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Musica vera da tutto il mondo

di Michele Manzotti
  AmericanaFestUK
Data di pubblicazione su web 01/03/2019  

Stavolta è la periferia a essere protagonista. L’AmericanaFestUk di Londra si è svolto infatti nella zona di Hackney, a nord-est della città. Cinque club e l’Hackney Empire hanno ospitato questa manifestazione che offre la possibilità di ascoltare tanti artisti a un prezzo contenuto (equivalente ai nostri trenta euro) per due giorni. A patto che ci si riesca a districare tra le molteplici proposte, con musicisti provenienti da Stati Uniti, Canada e Regno Unito. Anche la serata conclusiva, coincidente con la consegna degli Uk Americana Awards all’Empire, ha un biglietto d’ingresso modico, di ventotto euro circa (molti posti erano riservati ai delegati che avevano partecipato ai lavori congressuali dell’Americana Music Association Uk).

Numerosi, dunque, gli artisti coinvolti nella rassegna, suddivisi nei primi due giorni in  cinquantatré set diversi. Lo staff del festival aveva il suo quartier generale al Night Tales: il nostro percorso è iniziato qui con il concerto di Caroline Spence. La sua è una proposta country dal suono tradizionale, elegante e ben eseguito. Inoltre la Spence ha una spiccata attitudine alle ballate dalla melodia interessante. Un’artista da tenere d’occhio. 

La sorpresa della prima giornata è stata la canadese Kaia Kater. Nata da un padre di origine caraibica, nei suoi brani affronta i temi dell’emigrazione e della multiculturalità. Cantante, banjoista e chitarrista, la Kater convince tanto nei pezzi originali quanto in quelli tradizionali. Una voce calda e la bravura strumentale completano una performance di grande livello, premiata dall’ottimo successo di pubblico all’Empire Bar.

Il festival ha ospitato anche musicisti di esperienza quali Amy Speace: accompagnata da Emily Barker alla voce e Neilson Hubbard alla batteria, la Speace ha presentato al Paper Dress Vintage i suoi nuovi brani che mostrano un cantautorato maturo di sostanza.


CoCo and the Butterfields
© Michele Manzotti

Il finale è stato nel segno dei giovani al pub Oslo con il gruppo Coco and the Butterfields, di base a Canterbury. Un suono energico che dal vivo vira sul pop (con il nome Dulcima parteciparono all’Eurovision Song Contest nel 2016), a differenza di tanti loro brani più soft disponibili anche su YouTube. In ogni caso la proposta di questi musicisti, con la voce duttile della cantante Dulcima Showan in evidenza, resta interessante, a patto che in futuro la band alterni con più equilibrio l’anima rock-pop a quella melodica. 

Tra le caratteristiche della seconda giornata del festival c’era lo speciale dedicato all’etichetta Thirty Tigers. L’omaggio a questo marchio è stato allestito in un unico club di Hackney, il Moth. C’era molta attesa per la presenza di un’icona del pop soul come John Oates, artista che ha all’attivo un album country come Arkansas. Iniziamo proprio da lui, momento centrale della serata. Oates ha voluto omaggiare maestri del calibro di Mississippi John Hurt (Spike Driver, Stack O’Lee) e colleghi quali Jim Lauderdale (Carolina) nella ricerca di sonorità alla base del genere “Americana”.

Tra brani degli anni ’20 (Miss the Ms) e suoi pezzi originali, il musicista statunitense ha dato una lezione di classe. Con tanto di finale dedicato al più famoso repertorio con Daryll Hall: quella She’s Gone, hit degli anni ’70, eseguita con voce e chitarra acustica.


John Oates
© Michele Manzotti

Ad aprire la serie dei set, presentati da Emily Barker, il duo Ida Mae. Il loro compito era quello di attirare l’attenzione e lo hanno fatto con chitarra e dobro a volume alto in un country blues che vira verso il rock’n’roll. Tanta energia, forse ancora da incanalare verso un suono più coerente. Tutt’altra musica quella degli Asleep at the Wheel, arrivati a Londra da Austin, Texas, in versione acustica. Una classe immensa e tanto divertimento in un repertorio fatto di classici in cui il country ha sposato felicemente lo swing grazie allo stile violinistico ispirato a quello di Stéphane Grappelli più che a quello dei fiddler delle praterie. I vari riconoscimenti dei Grammy Awards non sono certo un caso. Tra i brani proposti: Route 66, I Can’t You Get Anything About Love, Tiger Rag (da loro interpretata a suo tempo con gli Old Crow Medicine Show) e Miles and Miles in Texas eseguiti dall’inossidabile Ray Benson e da Katie Shore

John Smith, cantautore originario del Devon, rappresenta perfettamente il folksinger che con voce e chitarra cattura il pubblico raccontando storie. L’attenzione è stata particolarmente elevata per questo artista di grande esperienza, ospite fisso dei festival folk.

Al giovane texano Wade Bowen il compito arduo di esibirsi dopo Smith e Oates. La sala si stava fatalmente svuotando, ma piano piano il cantautore ha saputo convincere per la qualità delle sue canzoni. Un musicista da tenere in considerazione. 

Infine si è assistito al ritorno nel Regno Unito dei The Rails, di cui fa parte la figlia d'arte Kami Thompson, già vincitori ai Folk Awards 2015 a Cardiff. La loro autorevolezza di esecuzione (lo stile chitarristico di James Walbourne è molto funzionale) e la creatività del duo sono cresciute, come dimostrano anche i brani in uscita con il prossimo album.

L’ultimo giorno ha avuto un prologo inaspettato: anche se l’appuntamento alla Rough Trade East (zona Brick Lane) era fuori dal festival, è indubbio che lo showcase di Carson McHone ne facesse idealmente parte. La giovane songwriter di Austin, Texas, si era già esibita il primo giorno della rassegna. Fresca di album (Carousel), tende ad affidarsi alle ballate (Sad) nonché alla rivisitazione delle danze popolari con grande poesia e valenza melodica.


Il finale del festival
© Michele Manzotti

Con la serata finale torniamo nel quartiere di Hackney e al suo Empire, il teatro che abitualmente ospita anche spettacoli d’opera. Gli Awards seguono uno schema analogo ad altre situazioni musicali: un maestro di cerimonie (in questo caso Bob Harris, voce storica della Bbc), l’annuncio delle nomine, i momenti di esecuzione. Tante le categorie dei premiati, ma ci piace sottolineare la presenza di molti artisti di primo piano. Non solo grandi nomi quali Graham Nash e Rhiannon Giddens, ma anche Mary Gauthier e Ben Glover, musicisti che incidono con successo per un’etichetta italiana, la Appaloosa. Per quanto riguarda la parte concertistica i momenti emozionanti non sono mancati: la Teach Your Children con cui Nash ha festeggiato il premio alla carriera consegnatogli da Allan Clarke suo amico e compagno negli Hollies; la prova violinistica del “nostro” Michele Gazich nell’esibizione di Mary Gauthier; i Curse of Lono; la direzione musicale di Ethan Johns della band residente della serata; l’esecuzione di Ben Glover; lo straordinario momento a cappella senza microfono di Giddens.

Poi il finale con This Land Is Your Land di Woody Guthrie cantata da tutti i musicisti che hanno partecipato alla serata. Che ha visto anche un altro premio fondamentale, quello a Joe Boyd e ai suoi cinquantacinque anni di carriera sintetizzati in un discorso da antologia. Complimenti per questa tre giorni festivaliera di ottima qualità.

L’AmericanaFestUk si è svolto a Hackney (Londra) dal 29 al 31 gennaio 2019.


AmericanaFestUK



cast cast & credits
 
trama trama



Emily Barker
© Michele Manzotti


Qui il programma di Americana FestUK 2019 che si è svolto a Hackney (Londra) dal 29 al 21 gennaio
 
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