Si sta come le cozze in mezzo al mare
![Belve](../recensioni/img/cat6/0518_belve_big.jpg)
Sipario chiuso, luci accese: gli sguardi curiosi dai palchi e le voci del pubblico ancora riempiono la platea, quando Monica Demuru irrompe con passo deciso sul palcoscenico mimando l'antico gesto dell'apertura del sipario. Cala il silenzio. Schiocca le dita e si spengono le luci in sala. Così l'attrice mette in moto Belve, una farsa in prima nazionale al Teatro Metastasio di Prato, creatura ultima generata dalla mente di Massimiliano Civica e dalla penna di Armando Pirozzi. Belve: un titolo giallo su fondo nero per raccontarci una “farsa” contemporanea.
Dopo
aver affrontato con successo la tragedia classica con Alcesti di Euripide e Un quaderno per l'inverno di Armando
Pirozzi (rispettivamente Premio UBU miglior regia 2015 e 2017) che il critico Massimo Marino ha definito “commedia
lirica”, Civica si cimenta
per la prima volta con il genere farsesco (tinto di noir). Così recita il libretto di sala: «credo negli attori e in un
teatro che metta al centro gli attori. Per questo sono sempre stato affascinato
dalla farsa, genere teatrale che storicamente ha costituito il “tempo dell'apprendistato”
e il banco di prova dei grandi attori».
Sei
gli interpreti in scena. I protagonisti della storia sono Pippo (Aldo Ottobrino) ed Elisabetta (Monica
Demuru), una coppia piccolo borghese tra i trentacinque e i quarant'anni, senza figli: il rientro a
casa del marito stressato dalla dura giornata di lavoro, la mogliettina
frustrata che aspetta (e spera) in un impeto di rinata passione, gli odiati
vicini che si autoinvitano a cena turbando l'apparente normalità della casa.
Siamo in sala da pranzo, la tavola apparecchiata finemente nasconde sotto di sé
i “panni sporchi” della famiglia: la grande abbuffata di cozze è predisposta.
![](img/cat6/0518_belve_int1.jpg)
Un momento dello spettacolo
© Duccio Burberi
I
vicini, Giorgetta (Alessandra De Santis)
e Giocondo Di Vano (Salvatore Caruso),
sono due personaggi dall'aspetto ridicolo quanto i loro nomi: alta e in carne
lei, basso e magro lui. Creano da subito con l'altra coppia un contrasto molto
forte: tanto Pippo ed Elisabetta sono nervosi e irascibili, quanto Giocondo e
Giorgetta incarnano serenità e giovialità esasperanti; scuri negli abiti e
adombrati gli uni, candidi e solari gli altri.
Confinati
nello spazio ideale delineato dallo schermo cinematografico sullo sfondo, i
quattro si interfacciano di volta in volta (di gag in gag) con la galleria di
macchiette create dai depositari della leggerezza della pièce: i trasformisti Alberto
Astorri e Vincenzo Nemolato, gli
unici a non abbandonare mai la dimensione farsesca.
Il
testo di Pirozzi racconta la deriva di
una società ancora oggi eternamente divisa tra pochi ricchi e molti poveri, ma
con un'insidia in più: l'illusione del povero di poter diventare ricco. È
questa la “teoria della cozza” che risucchia dal mare quanto può senza
restituire niente, così come il ricco spreme il povero senza pietà alcuna:
teoria espressa da Giocondo in un momento di “verismo” forzatamente
didascalico. Si racconta così il confronto spietato tra generazioni, nel quale
i figli cercano di annientare i padri per sopravvivere, per mantenere o
conquistarsi un posto di potere nella società, quella che conta. La donna, come
una moderna Lady Macbeth dedita all'alcool, spinge il marito all'omicidio per
interesse: un omicidio che sembra irrealizzabile e che porta la coppia alla disperazione
a tratti comica, a tratti drammatica.
![](img/cat6/0518_belve_int2.jpg)
Un momento dello spettacolo
© Duccio Burberi
Lo
spaesamento si consuma in una continua osmosi tra dramma e farsa nella prospettiva
attor-centrica dichiarata del regista. A dare una direzione al testo sono i
personaggi con le loro espressioni, intonazioni e gesti fatti di comicità
fisica, di macchiette e gag da vaudeville.
Una messinscena che tenta di essere intelligibile a più livelli perché, come recita Giocondo rappando in rima baciata, «non si rima
solo per il pubblico amico, a volte bisogna fare qualcosa anche per il
critico»; ma ci si riesce solo in parte. Non mancano gli omaggi alla tradizione
farsesca, da Plauto a Scarpetta, con tanto di agnizione e
momento di festa finali, associati a colpi di scena alla Ionesco, elementi di “surrealtà”
alla Franca Valeri inseriti in una
dimensione onirica degna di Stefano
Benni.
La mano del regista è
onnipresente nella macchina della finzione che sul finale ne risulta
appesantita. Complice il teatro Metastasio, i cui spazi non hanno giovato alla
godibilità dell'azione: l'avremmo vista più adatta per un ridotto, luogo meglio
predisposto al contatto del pubblico con il motore della scena, l'attore.
Belve, una farsa
Cast & credits
Titolo
Belve, una farsa |
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Anno
2018 |
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Data rappresentazione
17 aprile 2018 |
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Città rappresentazione
Prato |
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Luogo rappresentazione
Teatro Metastasio |
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Prima rappresentazione
Prato, Teatro Metastasio |
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Autori
Armando Pirozzi |
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Regia
Massimiliano Civica |
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Interpreti
Alberto Astorri Salvatore Caruso (Giocondo di Vano) Alessandra de Santis (Giorgetta) Monica Demuru (Elisabetta) Vincenzo Nemolato Aldo Ottobrino (Pippo) |
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Produzione
Teatro Metastasio di Prato, Amunia Centro di Residenze Artistiche Castiglioncello |
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Costumi
Daniela Salernitano |
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Luci
Roberto Innocenti |