Il Calderón
di Pasolini è un testo complesso. Un
concentrato del pensiero politico-sociale dello scrittore che porta in dote un
messaggio ancora attuale, a patto che lo si disincrosti dalla temperie culturale
pre-sessantottina in cui fu concepito. Federico
Tiezzi (nella sua riscrittura con Sandro
Lombardi e Fabrizio Sinisi) si
mantiene in gran parte fedele alloriginale. La decisione di lasciare intatti i
verbosi versi di una pièce a lungo ritenuta irrappresentabile (una stroncatura
inammissibile, Ronconi docet, ma anche le “riabilitazioni”
vanno misurate) è forse il maggior limite di uno spettacolo comunque riuscito,
di mestiere, formalmente bello.
Siamo nella Spagna franchista del 67. Rosaura
si risveglia, immemore del passato, in tre differenti vite. Nella prima è
linfelice figlia di una coppia di nobili filofascisti madrileni. Nella seconda
è una non più giovane prostituta che vive nei sobborghi di Barcellona. Nella
terza è una donna matura vittima di un marito padre-padrone e del mondo che
questo rappresenta (lodiata borghesia). In tutti e tre i casi si innamora: di
Sigismondo, un sovversivo latitante un tempo amante della madre; di Pablo, un
sedicenne dalle idee chiare e nessuna esperienza (a letto); di Enrique, uno
studente rivoluzionario inseguito dalla polizia. Sogno o realtà? Incubo, sarebbe
più corretto dire; o meglio “inferno”, condizione da cui è impossibile evadere.
Nemmeno con lamore. In un susseguirsi di tragiche agnizioni, Rosaura scopre
che gli oggetti del suo desiderio sono rispettivamente il padre (incesto numero
uno), il figlio (incesto numero due) e un fuorilegge bello e dannato che a un
certo punto appella ambiguamente figlio (due incesti e mezzo). Il sogno finale,
la liberazione dal “lager” esistenziale grazie allarrivo di una folla di
operai, è pura utopia a conferma dellimpossibilità di qualsiasi riscatto.
Una scena dello spettacolo © Achille Le Pera
Tiezzi inserisce il dettato pasoliniano
in unarchitettura drammaturgica rigorosa e funzionale che scolpisce ogni verso
e insieme lo amplifica. Nelladerenza al testo si specchia ladesione a un
“teatro civile” destinato a scuotere le coscienze. «Attori e spettatori, bisogna
essere uniti per dare scandalo insieme!» dice a inizio spettacolo lo Speaker
Lombardi, in una significativa variatio
rispetto allo stasimo originale. Coerentemente lallestimento favorisce la
distanza critica, evitando qualsiasi empatia (se non nel finale).
E non sono tanto i cartelli al neon cari
a Brecht e le proiezioni video
(pretestuose) a creare il necessario straniamento. La regia di Tiezzi illustra,
sottolinea, zooma, mentre le scene di Gregorio
Zurla si susseguono in una sorta di montaggio cinematografico scandito da
“dissolvenze” (le sequenze al ralenti
che fanno da cerniera), da bruschi stacchi di buio e dalle luci, meravigliose,
di Gianni Pollini, che evidenziano i
pieni e i vuoti, i primi e i primissimi piani dagli sfondi. Anche le musiche, Love Theme e Silencio di Angelo
Badalamenti, sono rubate al cinema (da Mulholland
Drive di David Lynch, 2001),
mentre il Lascio chio pianga intonato
da Rosaura è sottile autocitazionismo (lo cantava Antigone nellAntigone di Sofocle di Brecht allestita
dalla compagnia Lombardi-Tiezzi nel 2004). Una scena dello spettacolo © Achille Le Pera
La presenza forte dellocchio registico
è funzionale alla concezione marxista di un potere verticale che controlla e
soverchia. Le tre vicende e il sogno finale di Rosaura sono ambientati in un
unico spazio architettonico a scena fissa (quasi fissa), composto dalle alte pareti
a mattoncini scuri di un casermone con finestroni avari di luce. Uno stanzone
vuoto in cui si muovono, facendo poco rumore, esistenze ectoplasmatiche che
trascinano letti ed eseguono pallide coreografie secondo i tracciati efficaci
disegnati da Raffaella Giordano. La
continuità del potere tirannico è assicurata dallimpenetrabile Basilio, un
Lombardi uno e trino che attraversa gli episodi sfoggiando una recitazione
dalta scuola. I suoi sicari sono figuranti guarniti di metallo nero che si
contorcono e strisciano nellombra: ora sono gli scagnozzi Leucos e Melainos,
ora sono i compagni che spingono il pivellino Pablo tra le braccia della procace
Rosaura, ora sono le creature della notte che portano via Sigismondo durante la
prima agnizione (segnalata da una lama luminosa che scende dallalto).
Se le due ore e un quarto dello
spettacolo scorrono filate, è merito di una tensione continua. Tutti gli attori
reggono la prova. Si distinguono le tre Rosaure interpretate, nellordine, da Camilla Semino Favro (alienata il
giusto), da Lucrezia Guidone
(spruzzate di romanesco nella cadenza in omaggio alla Magnani di Mamma Roma) e
da Debora Zuin (dallo slancio più
naturalistico). Istrionico il Sigismondo di Graziano Piazza, malinconico il Pablo di Josafat Vagni, guascone lEnrique in camicia rossa garibaldina di Andrea Volpetti. Una scena dello spettacolo © Achille Le Pera
Memorabili alcune scene, come il tableau vivant del primo episodio con i
cromatismi argento brillante e nero glitterato di abiti siglo de oro rivisti in salsa gotica da Giovanna Buzzi e Lisa Rufini (citazione di Las Meninas di Velázquez, in ossequio alla Vida
es sueño di Calderón de la Barca da
cui è tratta la pièce). O come lapparizione del Basilio Lombardi e della Donna
Lupe Francesca Benedetti (cammeo per
lottantunenne attrice) nei ruoli del Re e della Regina: specie di monumentali drag queen sbilanciate negli ingombranti
vestimenti, la cui andatura incerta ne mette in crisi il sussiego.
A scaldare il pubblico ci ha pensato soprattutto
la Zuin con lappassionato racconto del sogno del lager, stroncato dallamara chiosa di Basilio e dalla caduta del
sipario in un silenzio raggelato. Un finale che funziona, nonostante
levocazione un po naïf degli operai liberatori con tanto di bandiere rosse
svolazzanti. Peccato che, come in Pasolini, non si lasci adito alla speranza:
ed è qui che il messaggio originario andava svecchiato.
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