drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

First Solo / Skrjibiniana / Satori

di Gabriella Gori
  Satori
Data di pubblicazione su web 19/02/2018  


Project Polunin Satori è uno spettacolo in cui troneggiano la figura carismatica e la sbalorditiva bravura di Sergei Polunin. Il “bad Boy” della danza che con l’addome, le spalle e le mani tatuate sembra fare proprio il motto dei “poeti maledetti”, epatez le bourgeois. Ma c’è qualcosa di più. E questo qualcosa è la complessa personalità di Sergei, la stessa che traspare dal film Dancer realizzato nel 2017 da Steven Cantor tuttora nelle sale cinematografiche. Un documentario sulla difficile vita di Polunin bambino in Ucraina, sulla danza come occasione di riscatto sociale e culturale, sull’innato talento che a soli diciannove anni lo proietta ai vertici del Royal Ballet di Londra.

 

Un successo esplosivo che però a ventitré anni lo porta a sentire una profonda insofferenza per quella danza tirannica, soffocante, costrittiva che gli ha dato tanto, inaspettatamente troppo e forse troppo presto, e che ora vuole la sua “contropartita” imprigionandolo in un ruolo ben definito. Così Sergei si ribella, lascia nel 2012 il posto “sicuro” di primo ballerino al Royal Ballet, assume atteggiamenti controcorrente e anticonformistici e fa della sua nequitia una bandiera. Diventa icona di sé stesso ampliando i suoi orizzonti con la partecipazione a servizi fotografici e a video, fra cui quello cliccatissimo di David La Chapelle del 2014 su la canzone Take me a Church di Hozier. L’anno scorso prende parte a Assassinio sull’Orient Express di Kenneth Branagh: un’esperienza cinematografica che lo affascina e che continua in questo 2018 nel thriller Red Sparrow di Francis Laurence, in The White Crow di Ralph Fiennes e in The Nutcracker and the Four Realms di Lasse Hallström.



Un momento dello spettacolo 
© Roberto Ricci

Un “iperattivismo” che contrariamente a quanto lui stesso poteva, o si poteva pensare, non lo separa dalla danza. Anzi fa rinascere un legame più solido e maturo con l’avventura di Project Polunin. Un progetto ambizioso che ha l’obiettivo di realizzare inedite coreografie all’insegna della multi e della pluridisciplinarietà mediante la collaborazione di ballerini, musicisti, coreografi e artisti provenienti da ambiti e percorsi diversi.

 

Il primo frutto di questa sinergia è il trittico Satori, che ha debuttato a inizio dicembre 2017 al Coliseum di Londra ed è arrivato in Italia in prima nazionale al Teatro Regio di Parma, accolto da un tripudio di onori e consensi. Satori, termine buddista che significa “risveglio spirituale” o “illuminazione” scelto come titolo della serata e dell’ultimo pezzo firmato da Polunin, la dice lunga su questo fabulous dancer.

 

Un volitivo e geniale ucraino che ha trovato sostenitori e seguaci in ballerini che condividono lo spirito del progetto, a cominciare dalla splendida Natalia Osipova, prima ballerina del Royal Ballet e sua compagna, proseguendo con il fior fiore della danza russa e serba: un manipolo di motivati sodali che rispondono al nome di Igor Tsvirko e Anastasia Goryacheva, primi solisti del Balletto del Teatro Bol’šoj di Mosca. I due sono affiancati da altri bols’ojniani doc: i solisti Egor Khromushin e Evgenia Savarskaya, la prima ballerina Nina Kaptsova e colleghi provenienti da altri teatri moscoviti e serbi quali Elena Solomianko e Alexei Lyubimov (solisti del Balletto del Teatro Stanislavskij), Polina Podolskaya (solista del Balletto del Cremlino), Liliana Velimirov (solista del Teatro Nazionale di Belgrado), senza dimenticare il giovanissimo Dorde Kalenic, allievo della Fondazione Nazionale della Danza della capitale serba.



Un momento dello spettacolo 
© Roberto Ricci

 

Se da un lato Satori nasce su input di Sergei, dall’altro riflette il suo accademismo nel recuperare la grande tradizione coreutica russa e il bisogno di una rinascita umana ed esistenziale al di là del ribellismo, dello straordinario talento, della mostruosa tecnica, dello scegliere l’arte come espressione di sé. Il primo pezzo è First Solo, una coreografia di Andrey Kaydanovskiy su musiche di Alèmu Aga e Agustin Lara e luci basse di Christian Kass. Sergei, a torso nudo con indosso i pantaloni di Martin Leuthold, “duetta” con le poesie del sovietico Alexander Galich recitate da una graffiante voce di sottofondo. Un melologo in danza che vede Polunin, sempre di spalle al pubblico, mostrare la loquacità espressiva di una danza contemporanea, fisica, materica, ma intrisa di classicismo nell’allongé dei passaggi e nell’eleganza con cui asseconda le parole di Galich.

 

L’omaggio  alla Russia prosegue con Sckrjabiniana, una coreografia di Kasyan Goleizovsky su musica di Alexander Skrjabin, con la regia e le luci soffuse di Roman Mikheenkov. Si tratta di una delle poche creazioni non rimaneggiate di Goleizovskyl, fulgido esempio di quello che sarà il proverbiale neoclassicismo di Balanchine. Attivo a Mosca tra gli anni Venti e Sessanta del Novecento, Goleizovsky fu all’avanguardia per il suo modo innovativo di liberare il corpo e il vocabolario accademico dalle rigide costrizioni assiali della danse d’école. Anche solo per aver rilanciato Sckrjabiniana – rappresentata al Bol’šoj nel 1962 e ricostruita per Satori da Ksenia Oyventa – dobbiamo essere grati a Polunin, non dimentico delle radici di quel rinnovamento stilistico che va sotto il nome di neoclassicismo (prima) e di postclassicismo (poi).

 

Sckrjabiniana è un fluire di lirici soli, passi a due e scene corali in cui si avvicendano Polunin, Natalia Osipova, Igor Tsvirko, Elena Solomianko, Egor Khromushin, Polina Podolskaya, Evgenia Savarskaya, Alexei Lyubimov, Nina Kaptsova e Anastasia Goryacheva. Accarezzati dai setosi costumi di Sofia Filatova, i ballerini tessono una fitta trama di stati d’animo differenti con un linguaggio adamantino, morbido, brillante, raffinato, che punta alla cantabilità del dettato coreografico e coreutico richiamando tanta parte della “poesia di danza” del secondo Novecento. Impressi rimangono tutti i quadri danzati e tutti i formidabili protagonisti a cominciare dai due protagonisti, da soli o in coppia, lui per l’incontenibile vitalismo con cui fagocita lo spazio scenico, lei per l’elegante leggerezza con cui si impone sulla scena. Una “comunione” fisica e spirituale che rende giustizia allo stile innovativo di Goleizovsky e regala momenti di grande danza passata, presente e futura. Vedere Polunin e Osipova volteggiare sui passi a due di Sckrjabiniana richiama alla mente il liricissimo pas de deux di Spartacus, balletto cult del repertorio bols’ojniano firmato da Grigorovich nel 1968 su musica di Khatchaturian non immune dagli stilemi di Sckrjabiniana e dalla poetica neoclassica di Goleizovsky. Un grazie dunque a Polunin per questa dotta operazione di “archeologia” coreografica, che fa apprezzare, seppur con i dovuti distinguo, anche il suo Satori.



Un momento dello spettacolo 
© Roberto Ricci

Va precisato che Polunin non è un coreografo, o almeno non lo è ancora. Conta anzitutto l’urgenza biografico-artistica di mettere in danza la propria vita per esorcizzare fantasmi e ossessioni, riannodare i fili di un passato familiare non facile e prendere le distanze dagli accecanti bagliori di un successo prematuro.

 

Su musica di Lorenz Dangel, con la regia di Gabriel Marcel Del Vecchio, scene bucolico-tecnologiche di David La Chapelle e costumi di Angelina Atlagic, Polunin si relaziona con una proiezione di sé stesso bambino, interpretato dal sorprendente e bravissimo Kalenic, alle prese con i salti indiavolati e i poderosi manèges dell’originale. Virtuosismi stratosferici puntualmente esaltati dalle luci di Christian Kass e dai video di Design Zsolt Balogh.


Tramite Dorde, Polunin recupera il rapporto con la madre (un’intensa Liliana Velimirov) e mostra il bisogno di affetto di un ragazzino anticipando quello dell’adulto in lotta con i suoi demoni. Due figure in nero lo circondano, Alexey Lyubimov e Igor Tsvirko, fugate dalla donna in rosso, una dolcissima e comprensiva Osipova, simbolo dell’amore salvifico.


A Satori mancherà forse il piglio autoriale, ma quello che non difetta a Sergei è il coraggio di raccontare sé stesso, il "bad Boy" innamorato della danza, di Natalia e della vita.



Satori


First Solo
cast cast & credits
 


Skirjabiniana
cast cast & credits
 


Satori
cast cast & credits
 



Un momento dello spettacolo
© Roberto Ricci

 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013