Per ricordare i
quarantanni della sua riapertura, avvenuta nellaprile del 1979 dopo una lunga
chiusura, il Teatro Goldoni di Venezia ha promosso lallestimento de La casa nova, capolavoro goldoniano poco
frequentato, dopo la storica regia di Luigi Squarzina del 1973. Eppure, al suo
apparire sul palcoscenico del Teatro Vendramin di San Luca, per lappunto
lodierno Teatro Goldoni, l11 dicembre 1760, questa “commedia veneziana”,
punto di convergenza e di snodo nella produzione del commediografo, registrò un
ampio consenso; lo confermano le tredici repliche, più seguite persino di
quelle degli Innamorati (1759) e dei Rusteghi (1760). Lo dimostra anche
lapprezzamento espresso da letterati e osservatori, come Gasparo Gozzi sulla «Gazzetta Veneta», nel numero del 13 dicembre
1760, che la definisce «commedia dilettevole, commedia utile, commedia vera»,
per luso appropriato del linguaggio diretto, per la qualità dei dialoghi, e
perché restituisce lo stile della conversazione familiare. Fin dallesordio colpisce lo stato dincertezza
determinato dal lavoro di sistemazione del nuovo alloggio: da due mesi una
schiera di tappezzieri, pittori, fabbri e falegnami disfano ciò che è stato
fatto il giorno prima. Lo scompiglio, determinato dai continui ripensamenti
dellarredo della casa, riflette la rovinosa condizione economica del giovane
Anzoletto e della moglie Cecilia, il primo tanto insicuro quanto inadatto a
gestire le proprie entrate, la seconda travolta da unostentata superiorità
sociale e stordita dalle pretese tipiche di una parvenue. Di fatto i protagonisti della Casa nova sono dei
cittadini benestanti che subiscono il fascino delledonismo del patriziato
veneziano, per lo più sul piano dei comportamenti esteriori. Un momento dello spettacolo © Serena Pea
La maestria goldoniana
stabilisce una sorta di confine spaziale tra i due piani della casa, cioè tra
la zona del disordine, quella al primo piano, e laltra, più in alto, che
risulta essere lambito della moderazione. Così, nelle stanze del secondo piano
la “cittadina” Checca, senza rinunciare al piacere del pettegolezzo, si propone
come fautrice della pacificazione familiare e del rispetto civile. La
confusione morale si collega al distacco profondo che separa le intemperanze
della gioventù dallordinato mondo dei vecchi, qui impersonato da Cristofolo,
una sorta di “burbero benefico”; costui è lunico rappresentante del ceto
mercantile che persegue caparbiamente il rispetto delle antiche regole, a
cominciare dallobbedienza che i figli debbono ai genitori, soprattutto per
quanto concerne la tutela del censo e le scelte matrimoniali. Lintera commedia
insiste sul tema delle convenienze parentali, a discapito persino
dellaffettività e dellamore; anche linclinazione che avvicina i due smaniosi
innamorati Meneghina e Lorenzino viene superata dal desiderio di acquisire la
sicurezza che sa offrire soltanto una cospicua dote e una buona rendita. Ledizione attuale, dedicata alla memoria di Virgilio Zernitz, indimenticabile
attore scomparso nel 2016, è diretta con equilibrio da Giuseppe Emiliani, che ha al suo attivo tante regie goldoniane. La
messinscena si snoda tra un crescendo poetico, esaltato dalla vertigine
linguistica del testo, e un alone di follia, tale da generare unatmosfera di
sospensione, di fermo-immagine; via via sinsinua un riso grottesco, che corre
sul filo dellironia e della malinconia, nei riguardi di una società che vive
di fretta, al di sopra delle proprie possibilità, ma che non ha scampo, perché
prima o poi occorre fare i conti con la mancanza di denaro. Sottolineano i
tratti della quotidianità la scenografia virtuale di Federico Cautero, i costumi appropriati di Stefano
Nicolao, i segnali musicali di Leonardo
Tosini, le luci di Enrico
Berardi. Il fattore peculiare di uno spettacolo decisamente corale è dato dalla
giovane età
dei protagonisti, i quali trasferiscono nei loro personaggi una curiosa
ingenuità espressiva, ben controllata dalla regia, in grado di modificare
lincidenza sul confronto-scontro tra generazioni. Il terzetto degli attori
“storici” mette in campo, oltre alla bravura, una lunga esperienza. Piergiorgio Fasolo, lo zio Cristofolo, mostra una notevole abilità nel modulare lo scarto tra
i modi del burbero, con qualcosa del rustego, e quelli del buon mercante. È
ammirevole la padronanza espressiva di Stefania
Felicioli, Checca, nel controllo dei tempi verbali e dei gesti, oltre che
nella mobilità di una figura che diviene il motore dellazione. Lucia Schierano è una Rosina esemplare per
il gioco sottile tra detto e non detto, tra le pulsioni giovanili (persino
infantili) e la bramosia di partecipare alle vite degli altri.
Un momento dello spettacolo © Serena Pea Segue la schiera degli attori della costituita “Compagnia Giovani del Teatro Stabile del Veneto”. Andrea Bellacicco è un Anzoletto
tormentato e diviso tra slancio e sconforto; vorrebbe apparire uomo di governo
ma è inesperto, teme di non essere allaltezza del suo ruolo familiare,
considerando la valanga di debiti che lo sta travolgendo. Maria Celeste Carobene è Cecilia, moglie ambiziosa e superba che
nasconde dietro alla propria arroganza limbarazzo per le origini
piccolo-borghesi; ma, alfine, è colei che con unabile renga richiama alla mente la siora Felice dei Rusteghi. Eleonora Panizzo,
che disegna Meneghina come un buon contrappunto alla cognata Cecilia, oscilla
tra il desiderio di una vita spensierata, la voglia di una completa libertà,
non solo sentimentale, e leco della coerenza morale. Federica Chiara Serpe, nelle vesti di Lucietta, al di là del suo
spettegolare, difende con una lucidità mai statica la distinzione professionale
della cameriera di fiducia dallinsulto di agire da massera, da sguattera. E poi, cè il Lorenzino, innamorato ingenuo,
impaziente e irruento, di Leonardo
Tosini; il duo degli scrocconi, comprende il conte-servente, affettato e
caricaturale fino al ridicolo, di Simone
Babetto e il Fabrizio di Cristiano
Parolin, prototipo del consigliere interessato e scroccone. Variegato
risulta il ragionare di Filippo Quezel,
nei panni del tappezziere Sgualdo, attento nel bilanciare la dignità e la
convenienza del lavoro artigianale. Il delirio
di mostrarsi e di primeggiare sinterseca con la straordinaria schiettezza di
una lingua parlata che la regia esalta attraverso lestro dei personaggi
femminili, lipocrisia dei cicisbei, lingenuità e la finta arroganza degli
sposi affittuari della “casa nova”, mentre la soluzione finale sinchina
dinanzi alla necessità di riguadagnare la benevolenza del vecchio zio, unica
àncora di salvezza nel crollo delle illusioni.
Spettacolo visto l11 aprile 2019 al Teatro Goldoni di Venezia.
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