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Una regia clinica

di Chiara Schepis
  Il padre
Data di pubblicazione su web 18/04/2019  

Alessandro Haber sorprende ancora. Diretto da Piero Maccarinelli presenta Il padre, moderno dramma a stazioni del giovane drammaturgo francese Florian Zeller, che in questa traduzione scenica italiana diventa un pericolosissimo incubo da “soggiorno”.

Il testo, dal titolo “arcaico”, quasi da tragedia greca, è attualissimo. Scritto nel 2012 per le scene francesi, affronta i temi delicati, “tragici” oltre ogni dire, della malattia e della vecchiaia, non tanto o non solo dal punto di vista di chi le sconta sulla propria pelle, ossia del malato, ma per quello che queste condizioni rappresentano per l’universo relazionale che lo circonda: la famiglia “moderna”. Andrea, padre vedovo di Anna, in apparente buona salute, è in realtà affetto da Alzheimer. Il racconto si concentra sul rapporto padre-figlia e sulla difficoltà estrema di affrontare, per Andrea, la malattia; per Anna, giovane donna alle prese con lo sfacelo dei rapporti della nostra contemporaneità, l’assistenza all’amato padre.

Il testo di Zeller, di per sé destrutturato, fatto di flashback e salti in avanti, è stato ulteriormente sviluppato nel senso della frammentarietà, cifra stilistica che traduce l’intermittente tentativo del ricordare, il faticoso sforzo di una memoria in vorticoso degrado, attraverso l’alternarsi di quadri e dissolvenze. L’obiettivo di spaesare lo spettatore, di scuoterlo dal torpore della sua comoda poltrona e attanagliarlo nel senso diffuso di pericolo imminente viene raggiunto dosando con perizia i mezzi del teatro: attori, scenografie, luci e musiche.


Un momento dello spettacolo
© Tommaso Le Pera

La scena di Gianluca Amodio si presenta alla platea come una scatola, qualcosa di molto simile a un box-set. Pareti scorrevoli, pesanti e intonacate, porzionano lo spazio scenico, strutturando ambienti simili ma differenti: appartamento di Andrea, quello della figlia, clinica. Il mobilio, fin da subito essenziale – un divano rosso, un tavolo con sedie e un carrello, tutto di materiale trasparente –, si farà via via più scarno, riducendosi di quadro in quadro. Sono stanze asettiche, vuote, volutamente prive di ricordi, in cui il vissuto e i punti di riferimento scompaiono.

Dentro questa scatola si svolge la via crucis di Andrea nonché si sgretola e si ricompone e galleggia la vita privata della figlia Anna, il suo tormento emotivo. Haber, bolognese classe ’47, costruisce con estremo rigore e senza cedere al rilassamento-rischio dell’immedesimazione un padre vibrante, non patetico ma empatico, allegro, a tratti antipatico, disperatamente godereccio, tenero. Un uomo anziano, non ancora fiaccato nel corpo, ma lacerato dalla malattia che gli fa perdere il senso di realtà. L’attore ha certamente compiuto un lavoro di scavo intenso avviando un dialogo non indolore con il proprio personaggio. Il risultato raggiunto, contrariamente a quello immediato percepito dallo spettatore, non è per niente “naturalistico”. Haber, con grande rispetto di sé e della malattia, mostra un attore che interpreta un personaggio impegnato a rapportarsi con immagini multiple e dislocate nel tempo di sé stesso. L’istrionismo pare essere congenito in questo padre malato che disperatamente cerca di attrarre l’attenzione degli altri, della figlia e della badante (quest’ultima interpretata alternativamente da Daniela Scarlatti e da Ilaria Genatiempo in base alla percezione che ne ha l’uomo nella sua memoria disturbata). Fino a rifugiarsi, regredito a bambino, nel baluardo estremo della disperazione, reclamando l’attenzione della mamma.

Lucrezia Lante della Rovere è Anna, figlia e donna dei nostri giorni. Attraverso il suo personaggio intravvediamo l’universo familiare di riferimento; non un nucleo familiare coeso, caldo, tradizionale (capace di far fronte comune al sopraggiungere della vecchiaia e della malattia), ma lo spazio emotivo, incidentato di una donna più o meno sola, impegnata a tenere insieme i pezzi della propria vita, sentimentale e professionale. Una figlia che ama profondamente il padre ma che si sente certamente impreparata a una tale sfida. L’attrice, attraverso gesti quotidiani e momenti di pathos molto intensi, costruiti attraverso l’alternarsi di affetto e rabbia, è funzionale alla prova d’attore di Haber, ne costituisce il giusto contrappunto. Le decisioni scomode, il sacrificio, la dedizione perseguita anche a scapito della propria serenità di coppia non saranno sufficienti a scongiurare la risoluzione finale di questo personaggio tormentato dal senso di colpa.


Un momento dello spettacolo
© Tommaso Le Pera

Intorno a padre e figlia ruotano poi le altre coppie di attori-personaggi, in un caleidoscopico gioco a confondere. Due attrici e due attori, impegnati rispettivamente nei ruoli di compagno di Anna (Paolo Giovannucci e Riccardo Floris), badanti (le citate Scarlatti e Genatiempo) e ruoli minori. Efficacemente la regia sceglie di mostrare non la realtà dei fatti, ma la quotidianità secondo la visione malata e distorta di Andrea-Haber. L’uomo non riconosce la figlia, confonde le badanti, non ricorda mai di aver conosciuto il genero.

Con pochi espedienti, teatralissimi, Maccarinelli, ci permette di esperire in parte la difficoltà di vivere per un momento dentro la testa di Andrea. Il ritmo della rappresentazione, inizialmente lento e disteso, si fa via via vorticoso; le scene che strutturano il racconto diventano sempre più brevi – spingono in avanti, indugiano sul passato prossimo, fanno lunghi balzi all’indietro – nell’esercizio non solo stilistico di far perdere l’orientamento anche allo spettatore che diventa partecipe (compatisce) il dramma del protagonista e del suo nucleo familiare. Ma se i quadri si assottigliano, il buio-dissolvenza, attraverso cui il regista coadiuvato dal disegno luci di Umile Vaineri divide una scena dall’altra, non varia di durata. Quegli attimi di buio (due-tre minuti) si configurano come momenti di riflessione, ritorno brutale in poltrona. In quella oscurità un senso di pericolo investe l’uomo comune che tenterà di ripristinare l’ordine temporale cercando di spiegarsi la sequenza appena vista; nei secondi successivi, complice la musica atmosferica curata da Antonio Di Posi, si sentirà investito da un senso di profonda angoscia, terrorizzato da quello spettro che per tutti è la malattia, è la vecchiaia.

Spettacolo visto il 12 aprile 2019 al Teatro Verdi di Padova.



Il padre
cast cast & credits
 



Un momento dello spettacolo visto il 12 aprile 2019 al Teatro Verdi di Padova
© Tommaso Le Pera



 
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