Charley
(Charlie Plummer) ha sedici anni,
non ha mai conosciuto la madre, scappata di casa quando aveva pochi mesi, e
abita con il padre, un eterno ragazzone che la sua passione per le donne degli
altri costringe spesso a cambiare città e lavoro. Da poco arrivato a Portland,
nellOregon, vede che vicino casa cè un maneggio. Qui fa casualmente amicizia
con Del (Steve Buscemi), un vecchio
e cinico allevatore di cavalli da corsa che lo prende come aiutante,
soprattutto per i trasferimenti in occasione delle gare. Durante una di queste
trasferte conosce Bonnie (Chloë Sevigny),
la fantina che di solito monta Lean on Pete, il docile cavallo preferito da
Charley. Quando sembra che uno spiraglio di serenità stia per attraversare la
vita del giovane, ecco che tutto inizia a precipitare e a lui non resterà che
appoggiarsi a Lean on Pete e alla ricerca della fantomatica zia Margy (sorella
del padre) per cercare di non essere travolto.
Una scena del film Dopo
aver esplorato le imprevedibili dinamiche sentimentali e i laceranti rimpianti
di unanziana coppia in 45 anni, Andrew Haigh salta quattro o cinque
generazioni e attraversa lOceano (anche metaforicamente) per approdare in
America e posare il suo sguardo sui tormenti di un ragazzo alla disperata
ricerca di una stabilità non solo affettiva. Basato sul romanzo La ballata di Charley Thompson di Willy Vlautin, Lean on Pete è il delicato ritratto di una età
inquieta in cui non si è coscienti dei propri mezzi, delle proprie possibilità
e soprattutto delle proprie potenzialità: «Sei
forte?» gli chiede il vecchio Del quando lo incontra la prima volta; «Non lo so»
risponde il protagonista. Questa tempesta che attraversa la mente e il fisico di
Charley viene portata sullo schermo sfruttando tutta la gamma dei campi e dei
piani (dal lunghissimo al primissimo), mostrando di fatto limpossibilità di
inquadrare il personaggio allinterno di un suo spazio definito e dedicato,
perché tutto in lui e intorno a lui è in continua trasformazione. Come continua
a trasformarsi il paesaggio in cui viene letteralmente immerso durante il suo
interminabile viaggio allinterno del “ventre molle” dellAmerica
conservatrice, fatto di deserti e di steppe da attraversare, sotto un sole che
brucia la faccia e dentro una polvere che riempie i polmoni; ma in quei
luoghi ci sono anche boschi e fiumi dove tuffarsi e tornare bambini.
Quello
di Charley è un viaggio nelle profonde contraddizioni dellAmerica, soprattutto
quella delle classi sociali più segnate dalla crisi: quegli “ultimi” capaci al contempo di inaspettati gesti di
generosità e di violenze improvvise e crudeli, sintomo di una schizofrenia
sociale verso la quale il protagonista si comporta con altrettanta generosità e violenza. Un «racconto di formazione» in un periodo della vita oscuro e
indecifrabile, dove la voglia di normalità diventa un atto eversivo: qui un
cavallo può diventare il miglior antidoto a una solitudine esistenziale in cui
si ha bisogno di parlare di ciò che si era e di quello che si vorrebbe essere. Il
tutto in un film off the road dove è
bello ritrovare il tenero cinismo di Steve Buscemi e laspra dolcezza di Chloë
Sevigny, due grandi attori del cinema indipendente americano che vorremmo
vedere più spesso sul grande schermo.
Una scena del film Se
rappresentare ladolescenza è sempre difficile, farlo al cinema è ancora più
complesso, perché sono necessari una particolare sensibilità e soprattutto il
giusto interprete, che sappia far arrivare allo spettatore tutto lo smarrimento
delle crisi di quelletà senza ricorrere a inutili semplificazioni o
insopportabili stereotipi. Haigh riesce in questa complicata impresa grazie
alla misura della sua regia e, soprattutto, alla sorprendente interpretazione
di Charlie Plummer, che restituisce anche posturalmente le rigidità, le
incertezze, i desideri di chi, troppo presto, si trova
costretto a prendere in mano la propria vita.
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