«Solo
un padrone ha il mondo: la ricchezza» sentenzia il povero Crèmilo nel Pluto di Aristofane, mentre il dio della ricchezza – Pluto, appunto – in preda alla cecità, distribuisce fortune in
modo iniquo, non facendo distinzioni tra onesti e furfanti. Ma cosa accadrebbe
in un mondo alla rovescia, in cui tutti sono ricchi? Un mondo in cui non esiste
povertà, in cui tutti hanno tutto? Saremmo davvero più felici? Aristotele definì “contro natura”
la chrematistiké, “larte di
accumulare denaro” e «nel IV secolo a.C., ventiquattro secoli prima del
tracollo finanziario di Lehman Brothers (15 settembre 2008) […] nella Politica aveva teorizzato che “trarre
guadagno dal denaro stesso e non al fine per cui esso fu escogitato costituisce
il più innaturale di tutti i modi di arricchire”» (I. Dionigi in E. Bianchi et
al., Il dio denaro, Milano, BUR,
2010, pp. 9-10). Del resto già Marx
guardò al filosofo greco con interesse per quella sua distinzione tra “valore
duso” e “valore di scambio” che anticipava
la futura riflessione sul capitalismo (cfr. ivi, p. 62).
Un momento dello spettacolo © Franco Guardascione A
partire dalla commedia di Aristofane, Gianluca
Guidotti ed Enrica Sangiovanni
hanno portato in scena Plutocrazia,
nellAula Magna Santa Lucia di Bologna, per il consueto appuntamento con il
ciclo di letture di classici organizzato dal Centro Studi “La permanenza del
Classico” dellUniversità di Bologna. Ogni anno, a maggio, intellettuali e
studiosi si confrontano su temi di portata universale, indagando
le proiezioni dellantico nella cultura occidentale. Ledizione di questanno, La felicità, ha visto protagonista per
la serata del 18 maggio la compagnia Archivio Zeta, affiancata dallo
psicoanalista Massimo Recalcati che
ha proposto una riflessione sul tema della ricchezza. Plutocrazia, prodotto dal teatro
Metastasio di Prato, è un progetto teatrale-economico che, come sottolineano i
due registi, dalla commedia antica si proietta in questi anni di crisi, di
cannibalismo capitalistico, di internazionalizzazione dei mercati con le
conseguenti ricadute in termini di lavoro, di diritti e di mancate integrazioni
culturali. Se
nel Pluto Aristofane affronta il
problema della sperequazione sociale e della ridistribuzione delle ricchezze,
da qui i due registi partono per parlare del futuro. La commedia, come noto,
narra del povero contadino Crèmilo che, stanco di vedere arricchiti soltanto i
disonesti, si imbatte in Pluto e gli propone di fargli riacquistare la vista,
in modo che possa elargire i suoi doni solo alla gente onesta. Ma al progetto
si oppone Penìa, la Povertà, che nellagone con Crèmilo sfodera tutta la sua
eloquenza, sottolineando come soltanto essa generi benessere, perché spinge al
lavoro e stimola le arti. Di fronte a questi argomenti, Crèmilo non ha molto da
opporre, se non la forza generata da una povertà realmente sofferta.
Un momento dello spettacolo © Franco Guardascione Ad
ogni modo, il suo progetto riesce e Pluto recupera la vista, anche se ciò non
ha più molta importanza. Penìa con le sue forti argomentazioni si è dimostrata
vincente, innescando ulteriori considerazioni. È così che dagli interrogativi
capitali sollevati dalla commedia, Guidotti e Sangiovanni ci introducono alle
riflessioni di Franco Belli, Noam Chomsky, Goffredo Parise, fino ai Manoscritti
economico-filosofici di Marx, coinvolgendoci in ragionamenti sul mercato,
sul profitto, sul plusvalore. Incursioni
nel contemporaneo che si affacciano tra le pieghe della pregevolissima
traduzione della commedia aristofanea a opera di Federico Condello, orientata dalla destinazione scenica: una
traduzione che ha il coraggio di una fedele infedeltà al testo, come è spiegato
nella nota del traduttore. Non
stupirà allora se al coro dei contadini delloriginale greco si sarà sostituito
quello dei «compagni» chiamati a raccogliere le forze perché è «tempo di
agire»; né sorprenderà sentire echeggiare in scena i nomi di Tromp, Salvoni,
Berlosca ecc., con cui il filologo ha attualizzato i nomi propri aristofanei
tipici dellonomastì komodeìn (lo “sbeffeggiare per nome”),
formula propria della commedia antica. Leffetto è sorprendente, e lo
spettacolo si dipana alternando momenti riflessivi ad altri di ilarità.
Un momento dello spettacolo © Franco Guardascione Così
quando Penìa, – una straordinaria Enrica
Sangiovanni che interpreta anche il ruolo di Pluto – arriva sulla scena,
lacera e piena di stracci, sembra assumere su di sé quella tragicità che questa
commedia porta inevitabilmente in dote nella sua amara riflessione. Al contempo
scatena la risata più fragorosa quando incede sul palco interagendo con Crèmilo
(Gianluca Guidotti) e con un Karl
Marx – uno strepitoso Ciro Masella, qui anche nel ruolo del servo Carione
– che al solo vederla, vorrebbe scappare: proprio lui, più di tutti, terrorizzato
da signora Povertà. Un
ticchettio di macchine da cucire pervade a più riprese lo spazio scenico: sono
i telai dei tanti laboratori tessili di Prato dal
cui fragore ha preso spunto la suggestiva partitura sonora dello spettacolo,
curata da Patrizio Barontini e
composta anche con ricerche di musiche di archivio. E
mentre il frastuono delle macchine si insinua tra il pubblico, Penìa spiega il valore educativo della
povertà, distinguendo questultima dalla miseria – la ptochèia – e sottolineando come soltanto essa stimoli al lavoro e
alla moderazione.
Un momento dello spettacolo © Franco Guardascione Ed
è proprio guardando alla comunità migrante cinese del pratese che si chiude lo
spettacolo, con la proiezione di un video in cui prendono voce le storie, i
dolori, le sofferenze e le difficoltà di tanti operai con gli occhi a mandorla
occupati nelle industrie tessili toscane: un coro finale, frutto di un
laboratorio che ha visto il coinvolgimento di un gruppo di cittadini e che si è
tenuto negli scorsi mesi al teatro Magnolfi di Prato (le vicende raccontate nel
video – spiegano i registi – sono tratte
dal saggio Vendere e comprare. Processi
di mobilità sociale dei cinesi a Prato, a cura di F. Berti et al,
Ospedaletto, Pacini, 2013). Alla
fine Pluto, riacquistata la vista, elargisce ricchezze e benessere a tutti. Ma
trascinati dal ticchettio di quelle macchine, ci scopriamo, a fine spettacolo,
a ripensare alle parole di Povertà, la sola che in fondo ci renda migliori.
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