Il problema forse insolubile che
accompagna ogni rappresentazione della drammaturgia depoca lontana e riconosciuta
classica è quello di renderne il suo valore perenne in un linguaggio
comprensibile e adeguato allattualità. Filippo
Dini sceglie per lallestimento del Borghese
gentiluomo lambientazione in epoca recente, così da esaltare il potenziale
comunicativo di temi, situazioni e caratteri dellopera di Molière, ancora vivi per la nostra sensibilità. Dal gradimento del
pubblico della prima al Teatro Duse dello Stabile di Genova pare riuscita la
prova e valida lipotesi di lettura proposta dalla compagnia
di giovani e valorosi attori.
La commedia si svolge in un
dispositivo unico rotante, che prevede luso di tre luoghi: linterno della
vecchia villa del protagonista, Signor Jourdain, lesterno e il salotto. La scenografia, che riproduce la dimora sontuosa di un ricco
possidente dal gusto grossolano, è lemblema concreto della nobiltà possibile
oggi, riconoscibile in quella di «persone molto benestanti, una categoria di
persone che vive in un altro mondo» (così il regista nel programma di sala). Linteressante analogia fra il Seicento di
Molière e i tempi nostri è talvolta irriconoscibile sotto la forma
adottata, che non trova una convenzione unitaria despressione.
Un momento dello spettacolo
© Giuseppe Maritati
Del resto, il testo che per Dini
è «teatro puro», nasceva come commistione di generi e registri disparati, nel
gusto di operazioni su commissione, quali il Divertimento di Versailles, in cui sinserisce George Dandin. Lepoca è quindi novecentesca, anche negli accessori,
un fonografo e un apparecchio stereo portatile; fra le discipline praticate da Jourdain,
il pilates. I costumi, sostanzialmente contemporanei, vestono tipi della commedia borghese, dallabito da sera nero della
Marchesa, allelegante completo del Conte; più inequivocabili ancora le
minigonne delle ragazze e il vestito alla moda di Madame Jourdain. Ma al
contempo il regista scorge nei personaggi «le maschere della Commedia dellArte».
Monsieur Jourdain si presenta in tenuta ginnica
(bandana e asciugamano di conforto), poi nel vestito nuovo confezionato su
misura: un ibrido giacca e gonna, un tailleur
in broccato da tappezzeria, improprio abbastanza da suscitare latteso ridicolo.
La recitazione si conforma a un
realismo imitativo, spesso caricaturale, negli episodi dellacculturazione a
cui il borghese si sottopone. Una parte di schietta
intonazione popolana si trova nel buon senso di mamma Jourdain (unintelligente
Orietta Notari dalla verve cattivante);
in altra parte, è di volgarità piatta e comune e investe sia la figlia Lucile (Valeria Angelozzi che mastica chewing-gum) e la serva Nicole, sia i
loro spasimanti, padrone (Ivan Zerbinati)
e servo (Roberto Serpi),
indistinguibili per portamento ed eloquio. Distinte invece le figure del Conte
Dorante e della Marchesa Dorimène, loro davvero come estranei alla condizione
che costringe tutti i personaggi alla rincorsa di un bene tanto impellente
quanto illusorio. Simili a tipi da operetta, lei è vedova ma non allegra, così
colma di riflessiva sensibilità esistenziale; lui, sfruttatore assiduo e compassato
dello sprovveduto amico. Per loro si staglia un episodio che non collima né col
testo, né con il gusto farsesco preponderante nellazione principale. Si tratta
dellamplesso improvviso, sulla scala dei piani superiori, a cui Dorimène invita
lamante (Davide Lorino), senza
preamboli. Interprete Sara Bertelà, duna bellezza sorprendente e pure velata di
malinconia, che saprà conquistare il matrimonio come da copione moliéresque.
Un momento dello spettacolo
© Giuseppe Maritati
Anche le lezioni impartite al
vanesio eroe dai tre Maestri darte (di musica, ballo e filosofia),
scontri fra condizioni inconciliabili (e motivo di rivalità individuali), risentono
dei duetti della commedia allitaliana vulgati
mediante il cinema e lavanspettacolo e diventati tipici duna comicità
nazional-popolare. Al pubblico risultano comunque graditi, nelle ripetizioni,
negli equivoci, nella piaggeria che esalta il narcisismo compiaciuto
dellaspirante gentiluomo e alimenta una gratitudine frutto dellinganno. La
conquista degli strumenti, se non dellessenza, della “nobiltà”, costa fatica nellimpegnativo
programma educativo, ma è ripagata dallapparente successo confermato da un
complesso di superiorità autoindotto in Jourdain. Lo interpreta lo stesso Dini
con convinzione, vocalità sicura ed esuberante. Ben scandito e gradevole il
processo dapprendimento linguistico guidato dal maestro di filosofia (Antonio
Zavatteri), occhialuto latore di logiche
elementari e di pronunce «preziose». La lezione di scherma di uno spadaccino
spagnoleggiante (Ivan Zerbinati) eccede
in parodia e poi diventa scherzo nella sfida con la servetta Nicole (una
scattante Ilaria Falini), vittoriosa
nellaffondo pungente in punta di fioretto.
Il regista conosce lorigine
spuria dellopera, definita comédie-ballet
e come tale creata alla corte del Re Sole nel 1670. Ma per sottrarla alla
museificazione ne isola il nucleo importante che celebra la beffa ai danni
dello stolido arrivista e lo svolge con i mezzi descritti. In particolare,
nella trama per aggirare limposizione di Jourdain che intende sposare sua figlia
al figlio del Gran Turco, si inscena fedelmente il travestimento della “mascherata
alla turca”, enfatizzandolo con prevedibili elementi di simpatica comicità in concitazione
da vaudeville.
Un momento dello spettacolo
© Giuseppe Maritati
Adottata la traduzione esatta e preziosa di Cesare Garboli degli anni Settanta, si accantona però lipotesi dello
studioso sul genere dellopera, che sarebbe «non una farsa, una satira, ma
lesatto contrario: una fiaba, un sogno». Quanto allessenza del protagonista, Jourdain
più che un ridicolo, velleitario arrivista, beffato e bastonato, sarebbe un
commerciante anomalo, «un visionario affamato di cultura, di bellezza, di amore»,
fidente in una nobiltà reale (cfr. Cesare Garboli, Saggi e traduzioni.
Molière, Torino, Einaudi, 1974, passim). Pertanto, la scomparsa della sua
rara persona dovrebbe avvertirsi come una «perdita irreparabile». Invece sulla
scena genovese, al culmine della pagliacciata che conferisce al credulone la
dignità fantasiosa di Mamaouchi, Jourdain
partecipa, ormai incosciente su una sedia a rotelle, al felice scioglimento del
doppio, sospirato matrimonio.
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