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Songs from London

di Michele Manzotti
  Lettera da Londra 2017
Data di pubblicazione su web 11/04/2017  

Howard Jones

Una classe immensa. Come cantautore, come pianista, come interprete. Howard Jones ha fatto parte a pieno titolo della pattuglia di musicisti inglesi degli anni Ottanta che hanno avuto la fortuna di trovare nei videoclip una forma di diffusione della loro produzione. Un repertorio meno rock e più legato alla melodia rispetto al decennio precedente, ma con molta creatività e gusto. Proprio questi due aspetti sono alla base del songbook di Howard Jones con album come One to One che hanno fatto storia.

La data alla Union Chapel di Londra era forse la più attesa del tour che il musicista aveva programmato nel Regno Unito. La bellezza del luogo, una chiesa con un’acustica perfetta votata come miglior sala da concerto di Londra nel 2016, ha contribuito molto alla riuscita della serata con molti appassionati che negli anni Ottanta erano giovanissimi. Un concerto introdotto dalla cantautrice di New York Rachael Sage, che ha presentato alcuni brani dall’ultimo album Choreographic, perfetti per introdurre l’evento dedicato a un cantautorato di qualità.


Howard Jones
© David Conn

Poi è stata la volta di Howard Jones, che ha tenuto il palco per ben due ore da solo con il suo pianoforte. Alternando i brani con la lettura delle richieste del pubblico e con alcuni racconti relativi agli anni d’oro (dove comparivano Mick Jagger, Pete Townshend, George Harrison e anche l’amico George Michael), il cantautore ha proposto non solo i suoi pezzi da novanta, ma anche brani meno eseguiti dal fascino immutato. Come Little Bit of Snow, Sleep My Angel, Ordinary Heroes. Poi i classici cantati anche dal pubblico come No One Is to Blame (tre milioni di copie vendute negli Stati Uniti), Everlasting Love, Hide and Seek, What Is Love. La voce è ancora perfetta, anche nei toni alti. La tecnica e il tocco pianistico invidiabili. Una serata dove la professionalità ha trionfato, facendo passare due ore indimenticabili a un pubblico molto motivato e che ha festeggiato a lungo il suo protagonista.


Jack Savoretti

La parabola di Jack Savoretti è sicuramente interessante. Fino a pochi anni fa si esibiva in piccoli club, oggi è una rockstar a tutti gli effetti. Perché riempire uno spazio da duemilatrecento posti come la Royal Festival Hall di Londra non è una cosa da tutti. Spettatori che lo hanno festeggiato dall’inizio alla fine, alzandosi in piedi, ballando, cantando i suoi brani. Ovvero tutto ciò che si conviene a un musicista di successo.

Lo stile di Jack, inglese dal sangue italiano e che visita spesso e volentieri il nostro paese, proviene dal blues e dal rhytm’n’blues virando verso un rock molto immediato in alcuni casi con caratteristiche pop. Un linguaggio musicale che sta in piedi se si hanno buone idee e propensione alla creatività, caratteristiche che non mancano a Savoretti. Il suo ultimo album Sleep No More, con il brano omonimo presentato in apertura di concerto, è d’altra parte in testa alle classifiche inglesi ed è messo bene in evidenza nei negozi di dischi.


Jack Savoretti
© Pip

Il set dal vivo ha mostrato un’energia e una presenza scenica invidiabili. Accompagnato da una band di quattro (talvolta cinque) elementi, Savoretti è a suo agio sia nei brani più rock (ricordiamo We are Bound, I’m Yours, Other Side of Love, When We Were Lovers, le conclusive Written in Scars e Knock Knock), sia nelle ballate. A questo proposito è da segnalare l’intermezzo con Tight Rope e specialmente Breaking The Rules dove il musicista è stato protagonista di un pezzo di bravura con la voce. Un’emissione sempre sicura e piena di venature soul.

La serata, aperta da Joseph J. Jones (un nome da tenere a mente per le qualità vocali), si è chiusa nel segno di un divertimento ottenuto grazie alla classe. Ora per Savoretti viene la parte più difficile: quella di mantenere lo stesso livello creativo senza indulgere a facili compromessi con lo showbiz. Ma avendolo ascoltato a inizio carriera, quando suonava nei già ricordati piccoli club, lo riteniamo troppo intelligente per farlo.


The Swingles

L’esperienza dei The Swingles (ovvero gli Swingle Singers, gruppo vocale fondato nel 1963) si è arricchita di un nuovo capitolo. Una tappa non solo discografia, ma anche stilistica. Folklore è infatti un disco che ha una doppia valenza, quella di un repertorio che va oltre i confini britannici, e quella dell’aggiunta di musicisti ospiti per un gruppo che generalmente incide e si presenta al pubblico nella versione a cappella. La scelta del luogo per lanciare l’incisione era inoltre ben chiara: ovvero la Cecil Sharp House, sede della English Folk Dance & Song Society, dove ha sede un archivio importante (quello del compositore Ralph Vaughan Williams) e in cui tutto l’anno viene approfondita la cultura popolare.

Sul palco, insieme agli Swingle sono saliti proprio due gruppi folk, il trio strumentale Effra e il duo scozzese Twelfth Day, con due giovanissime musiciste che hanno dato vita a un repertorio basato sulla ricerca. Non solo danze dunque, ma un percorso attraverso strumenti (violino e arpa) e voci che pongono le musiciste a livelli già eccellenti.

Un momento dello spettacolo © David Conn
The Swingles
© Nedim Nazerali

Con i The Swingles le Twelfth Day hanno condiviso la traccia iniziale di Folklore, The Undutiful Daughter, brano recuperato nell’archivio della Cecil Sharp House. Un disco che fa viaggiare l’ascoltatore in tutto il mondo: dalle Filippine con la ninna nanna, al Portogallo (bellissima Nem As Paredes Confesso conosciuta per la versione di Amalia Rodrigues e interpretata come voce solista da Joanna Goldsmith-Eteson) fino all’Afghanistan, con la danza Lovers’ Desire che ha visto tutti i cantanti e i musicisti sul palco.

In mezzo classici del recente repertorio Swingles: le originali Unmade, Burden e Piper, After The Storm (Mumford & Sons), America (Simon & Garfunkel), Couldn’t Love you More (John Martyn), Libertango (Astor Piazzolla). Il Bach jazzato che li ha resi famosi (specialmente in Italia per la sigla di Superquark) è stato lasciato una volta tanto da parte. Ma un futuro nuovo è inevitabile. E forse non c’è un genere più attuale della musica folk anche se viene dal passato.

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Lettera da Londra 2017

Howard Jones
cast cast & credits
 
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Jack Savoretti
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The Swingles
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Un momento dello spettacolo visto a Union Chapel (London) 28 marzo 2017
© David Conn
 
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