È
stato presentato nellambito della neonata rassegna Venice Virtual Reality lultimo
lavoro di Tsai Ming-Liang, presenza ormai
costante del Festival di Venezia (dove è stato anche insignito di un Leone doro,
nel 1994, per Vive LAmour). Il
regista taiwanese sbarca al Lido con il suo primo lavoro in realtà virtuale;
per vederlo è stato necessario recarsi nel nuovo VR Theatre appositamente
allestito nella minuscola, suggestiva isola del Lazzaretto Vecchio. Al suo interno
i visitatori hanno trovato sedili rotanti dotati di visori “sferici” che
consentono una visione a trecentosessanta gradi, e cuffie audio direzionali che
producono variazioni di volume al mutare della posizione dello spettatore.
Una scena del film
Il
film racconta la storia di Hsiao-Kang (Lee
Kang-sheng, ventennale il suo sodalizio con Tsai Ming-Liang), un uomo che
vive in un edificio diroccato sulle montagne cinesi, debilitato da una malattia
che gli impedisce perfino di mangiare. Il suo unico amico è un pesce, con cui fa
il bagno in una vasca. Un bel giorno una donna “fantasma” (Chen Shiang-chyi) che occupa ledificio accanto al suo prova a
entrare nella sua vita; da quel momento le cose sembrano prendere una piega
diversa.
Aveva
annunciato il suo addio al cinema nel 2013, Tsai Ming-Liang, salvo cambiare
idea con il successivo Xi You (Journey to the west, 2014), opera a metà
strada con la videoinstallazione. Il VR ha permesso al regista di proseguire su
questo doppio binario sperimentando le potenzialità espressive offerte dalle
nuove tecnologie. La visione sferica ben si adatta alla poetica contemplativa
del regista taiwanese: poche inquadrature, tutte a camera fissa; tempi dilatati
che sollecitano lo spettatore a decodificare ciò che di volta in volta viene
mostrato.
Una scena del film Protagonisti
del cinema di Tsai Ming-Liang sono il tempo e lo spazio. Al tempo, sia quello del
racconto (la durata delle inquadrature) sia quello della storia (il susseguirsi
implacabile degli anni), corrisponde un deteriorarsi dello spazio, di valore
uguale e contrario alla vita che lo abita (o che cerca di abitarlo). Se lesito
più estremo di questa poetica era fissato da Stray Dogs (2013), in cui gli attori erano spettatori dei loro
stessi ambienti, con questultimo lavoro Ming-Liang sposta lasticella in
avanti. Nei minimali mondi sferici di cui siamo chiamati a far parte tutto è
astratto, ridotto allessenziale. La possibilità di orientare lo sguardo e lascolto
sembra quasi amplificare la desolazione dei luoghi (da qui il titolo) e, di
riflesso, quella del protagonista.
La
visione globale è lì per dirci che non cè nulla da vedere o, piuttosto, che cè
il nulla da vedere. La contemplazione
del vuoto acquista un nuovo risalto: lapparecchio tecnologico di mediazione, anziché
veicolare una maggiore “immersività”, acuisce la distanza, impedendo limmedesimazione
nel momento stesso in cui la simula. Ming-Liang dimostra di conoscere bene la
realtà virtuale: simulazione di un corpo immateriale attraverso un dispositivo
materiale. Come già il cinema ha dimostrato, e come i nuovi medium audiovisivi
sembrano ribadire, lillusione di realtà è tanto più impossibile quanto più
diviene manifesta. Su tale paradosso si gioca questo piccolo film.Va
detto che il VR, pur con lausilio di mezzi di ultima generazione (la
videocamera è una Jaunt One 360 gradi), è ancora da perfezionare (bassa
risoluzione in uscita, bassa gamma dinamica di luce e di colore, impossibilità
di variazione sullasse, etc.). Eppure ogni limite può diventare opportunità
espressiva, come The Deserted splendidamente dimostra.
Una scena del film
Va
detto che il VR, pur con lausilio di mezzi di ultima generazione (la
videocamera è una Jaunt One 360 gradi), è ancora da perfezionare (bassa
risoluzione in uscita, bassa gamma dinamica di luce e di colore, impossibilità
di variazione sullasse, etc.). Eppure ogni limite può diventare opportunità
espressiva, come The Deserted
splendidamente dimostra.
Ming-Liang,
regista già di nicchia, sembra quindi rivolgersi a una nicchia ulteriore. Eppure
la nuova strada promette bene. Se il cinema è nato come spettacolo collettivo, la
realtà virtuale, a dispetto dei detrattori, può esserlo
altrettanto.
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