni dire, della malattia e della
vecchiaia, non tanto o non solo dal punto di vista di chi le sconta sulla
propria pelle, ossia del malato, ma per quello che queste condizioni
rappresentano per luniverso relazionale che lo circonda: la famiglia
“moderna”. Andrea, padre vedovo di Anna, in apparente buona salute, è in realtà
affetto da Alzheimer. Il racconto si concentra sul rapporto padre-figlia e
sulla difficoltà estrema di affrontare, per Andrea, la malattia; per Anna,
giovane donna alle prese con lo sfacelo dei rapporti della nostra
contemporaneità, lassistenza allamato padre.
Il testo di Zeller, di
per sé destrutturato, fatto di flashback e salti in avanti, è stato
ulteriormente sviluppato nel senso della frammentarietà, cifra stilistica che
traduce lintermittente tentativo del ricordare, il faticoso sforzo di una
memoria in vorticoso degrado, attraverso lalternarsi di quadri e dissolvenze.
Lobiettivo di spaesare lo spettatore, di scuoterlo dal torpore della sua
comoda poltrona e attanagliarlo nel senso diffuso di pericolo imminente viene
raggiunto dosando con perizia i mezzi del teatro: attori, scenografie, luci e
musiche.
Un momento dello spettacolo © Tommaso Le Pera La scena di Gianluca Amodio si presenta alla
platea come una scatola, qualcosa di molto simile a un box-set. Pareti scorrevoli, pesanti e intonacate, porzionano lo
spazio scenico, strutturando ambienti simili ma differenti: appartamento di
Andrea, quello della figlia, clinica. Il mobilio, fin da subito essenziale – un
divano rosso, un tavolo con sedie e un carrello, tutto di materiale trasparente
–, si farà via via più scarno, riducendosi di quadro in quadro. Sono stanze
asettiche, vuote, volutamente prive di ricordi, in cui il vissuto e i punti di
riferimento scompaiono.
Dentro questa scatola si svolge la via crucis
di Andrea nonché si sgretola e si ricompone e galleggia la vita privata della
figlia Anna, il suo tormento emotivo. Haber, bolognese classe 47, costruisce con
estremo rigore e senza cedere al rilassamento-rischio dellimmedesimazione un
padre vibrante, non patetico ma empatico, allegro, a tratti antipatico,
disperatamente godereccio, tenero. Un uomo anziano, non ancora fiaccato nel
corpo, ma lacerato dalla malattia che gli fa perdere il senso di realtà.
Lattore ha certamente compiuto un lavoro di scavo intenso avviando un dialogo
non indolore con il proprio personaggio. Il risultato raggiunto, contrariamente
a quello immediato percepito dallo spettatore, non è per niente “naturalistico”.
Haber, con grande rispetto di sé e della malattia, mostra un attore che
interpreta un personaggio impegnato a rapportarsi con immagini multiple e
dislocate nel tempo di sé stesso. Listrionismo pare essere congenito in questo
padre malato che disperatamente cerca di attrarre lattenzione degli altri,
della figlia e della badante (questultima interpretata alternativamente da Daniela
Scarlatti e da Ilaria Genatiempo in base alla percezione che ne
ha luomo nella sua memoria disturbata). Fino a rifugiarsi, regredito a
bambino, nel baluardo estremo della disperazione, reclamando lattenzione della
mamma.
Lucrezia Lante della Rovere è Anna, figlia e donna dei nostri giorni.
Attraverso il suo personaggio intravvediamo luniverso familiare di
riferimento; non un nucleo familiare coeso, caldo, tradizionale (capace di far
fronte comune al sopraggiungere della vecchiaia e della malattia), ma lo spazio
emotivo, incidentato di una donna più o meno sola, impegnata a tenere insieme i
pezzi della propria vita, sentimentale e professionale. Una figlia che ama
profondamente il padre ma che si sente certamente impreparata a una tale sfida.
Lattrice, attraverso gesti quotidiani e momenti di pathos molto intensi,
costruiti attraverso lalternarsi di affetto e rabbia, è funzionale alla prova
dattore di Haber, ne costituisce il giusto contrappunto. Le decisioni scomode,
il sacrificio, la dedizione perseguita anche a scapito della propria serenità
di coppia non saranno sufficienti a scongiurare la risoluzione finale di questo
personaggio tormentato dal senso di colpa.
Un momento dello spettacolo © Tommaso Le Pera Intorno a padre e figlia ruotano poi le altre coppie
di attori-personaggi, in un caleidoscopico gioco a confondere. Due attrici e
due attori, impegnati rispettivamente nei ruoli di compagno di Anna (Paolo
Giovannucci e Riccardo Floris), badanti (le citate Scarlatti e Genatiempo)
e ruoli minori. Efficacemente la regia sceglie di mostrare non la realtà dei
fatti, ma la quotidianità secondo la visione malata e distorta di Andrea-Haber.
Luomo non riconosce la figlia, confonde le badanti, non ricorda mai di aver
conosciuto il genero.
Con pochi espedienti, teatralissimi,
Maccarinelli, ci permette di esperire in parte la difficoltà di vivere per un
momento dentro la testa di Andrea. Il ritmo della rappresentazione,
inizialmente lento e disteso, si fa via via vorticoso; le scene che strutturano
il racconto diventano sempre più brevi – spingono in avanti, indugiano sul
passato prossimo, fanno lunghi balzi allindietro – nellesercizio non solo
stilistico di far perdere lorientamento anche allo spettatore che diventa
partecipe (compatisce) il dramma del protagonista e del suo nucleo familiare.
Ma se i quadri si assottigliano, il buio-dissolvenza, attraverso cui il regista
coadiuvato dal disegno luci di Umile Vaineri divide una scena dallaltra,
non varia di durata. Quegli attimi di buio (due-tre minuti) si configurano come
momenti di riflessione, ritorno brutale in poltrona. In quella oscurità un
senso di pericolo investe luomo comune che tenterà di ripristinare lordine
temporale cercando di spiegarsi la sequenza appena vista; nei secondi
successivi, complice la musica atmosferica curata da Antonio Di Posi, si
sentirà investito da un senso di profonda angoscia, terrorizzato da quello
spettro che per tutti è la malattia, è la vecchiaia.
Spettacolo visto il 12 aprile 2019 al Teatro Verdi di Padova.
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