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Oltre l’amaro gusto di un classico

Claudio Passera
  L'uomo dal fiore in bocca
Data di pubblicazione su web 25/10/2016  

La stagione 2016-2017 del teatro Niccolini, appena rinnovato da un sapiente restauro, si apre con un classico della drammaturgia italiana: L’uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello. Un testo breve, per la gioia dei liceali cui è dato in pasto al volgere di ogni anno scolastico, e che la pedanteria di chi scrive prescrive di ricordare rappresentato per la prima volta al teatro Manzoni di Milano il 21 febbraio 1923, e tratto da La morte addosso, una delle Novelle per un anno dell’autore.

L’opera è un classico, nel senso in cui Calvino ci ha insegnato a interpretare questo aggettivo quando è accostato alla letteratura; ovvero quello di un testo che «non ha mai finito di dire quel che ha da dire» (Perché leggere i classici, Milano, Mondadori, 1991, p. 13). E sulla scena questa capacità di parlare ai contemporanei si amplifica, per mezzo delle regie e delle interpretazioni che di esso vengono date. Luci, suoni, costumi, scene danno forma e voce al testo e al messaggio del suo autore. In questo caso la voce è quella calda e penetrante di Gabriele Lavia, che veste i panni dell’uomo dal fiore in bocca e firma la regia dell’allestimento. Padrone della scena, consapevole dell’importanza di quest’opera per la storia del teatro italiano del Novecento, Lavia calca con sicurezza il palcoscenico, sullo sfondo di una scenografia disegnata da Alessandro Camera e realizzata dai laboratori del Teatro della Pergola, riaperti appositamente per questa produzione della Fondazione Teatro della Toscana e del Teatro Stabile di Genova.

Una scena dello spettacolo © Tommaso Le Pera
Una scena dello spettacolo
© Tommaso Le Pera

Non c’è un sipario ad accogliere lo spettatore al suo arrivo in sala, ma l’imponente vetrata – alta nove metri, dal telaio in pioppo – della sala d’aspetto di una grande stazione ferroviaria, con le sue panche in legno, le altissime porte, i quadri con gli orari delle partenze e degli arrivi, e un grande orologio rotondo che ha perso le lancette. Un ambiente dalle architetture liberty, che richiama alla memoria le sagome annerite degli spazi della Stazione Centrale di Milano, o di Porta Nuova a Torino. Sul suo sfondo, all’inizio della recita, si intravede un capostazione che, lanterna alla mano, agevola l’ingresso di un treno che giunge tra lo sferragliare stridente delle ruote e gli sbuffi del vapore, quasi un mostro proveniente da un lontano passato. Un uomo pacifico, interpretato con garbo e ironia da Michele Demaria, ha perso il treno. A causa della pioggia e dei venti pacchettini che trasporta, “due per ogni dito”, si è attardato e per una manciata di secondi ha perso la corsa. Gli toccherà d’aspettare il treno successivo in compagnia dell’uomo dal fiore in bocca, tra meditazioni sulla vita, la morte, le donne. È una notte d’estate, ma piove. Incessantemente.

Una scena dello spettacolo © Tommaso Le Pera
Una scena dello spettacolo
© Tommaso Le Pera

È un dialogo lungo e dai toni spesso solenni e gravi quello tra i due personaggi, amplificato traendo dalle opere di Pirandello alcune meditazioni sul tema della vita, inarrestabilmente in fuga verso il destino della morte, e del conflitto tra uomo e donna. Ne nasce uno spettacolo della durata di un’ora e venti che sacrifica la brevitas del testo di Pirandello alla gravitas di una lettura attorica piuttosto cupa, appena ravvivata dalla goffaggine dell’uomo pacifico di Demaria. L’attore dovrebbe interpretare il pacifico avventore di un bar di provincia, secondo le didascalie di Pirandello, se non fosse che Lavia ha proposto una ben più suggestiva ambientazione del loro incontro nella sala d’attesa della stazione e ha deciso di fargli trasportare sulla scena i colorati pacchettini che il drammaturgo avrebbe confinato invece al deposito bagagli. La loro presenza è però un’importante nota di colore che spezza i toni grigi della scena, sul cui sfondo compare, quasi come un fantasma, il riflesso di una donna alla ricerca di un uomo, impersonata da Barbara Alesse. È la morte, oppure sua moglie? Quale che sia la sua identità si tratta di un destino che l’uomo dal fiore in bocca, divorato dal suo epitelioma, sa inevitabile. Eppure la vita, i suoi colori, le sue forme, i suoi paradossi, i conflitti incessanti con le donne, le mogli, le amanti restano per lui fondamentali. I dettagli “inutili” che Lavia insegue per tutta la durata dello spettacolo sono la speranza di trovare un appiglio alla realtà della vita, oltre la morte che travolge ogni cosa.

Una scena dello spettacolo © Tommaso Le Pera
Una scena dello spettacolo
© Tommaso Le Pera

L’uomo dal fiore in bocca di Lavia è vivo e irrequieto, disperatamente attaccato alla vita, amaramente in cerca di altri giorni da spendere in questo mondo, in barba alla sua malattia. Pronto a sparare un colpo di pistola contro quella donna misteriosa che si affaccia sulla scena dell’esistenza.



L'uomo dal fiore in bocca
cast cast & credits
 

Una scena dello spettacolo visto al Teatro della Pergola  il 4 ottobre 2016 © Achille Le Pera
Una scena dello spettacolo visto al
teatro Niccolini 
il 21 ottobre 2016
© Tommaso Le Pera




 
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