Linterazione creativa fra parola drammatica e danza continua a porsi problematica a ogni nuova prova di fusione fra i generi. Un caso dincontro felice mi pare invece ladattamento scenico del Maestro e Margherita di Michail Bulgakov a opera di Elisa DAndrea ed Emanuele Conte, rappresentato dal Teatro della Tosse. Nella regia, condivisa dallautore con la coreografa Michela Lucenti, si scorge un disegno chiaro ed efficace nellindirizzare le due arti a uno scopo espressivo ambizioso con un risultato convincente, nel quale lapporto della danzatrice-coreografa è decisivo.
Lelaborazione drammaturgica riduce drasticamente i personaggi, elimina molti temi e peripezie originali e mira a valorizzare i tre motivi conduttori (o linee narrative) del romanzo, letto e interpretato attraverso la collazione delle varie traduzioni disponibili. Restano evidenti la missione del Diavolo in visita ai cittadini moscoviti; la storia di Ponzio Pilato, segnata dalla responsabilità e dal senso di colpa seguiti alla passione e morte di Gesù e lincontro fra il Maestro e la sua musa e salvatrice, Margherita. Il genere narrativo che nel racconto illustrava la storia di Pilato assume nello spettacolo la forma del dramma.
Dopo la proiezione di disegni animati – stilizzazioni preziose ed estemporanee di Paolo Bonfiglio evocanti la condanna dellinnocente evangelico – entra in scena lo stesso Satana in veste di Mago a condurre la rappresentazione con suadente carisma di prestigiatore. Lo spazio teatrale reale diviene così anche spazio drammatico nel quale immaginare incontri e dialoghi fra i personaggi del libro e partecipare al commento o contrappunto dei danzatori, sostenuto da musiche datmosfera fiabesca e da movimenti che mimano situazioni emotive o esistenziali. La partitura sonora di Tiziano Scali è tanto più calzante in quanto sviluppata in corso dopera, durante le prove.
Un momento dello spettacolo © Donato Aquaro Nel dispositivo sul palcoscenico “aperto”, le scenografie sorgono con soluzioni “povere” e pregnanti: quinte di carta di giornale, una pista tonda per balletti e giochi circensi, con un trapezio per evoluzioni rischiose, allegorie della ricerca dequilibrio tra forze e idee contrastanti. Come in un bilancio apocalittico che superi la Storia russa – quella che ha tanto condizionato il destino di Bulgakov, scrittore censurato e perseguitato –, si partecipa agli eterni conflitti fra bene e male, verità e menzogna, libertà e potere. Malgrado la contrazione notevole dellintreccio narrativo, è conservata la necessaria coerenza rispetto alla complessità del romanzo (incompiuto), scritto negli anni Trenta. Si assiste così alle stroncature che la critica riserva allopera del Maestro, al suo incontro con Margherita e al suo internamento in manicomio.
In una temperie molto agitata, si fondono lansia di
verità dellautore, il suo giudizio severo sul caos e
lingiustizia regnanti nei comportamenti umani del suo tempo. Gli
attori sfruttano un testo sintetico e frammentato, ma ricco
dallusioni poetiche, istanze morali, aspirazioni a una felicità
sempre inafferrabile. La recitazione si conforma a un unico organismo
vivente e, grazie anche a una coreografia diffusa e precisa, quel
gioco tocca il pubblico, interpellandolo direttamente in sala, come
quando una Canzone del denaro “attraversa” la platea e
piovono banconote, o quando si procede allelezione della Regina
della diabolica Festa. Una lunga sequenza vede protagonista
Margherita, la strega librata su una scopa che sorvola la città
Capitale. Una prestazione virtuosistica offre la Lucenti nel lungo
vocalizzo di questo personaggio, ottenuto con il mixaggio e la
distorsione elettronica. Il “pezzo” raggiunge una singolare foné,
concentrata nel canto deformato di Nel blu dipinto di blu, nel
quale la sillabazione di “volare” compone un risonante proclama
di liberazione e di condanna. Tanti impulsi emotivi producono un
ritmo coinvolgente, in una sequenza dimmagini in movimento,
grottesche figurazioni sincronizzate. Appaiono, senza presunzioni
filologiche, pertinenti citazioni di stilemi del futurismo e della
biomeccanica, nellimpasto mimico infuso dautoironia della
versatile interprete.
Un momento dello spettacolo © Donato Aquaro
La musica infonde una bellezza funzionale
alloscillazione perturbante delle vicende, lungo originali temi
conduttori. Di classica modernità sono le canzoni francesi,
accompagnate dal pianista Gianluca Pezzino, e limitazione
di Edith Piaf in Mon manège à moi (Tu me fais
tourner la tête), con cui Margherita si rivolge lultima volta
al suo amato. La strepitosa interpretazione della co-creatrice
trascina tutti i collaboratori in un crescendo che merita lapplauso.
Andreapietro Anselmi accentua nel Maestro lumiltà e la
riconoscenza per la grazia dun amore che gli restituisce almeno la
pace, se non la luce della fama negata. Alla fine, è lui a bere il
veleno che Pilato aveva offerto a Cristo, quasi partecipando al
sacrificio supremo. Voland è reso da Maurizio Camilli con
simpatici, misurati stereotipi diabolici, ai quali saddice
labilità dellillusionista imbonitore. Emanuela Serra e
Stefano Pettenella sono i suoi efficienti accoliti.
Dellimpresario teatrale Rimskij, Pietro Fabbri enfatizza
leggermente il carattere timido e goffo, trascurandone il lato
venale. Il Gatto Behemot di Gianluca Pezzino
è più attivo al pianoforte, quando dà voce a una struggente aria
da chansonnier. I costumi di Chiara Defant imprimono un
timbro “musicale” a ogni personaggio. Le luci di Andrea Torazza
rivelano dettagli scultorei nella nudità ginnica dun corpo di
ballo (due danzatrici e tre danzatori) esuberante e armonioso. Da
unopera discussa e discutibile, dindubbio valore storico e
letterario, deriva uno spettacolo di composito e un po strano
fascino; dove lirrazionale e
limmaginario surreale sublimano in ritmo e dinamismo il documento
sociologico di unepoca macchiata dalloscurantismo e dalle
dittature.
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