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Nero Macbeth

di Chiara Schepis
  Macbeth
Data di pubblicazione su web 05/12/2016  

Nero è il Macbeth di Franco Branciaroli in scena al Teatro Verdi di Padova. Tragedia del rimorso e della corruzione, il suo dialogo con il mondo di oggi si concretizza attraverso la soluzione scenografica ideata da Margherita Palli. Il privilegio del potere abbraccia di ombre la claustrofobica “lanterna magica”, fatta di camminamenti scoscesi e dislivelli percorribili a cui si riduce il palcoscenico, scatola nera e straniera da cui si emerge e in cui si precipita attraverso porte e botole. È lo spazio, ad apertura di sipario, a vomitare le streghe shakespeariane. 

Franco Branciaroli, regista e primo attore della pièce, condensa in un lungo atto unico (centotrenta minuti con intervallo) i quattro della tragedia originale e sceglie di far parlare gli spiriti ctonî con la lingua del Bardo, un inglese antico reso stridulo e sfilacciato dalla parola degli attori (sopratitoli proiettati sulla parete di fondo ne riportano la traduzione). Questa cantilena infernale inaugura, dunque, l’omaggio del Centro Teatrale Bresciano e del Teatro Gli Incamminati in occasione dell’anniversario del grande drammaturgo inglese.  


Un momento dello spettacolo ©Umberto Favretto
Un momento dello spettacolo 
© Umberto Favretto

Macbeth è la tragedia della caduta dell’uomo nella malvagità, nella corruzione, esemplificazione della predisposizione dell’animo umano a lasciarsi sporcare se accecato dal privilegio e dalla brama di potere, mali forse peggiori quando colpiscono un uomo probo, lo contaminano e lo conducono alla rovina. Macbeth/Branciaroli è un guerriero. La sua Scozia è terra di guerre intestine e questo stato delle cose gli è connaturato. La sua onestà comincia a vacillare quando entra in gioco la lussuria. La profezia di ascesa politica delle streghe si tramuta repentinamente in presagio e promessa di sconfitta e il personaggio si getta in una disperata corsa verso la distruzione. Eppure il Macbeth di Branciaroli conserva poco del cliché del “debole manovrato”, forse perché il suo fare grandattorico pare rendere secondarie le macchinazioni della Lady Valentina Violo, all’altezza della situazione, incisiva e dalle modulazioni vocali ben orchestrate (anche quando parla la lingua del male), così rigida in quell’abito corazza che l’allunga e la comprime. 

Assecondando lo spazio scenico la coreografia di fondo dello spettacolo si risolve nel linearismo che blocca i movimenti degli attori in un atteggiamento di fissità e rigidità; cifra stilistica, a quanto pare, della tragedia, ma che rischia di appesantire e rallentare l’azione. Non così per Branciaroli, sinuoso e modulato, a volte elemento estraneo (ma il tormento interiore di Macbeth lo giustificherebbe) alla staticità generale. Meraviglioso è il gioco di magia che l’attore crea giustapponendo deittici, gesti ideografici e movimenti a bacchetta delle mani che contraddicono o rafforzano le battute. La voce, poi, sale in falsetto e si strozza, precipita verso la profondità in una caverna [!] e si smorza come soffocata da un panno. Il corpo esprime un costante disagio: i panni che si ritrova a vestire non sono i suoi (i costumi sono creazione di Gianluca Sbicca), lo bloccano, lo fanno inciampare, gli impediscono quasi di respirare e servono all’attore per caricare a molla l’ingranaggio che – in una splendida immagine, di repertorio se vogliamo – lanciano Macbeth Re in una rovinosa caduta in scena, una crocifissione orizzontale che lascia la testa dell’attore penzoloni al limite di un praticabile, ad occupare il centro esatto del palco mentre la corona rotola in proscenio. 


Un momento dello spettacolo ©Umberto Favretto
Un momento dello spettacolo 
© Umberto Favretto

Luci e rumori provano a dare plasticità all’azione, eppure non ci riescono fino in fondo. Le prime, calde su fondo buio, di Gigi Saccomandi, non escono dal “funzionale” se non in uno splendido quadro dal figurativismo ammirabile: una volta incoronati, il Re, la regina e un paggio, bloccati in un ritratto da parete appeso al muro di un salone, illuminati magistralmente dietro uno schermo, acquisiscono pittorica plasticità. I rumori – corvi, civette, urla e lamenti fuori scena –a tratti troppo descrittivi, hanno nel disegno registico una funzione straniante non pienamente realizzata. Tale volontà pare emergere, ancora a tratti, dall’interpretazione ritmata e sincopata di tutti gli attori, in ritardo sulle reazioni di dolore, come il bravo Macduff/Tommaso Caldarelli quando apprende la notizia della morte del padre e poi della moglie e dei figli, o meccanica come quella di Banquo/Alfonso Veneroso, automatico e pulitissimo quando appare al protagonista in forma di spettro. Da una simile motivazione epica potrebbe essere dettata, ancora, la scelta di proiettare didascalie atte a chiarire allo spettatore i luoghi dell’azione, soluzione ridondante, come il movimento delle nove porte scorrevoli e retroilluminate che lasciano apparire e scomparire i personaggi.


Un momento dello spettacolo ©Umberto Favretto
Un momento dello spettacolo 
© Umberto Favretto

In generale, questo Macbeth potenzialmente vibrante, constatata la qualità degli attori, non convince a pieno. Lo spettacolo lascia di certo nello spettatore un senso di cupa inquietudine, la suggestione di aver guardato dentro il pozzo di una coscienza, ma al prezzo di un grande sforzo di attenzione: la fatica di tenere insieme rivoli di intuizioni che affollano la foce del fiume interpretativo e ne rallentano la corsa verso il mare. 




Macbeth
cast cast & credits
 



con Franco Branciaroli 
Padova, Teatro Verdi


 
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