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Spettacolo barocco. Triumph des Theaters

di Francesco Cotticelli
  Spettacolo barocco. Triumph des Theaters
Data di pubblicazione su web 21/10/2016  

Nasce da un duplice intento celebrativo la mostra Spettacolo barocco. Triumph des Theaters, che si può ammirare nelle sale del Palais Lobkowitz a Vienna, di fronte all’Albertina: da un lato, il venticinquesimo anniversario dell’istituzione del Theatermuseum, che nel 1991 ha trovato sede definitiva nel prestigioso palazzo aristocratico della Innere Stadt, ospitando anche la Theatersammlung della Österreichische Nationalbibliothek; dall’altro, l’idea di dare visibilità ad almeno una parte dei prestigiosi documenti di storia dello spettacolo riuniti già nel lontano 1918 da Joseph Gregor in un’unica collezione, tra cui spiccano numerosi disegni autografi degli architetti-scenografi attivi presso la corte asburgica in età moderna, costruendo intorno ad essi un racconto scientificamente fondato e un percorso espositivo accattivante. L’impresa non era facile: la propensione alla scena dell’universo barocco è un dato tanto immediato quanto inafferrabile, e suggerire la complessità e la fascinazione della messinscena di un sistema socio-culturale attraverso fasi, episodi e contesti geografici impone una selezione lucida e risoluta, nell’impossibilità di restituire un quadro minuto ed esaustivo; al di là dell’oggettivo pregio degli oggetti esposti, v’è sempre il rischio che essi non lascino trapelare molto di quella “meraviglia” che oggi testimoniano, o richiamano, e finiscano anzi col sottolineare il distacco temporale ed emotivo fra lo spettatore di ieri e di oggi; occorre acquisire una certa familiarità con le metafore e i cerimoniali al di fuori dei quali opere, cantate, oratori, tornei, contese non hanno senso, e questo non per caricare il visitatore di una coscienza critica specialistica, ma proprio per intendere fino in fondo il ruolo che musica, teatro, danza hanno avuto nella civiltà europea di ancien régime, nella consapevolezza che è impossibile operare distinzioni in quelli che furono Gesamtkunstwerke ante litteram. Oltretutto, v’è da trasmettere la sottile dialettica fra le metodologie simboliche e allegoriche, la predilezione di miti e favole e le occasioni che si snodano nel tempo, fra l’effimero e il durevole: è qui che si costruisce il dialogo con la Storia, e il valore di un’Arte che sa lasciare tracce fortissime nella sua concretezza evanescente.


Veduta generale del teatro per la festa teatrale Costanza e fortezza del 1723, incisione, Wien, Theatermuseum

Alle molteplici sfide il team dei curatori (Andrea Sommer-Mathis, Daniela Franke e Rudi Risatti) ha reagito operando precise scelte di campo: se appare scontata la centralità della corte viennese e dei suoi usi come filo conduttore dell’esposizione, a partire da La contesa dell’Aria e dell’Acqua, il ballo equestre culmine dei festeggiamenti per le nozze dell’imperatore Leopoldo I con l’infanta Margherita Teresa nel febbraio del 1607, non mancano affondi, digressioni, verso le sontuose realizzazioni del mondo italiano nel Cinquecento, con uno sguardo particolare a Mantova e a Firenze – per ragioni dinastiche e per il risalto che vi ebbe la nascente produzione melodrammatica, vanto della stagione barocca – o verso le situazioni concorrenti, o si direbbe meglio complementari, come quelle che maturarono in Francia, alla corte del Re Sole. Sono piccoli assaggi che non servono solo a contestualizzare gli exempla ricostruiti in una dimensione continentale, ma valgono anche a suggerire la possibilità di prolungare all’infinito l’immersione nel gusto poetico del XVII secolo. Fondamentale il soccorso della multimedialità, che in ogni sala, fra ricostruzioni video, supporti didascalici affidati a brevi proiezioni, o brani musicali da ascoltare (un pannello ripropone gli albori dell’opera in musica, che seppe presto farsi interprete della ricreazione fantastica del presente che ispira tanta produzione secentesca), sollecita a una partecipazione di tipo performativo, avvicinando così la contemplazione di quei reperti alla fruizione originaria che evocano – carino al riguardo il controcanto di un Guckkasten di Engelbrecht alla solennità della drammaturgia aulica. Né va trascurato il senso della materialità: secondo una logica che riflette da vicino metodi e problemi della storiografia teatrale, l’evento è visto nei suoi echi così come nel suo farsi, creando o organizzando gli spazi, selezionando le tecniche, sperimentando e – oggigiorno – “ricostruendo” le strutture concrete in cui prese corpo.



Ludovico Ottavio Burnacini, Disegni per costumi da giardinieri, seconda metà del XVII secolo, Wien, Theatermuseum

È la consacrazione di Ludovico Ottavio Burnacini, chiamato a Vienna da Eleonora di Gonzaga-Nevers vedova di Ferdinando III, l’edificazione di quel Theater auf der Cortina inaugurato nel luglio del 1668 con Il pomo d’oro su musica di Antonio Cesti e libretto di Francesco Sbarra, le cui sorti si intrecciano con lo scontro dell’Austria con l’Impero ottomano. Vertice della produzione operistica barocca, conferma anche il rilievo di quella fitta circolazione di maestranze sulle quali si fonda l’invenzione del teatro moderno: grandi artisti, non diversamente da quella miriade di attori-autori protagonisti a corte e nelle piazze, capaci di irradiare il loro magistero al di là di ogni barriera politica e linguistica. Le maschere della Commedia dell’Arte campeggiano tra i monumenti dello spettacolo solenne, con i loro costumi, a ricordare non solo le interferenze su cui va riscritta buona parte della storia di quei secoli, fra alto e basso, nobile e popolare, ma anche la diffusione di quell’immaginario nelle consuetudini aristocratiche di balli, corse con le slitte, banchetti, destinati a resistere ben oltre la stagione fulgida dei comici improvvisanti.



Martin Engelbrecht, Guckkasten Praesentation der Italiänischen Comoedianten, ca. 1750, Wien, Theatermuseum

Snodo nevralgico, perché sintesi delle aspirazioni della spettacolarità barocca come degli intenti illustrativi della mostra, è la sezione dedicata a Česky Krumlov. Il castello dell’amena località nel Sud dell’attuale Repubblica Ceca comprende un teatrino privato dove si conservano, in ottime condizioni, quinte, macchinari e fondali adoperati per la messinscena di opere e commedie (e v. C. Molinari, Conservazione e utilizzazione dei teatri storici, in «Drammaturgia», 2003, 10, pp. 228-237). Edificato dagli Eggenberg tra il 1680 e il 1682 ma portato in auge nella prima metà del XVIII secolo dal casato degli Schwarzenberg, fra i più attivi mecenati nella sterminata area dell’Impero, la sala è un gioiello preziosissimo: vi si legge con un’immediatezza ed un’evidenza insuperabili la funzione – sociale ed estetica insieme – dei sontuosi intrattenimenti che, nel solco della migliore tradizione aristocratica d’Europa, collegavano in un’esaltante cornice festiva spazi interni ed esterni, generi di spettacolo diversi, secondo consuetudini largamente diffuse e solo assai di rado documentabili con un impatto visivo di tale suggestione (e qui corre l’obbligo di ringraziare i dottori Pavel Slavko e Milon Antoš per l’emozionante visita al complesso). A un filmato che racconta la storia e il presente di Cesky Krumlov si associa qualche “assaggio” della costumistica e della scenotecnica, a ricordare, attraverso quell’eccellenza, e con il supporto dei frontespizi di trattati pubblicati all’epoca, che il barocco fu anche epoca di studi e ricerche, di innovazioni e perfezionamenti, fino alle straordinarie Winkelperspektiven dei Galli Bibiena, al cui nome si lega un’altra magnifica stagione della corte viennese, quella dei primi anni del regno di Carlo VI, reduce dai fasti di Barcellona (su tutto andrà menzionata almeno la festa teatrale Angelica vincitrice di Alcina nella residenza estiva della Favorita nel 1716). Siamo così alle soglie dell’età di Metastasio, cui alludono gli apparati funebri dell’imperatore che lo nominò poeta cesareo e il ritratto di Maria Teresa, età di ultimi fulgori, e del lento illanguidirsi di un mondo in un crepuscolo di cui il celebre autore avrebbe lasciato eco nel suo epistolario.



Jan Thomas, Leopold I und Margarita Teresa in costume teatrale (dalla pastorale La Galatea, Vienna, 1666), Wien, Kunsthistorisches Museum

Sottolinea il trionfo del teatro l’attenzione rivolta allo Spectaculum sacrum, alle forme di drammatizzazione delle aree all’interno delle chiese, con quinte a rilievo, figure di legno a definire quadri relativi alle storie sacre, con particolare riferimento alla Passione. Gli ordini dei Gesuiti e dei Benedettini si distinsero in queste costruzioni a sostegno della fede, talora collegate a eventi dinastici (si pensi allo Huldigungsspiel in occasione dell’incoronazione di Leopoldo I). Alcune soluzioni spiccano per la loro praticabilità, che suggerisce un gioco recitativo alquanto raffinato: è il caso dello Heiliges Grab ispirato al Nuovo Testamento (1744) che si è conservato nell’abbazia cistercense di Zwettl, nella Bassa Austria. Un interessante documentario illustra questo capolavoro di assoluta rarità, realizzato da Franz Anton Danne, allievo e collaboratore di Giuseppe Galli Bibiena, per il quale sopravvivono anche rilevanti testimonianze d’archivio: potenzia l’immaginazione al cospetto dei progetti che sono esposti, mentre dimostra proprio la pervasività dello spettacolo come sistema comunicativo ben oltre le corti e i palazzi nobiliari.

Gli ultimi fuochi di quest’esplosione trionfale sono segnalati dalla serialità pronunciata, dal gusto della parodia e del distanziamento dai modelli canonici (esemplare Der goldene Zanck=Apfel oder Der vergötterte Hanns-Wurst, che si rifà al Pomo d’oro in un clima di revisione dissacrante). L’illusione teatrale sta prendendo altre strade. Il cammino si chiude in una fantastica sovrapposizione fra contenuto e contenitore: il visitatore approda nell’Eroica-Saal, l’ampio salone  delle feste al piano nobile di Palais Lobkowitz, dove, tra le allegorie delle arti che decorano il soffitto, si contempla quel che rimane di una fantasmagoria durata secoli. Sic transit gloria theatri, sic manet…



Nicolaus van Hoy, Veduta generale del ballo equestre La contesa dell’aria e dell’acqua alla Burghof nel 1667, Wien, Theatermuseum

La mostra – giova ribadirlo – è al centro di un collaudato gioco di squadra, con altri territori della Mitteleuropa le cui ricchezze sorreggono l’impianto tematico, con momenti analoghi che completano o dilatano alcuni spunti che in essa possono raccogliersi (si pensi all’itinerario proposto al Kunsthistorisches Museum su Feste feiern), ma è anche stata concepita come evento che aggreghi approfondimenti, performances, concerti. Ricchissimo il catalogo, che, oltre ai saggi dei curatori, annovera scritti di esperti quali Silke Leopold, Herbert Seifert, Margaret A. Katritzky, Reinhard Strohm. Il fitto programma prevede tra l’altro allestimenti della Scuola Superiore dell’Attore in margine a un convegno sulla messinscena e sulla ricezione dello spettacolo barocco (a ottobre), esecuzioni di cantate e madrigali di Caldara, vice maestro di cappella, e di musiche del tempo di Leopoldo I, visite guidate con focus su determinate sezioni, conferenze e seminari. È l’aspetto forse più singolare dell’impresa: una divulgazione intelligente, che non rinuncia alla complessità delle questioni affrontate ma la dissemina in più occasioni che possono comporsi secondo gusti e interessi disparati, creando quasi fidelizzazione in un pubblico quanto mai variegato. Ed è bellissimo che la valorizzazione di una storia nazionale e di un patrimonio ineguagliabile sappia essere a un tempo fierezza e riflessione, memoria e dialogo, in perfetto equilibrio tra la contemplazione di vicende particolari e un respiro universale: un esempio su cui occorre meditare, soprattutto nelle grandi capitali di un’Italia assai distratta sul piano storico-teatrale.




Spettacolo barocco. Triumph des Theaters

 


                                                  Wien, Österreichisches Theatermuseum - Palais Lobkowitz, 3 marzo 2016-30 gennaio 2017

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