Octavia.
Trepanation,
opera-operazione scenica firmata dal giovane regista sovietico Boris Yukhananov, su libretto di Dmitri Kourliandski, aveva già suscitato
ammirazione e sorpresa al suo debutto primaverile allHolland Festival 2017. Questa
volta la compagnia dello Stanislavsky Electrotheatre di Mosca adatta il suo monumentale
spettacolo alla splendida e raccolta architettura del Teatro Olimpico di
Vicenza. La prima nazionale di Octavia
si inserisce nel programma Conversazioni
2017 - 70° Ciclo di Spettacoli Classici, attesissimo appuntamento del
panorama culturale del Nord-Est. Loperazione drammaturgica di Kourliandski, nellalveo delle celebrazioni per il centenario della Rivoluzione dOttobre, accosta, sotto il segno della violenza e della tirannia, lOttavia attribuita a Seneca a pensieri di Lev Trotskij su Vladimir Lenin: da un lato la Roma neroniana, insanguinata dalla tirannia e dalle esecuzioni; dallaltro la Russia di ieri, storia contemporanea di violenza e idealismo ancora insanguinata. Loperazione del regista, sulle maglie di un innesto testuale già tanto complesso – e ancora di più per il pubblico italiano a causa della lingua russa – travolge lo spettatore in una kermesse a metà tra lopera lirica e la video installazione, distorcendo lo spazio con luci stroboscopiche (di Sergei Vasilyev) e musica elettronica firmata da Oleg Makarov.
Un momento dello spettacolo © Luciano Romano Lo
spettacolo è già lì, in un fermo immagine, quando gli spettatori prendono posto
sulle gradinate; il loro punto di vista è verticale. Nellorchestra, rivestita
da una superficie rossa e lucida, sono disposte venti grandi statue di
terracotta prive di cranio e mosse dallinterno dal coro: entità senza testa, probabile
metafora della cecità del popolo guidato nelle rivoluzioni di ogni tempo da
altre teste, quelle del potere. Sulla scena di Stepan Lukyanov, così come nei video, la testa è quella enorme di Lenin. Sovrastano e manipolano lesercito
gli attori-individui Nerone, Seneca, Trotskij, il capo delle guardie; le
attrici-apparizioni Agrippina e Ottavia (una plumbea, laltra eterea); e infine
gli attori-funzioni, i tre servi di scena da night club che spostano elementi scenografici e manipolano i
soldati, in divise di vernice rossa. Il rosso domina la scena, rosso-sangue,
rosso-partito.
Un momento dello spettacolo © Luciano Romano
La
matrice dello spettacolo non nasconde il riferimento a un costruttivismo russo
più metaforico che simbolico. Ogni scena, ogni oggetto, ogni costume parla
della Roma di Nerone e insieme della Russia di Lenin, e allo stesso tempo
rimanda ad altro, mentre nellidea registica le statue ‘allantica dellOlimpico
ammiccano alla Democratia e alla Pax della Grecia antica. Le sculture,
dallalto, paiono giudicare lodio, la guerra e la brama di potere dei
personaggi. Linterprete di Seneca, predicatore inascoltato, eburneo nel trucco,
si unisce a quel coro di “marmo” assumendo la stessa posa della statua sopra di
lui; nitido esempio, questo, di invenzione dattore alla ricerca
dellintegrazione con lo spazio. I movimenti come le voci, la coreografia (di Andrei Kuznetsov-Vecheslov) come il
canto, non lasciano posto allimprovvisazione. Tutto è calibrato fin nel
dettaglio. Ed è questa estrema competenza, sono questi splendidi
attori-cantanti ad arginare la perdita di senso causata dalla messa in scena di
uno spettacolo così monumentale in uno spazio purissimo ma di dimensioni
limitate.
Un momento dello spettacolo © Luciano Romano
Nerone,
Seneca, Trotskij, Agrippina, Ottavia e il suo coro di uccelli, lenorme esercito
di terracotta decapitato, la gigantesca testa di Lenin destrutturata (a
Vicenza) stipano e ingombrano oltre misura il pur ampio palcoscenico e lorchestra
dellOlimpico. Non convince quindi ladattamento, che ci pare improvvisato e
demistificante. Lo spettatore, anche il più attento, fa fatica a comprendere la
chiave registica e il senso, il messaggio profondo di uno spettacolo anzitutto “politico”
Il problema non è tanto, o non è solo, lo spazio, quanto il rapporto mutilo con
le videoproiezioni. Della bianca testa di Lenin che nella versione presentata
allHolland Festival dominava lo spazio scenico facendosi palcoscenico
ulteriore per proiezioni e scene agite dal vivo, a Vicenza ritroviamo solo
alcuni frammenti. Viene
meno, dunque, la differenziazione dei piani di narrazione e diviene
contraddittorio il rapporto spettacolo dal vivo-videoproiezioni. Il regista
opta per uno sdoppiamento dello spettacolo: quello live e quello video che segue, o anticipa, le azioni degli attori
stessi innescando quegli effetti che allOlimpico non è stato possibile
apprezzare. Il risultato è la rappresentazione tridimensionale di un rebus da settimana enigmistica,
nonostante tutto apprezzato dallo spettatore vicentino che applaude con
convinzione lesotico sound di una
scelta registica meravigliosamente tratta in salvo da attori guerrieri.
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