Andato in scena in anteprima assoluta al Teatro Olimpico di Vicenza, e dal 7 al
30 ottobre al Teatro delle Arti di Milano,
Go.Go.Go,
prima regia teatrale di Aleksandr
Sokurov, sispira a Marmi, unica scrittura scenica di Iosif Brodskij, ma senza ridursi a
esserne un adattamento.
Il sottotitolo della produzione, Brodskij Miraggi,
rende lidea di quello che lo spettacolo mira ad essere: sogni evocati
dalle pagine del poeta, attraverso unItalia mitica e onirica, dove i versi di Brodskij
sintrecciano alle visioni di Sokurov, puntellate da una preoccupata critica
alla contemporaneità.
La scena si apre su una piazza italiana, tra i tavoli di
unosteria e un tabernacolo pagano contenente del formaggio. Sullo sfondo unarchitettura
rinascimentale. Un cameriere, soldati americani, passanti popolano la scena,
accorsi per vedere una proiezione allaperto di Roma di Fellini. Il cinema visionario di
Sokurov tradisce una profonda affinità col regista di La dolce vita e Amarcord,
e non a caso il caleidoscopio di personaggi che ruota intorno alla scena si
apre con la comparsa di Fellini seguito da Anna
Magnani, giunti per presiedere alla proiezione del film. Una scena dello spettacolo © Francesco Dalla Pozza
Cinema nel teatro, teatro che si alimenta di cinema e che
proietta sulle pareti di una personalissima visione echi della memoria del
regista, e del suo rapporto con lItalia. I personaggi sono fantasmi del
ricordo, come quelli di Amarcord, e come nel film di Fellini i ricordi
emergono e vivono su una scena attraversata di nebbia – insolita su una piazza
che richiama più una Roma fiorita che la pianura romagnola.
«Luomo è […] un pensiero dimenticato» chiude il
testo di Marmi. Questa ispirazione malinconica vena anche la visione
grottesca di Sokurov, dove il Publio (Michelangelo
Dalisi) e il Tullio (Max Malatesta) della prosa di Brodskij diventano due avide e meste
creature subumane, due uomini-ratto, inseriti a contrapporre la propria fame di
tutto al fantasma di Iosif Brodskij (Elia
Schilton). Si palesa qui la vena critica dello spettacolo, dichiarata a
lato della produzione da Sokurov stesso: siamo in unepoca in cui lavidità,
gli istinti ci trascinano via dagli ideali dellumanesimo, i cui fiori sono larte,
la poesia. Siamo su un treno accecato di fame, che corre e trascina con sé.
Dove? Go.Go.Go è la risposta: andare, senza voltarsi, senza più
domandare né sognare.
Così, mentre uno Shilton serafico condivide con gli
incontri di questa notte versi di Brodskij e di Goethe ‒ ma in realtà li recita solo a sé stesso ‒ i due affamati semi-umani finiscono dove la brama, lincapacità
di alzare la testa staccandola dal piatto fa finire: nella prigione tritacarne
del tabernacolo, fatti a pezzi e portati via. Una scena dello spettacolo © Francesco Dalla Pozza
Protagonista di Marmi è il tempo, il grigio
monotono stare delleternità, che tutto vanifica nella ripetizione delle
generazioni. «Se non sei poeta, la vita è un cliché»: questo senso
della vanità e del potere dellarte di giustificare la vita, rivelandone leffimera,
salvifica bellezza, attraversa e motiva anche la regia di Sokurov.
Ma traspare più dalle parole dette dal poeta, o nellevidente,
quasi meccanica contrapposizione tra Brodskij e i due bruti. Altrimenti lo
spettacolo si presenta come una composizione che
fatica a trovare unità, un insieme di scene legate tra loro dallo spazio, ma
non da una tensione comune che giustifichi la loro compresenza o la loro
successione.
La scenografia è ben fatta, curiosa, le luci opportune e
suggestive. Le maschere che vestono la nuca di Malatesta e Dalisi,
trasformandoli in creature bifronti, colpiscono limmaginazione dello spettatore.
Ma tutti questi particolari, seppure rivelino la capace creatività di Sokurov e
labilità tecnica dei suoi collaboratori, appaiono spesso disgregati, come
quadri tenuti nella stessa stanza più dal gusto per larredamento che da unintima
comunione.
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