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La grotta dimenticata tra le perle di Paisiello

Giovanni Fornaro
  La grotta di Trofonio
Data di pubblicazione su web 22/09/2016  

Il Festival della Valle d’Itria 2016 ha opportunamente scelto di celebrare Giovanni Paisiello, nell’anno del doppio centenario dalla scomparsa, rendendo omaggio al compositore tarantino con una sua deliziosa opera buffa.

La grotta di Trofonio è una di quelle perle misteriosamente dimenticate dal repertorio, cosa accaduta alla grande maggioranza dei suoi melodrammi, e non se ne vede la ragione. A dire il vero, la figura del compositore, benché fondamentale nel passaggio della musica colta europea dal Settecento all’Ottocento, gode di scarsa considerazione nei teatri e nella musicologia, almeno dal punto di vista quantitativo. È uno dei motivi per i quali uno degli studiosi “storici” di Paisiello, Dino Foresio, ha appena licenziato una corposa biografia (Bologna, Bongiovanni, 2016) che ricolloca il personaggio e rilegge la sua storia personale e musicale in un quadro decisamente ampio ed europeo.

La grotta di Trofonio è una sorta di quadratura del cerchio, fra le opere buffe di fine secolo (prima rappresentazione a Napoli, Teatro dei Fiorentini, fine 1785). Vi si ritrova, ad esempio, l’umorismo non sempre raffinatissimo suscitato dall’opposizione colto/popolare – tassonomia per la quale non è sempre necessario scomodare Levy-Strauss –, di chiara appartenenza partenopea e incarnato, in particolare, dal personaggio di Don Gasperone che nella prima e terza edizione dell’opera “parla” in napoletano.


Una scena dello spettacolo
© Fondazione Festival della Valle d’Itria 2016

Non solo. Assistiamo ad un vorticoso valzer delle coppie, in un’atmosfera sospesa nel tempo che, pochi anni dopo, Mozart e Da Ponte utilizzeranno ed esalteranno nel Così fan tutte ispirandosi anche, come Paisiello e il suo librettista Giuseppe Palomba, all’antecedente Grotta di Trofonio scritta dall’abate Giovan Battista Casti e musicata da Antonio Salieri per il Burgtheater di Vienna (nello stesso 1785).

Da Napoli a Vienna, passando per San Pietroburgo, città da cui Paisiello era appena tornato, il “tragitto” fondativo di questo lavoro prevede una sosta nella antica Grecia degli dèi, dei miti e degli eroi, dove oracoli e sibille sono consultati perfino dai re. Trofonio è un oracolo di ascendenza divina, anzi uno dei più importanti e autorevoli, secondo Pausania che ne scrive nel II secolo d.C., cioè sette secoli dopo le prime tracce rinvenibili di un antro trofonieo a Lebadea, in Beozia. Il Periegeta descrive un luogo recondito e oscuro ove la consultazione divinatoria non avviene senza un complesso e lungo rito di purificazione e iniziazione che conduce a una sorta di trance guaritiva mediante stati alterati di coscienza.

Il Trofonio dell’opera paisielliana non è che la riscrittura fantastica, probabilmente rinascimentale, del mito antico tratteggiato da Pausania. Qui egli subisce una metamorfosi radicale: è una specie di eremita filosofo, vestito di pelli d’orso, che non disdegna la compagnia femminile e il divertimento di scombinare e ricombinare i già citati equilibri delle coppie: Artemidoro e Dori, la sorella di lei Eufelia e Don Gasperone, Don Piastrone (padre delle donzelle) e la locandiera Rubinetta, fino ad includere se stesso con la ballerina astuta Bartolina.

Sulla trama non c’è molto da dire: le due sorelle sono diverse, Dori allegra ed Eufelia votata alla letteratura, così come i rispettivi cicisbei, il giovane e “posato” Artemidoro e il ricco e caciarone mercante napoletano Gasparone.


Una scena dello spettacolo
© Fondazione Festival della Valle d’Itria 2016

Fra duelli e languori, Trofonio, sorta di nascosto Mangiafuoco, si diverte a muovere i fili dei suoi burattini spostando l’asse di ogni rapporto amoroso grazie alla sua grotta: entrandovi si cambia d’umore e carattere (con conseguenze drammaturgicamente immaginabili) ma uscendone dalla parte opposta si ritorna allo status precedente.

Situazioni comiche a iosa, in un gioco di scatole cinesi in cui assumono un ruolo preminente Don Gasperone e le sue intemperanze, fino allo scioglimento finale in cui, in una grotta diventata magicamente reggia, i quattro matrimoni dovranno essere celebrati senza alterare i rapporti preesistenti.

L’edizione martinese dell’opera di Paisiello gioca sull’iconografia del Grand Tour e dunque sui luoghi topici dell’arte antica (Italia meridionale, Grecia, Medio Oriente). Coerentemente, l’efficace idea scenica di Dario Gessati prevede libri di enormi dimensioni posti sul palcoscenico dai quali si alzano, in alternanza, immagini di rovine greche. Attraversando queste si muovono, come in quinta, tutti i personaggi.

Il regista (e cantante) Alfonso Antoniozzi gioca molto bene con questi elementi scenici, conferendo ai vari “quadri” una notevole dinamicità che ben si accorda con il ritmo un po’ confusionario, a tratti forsennato, della musica e del libretto di Paisiello e Palomba. Mai fini a se stessi, i giochi e le tensioni che Antoniozzi assegna ai personaggi sono divertenti e funzionali alla drammaturgia, in un riuscito mélange che si esalta grazie anche ai bei costumi di Gianluca Falaschi e al disegno luci di Camilla Piccioni.

Interessanti le voci femminili: Benedetta Mazzuccato (Dori) della benemerita Accademia del Belcanto dedicata a Rodolfo Celletti e in residenza al Valle d’Itria; Angela Nisi (Eufelia), Caterina Di Tonno (Rubinetta) e la bravissima Daniela Mazzuccato (Madama Bartolina), a suo agio nei panni di una singolare ballerina classica. Anche le voci maschili hanno ben figurato: Mattero Mezzato (Artemidoro) e Giorgio Caoduro (Don Piastrone).


Una scena dello spettacolo
© Fondazione Festival della Valle d’Itria 2016

I mattatori dello spettacolo, però, sono i personaggi dalle voci nel registro più basso: Trofonio e Don Gasperone, rispettivamente il trevigiano Roberto Scandiuzzi (ammirato nel 2015, sempre a Martina Franca, in Le Braci di Marco Tutino) e il barese Domenico Colaianni, del quale non si possono enumerare le tante partecipazioni di grande successo al Valle d’Itria. Dotato di sottile ironia, di physique du rôle, di grande padronanza scenica, di una voce prodigiosa, Scandiuzzi ha conquistato tanto il pubblico quanto la critica; con gli stessi esiti il “folletto” Colaianni non ha lesinato il suo vasto repertorio di facce, sberleffi, finte o vere “arrabbiature” di scena, sempre con garbo e intelligenza, che lo confermano un beniamino di questo festival.

Attenta ai ritmi e ai timbri giusti e intensa, la direzione della buona Orchestra Internazionale d’Italia, a cura del corretto e preciso Giuseppe Grazioli, il quale ha curato particolarmente il suono degli archi, valorizzando il canto nelle arie (solo cinque per ognuno dei due atti) come nei tanti pezzi d’insieme e nei concertati, in modo da “liberare” la meravigliosa musica di Paisiello nell’atrio di Palazzo Ducale, per i fortunati che hanno potuto assistere a questo spettacolo (meno da invidiare coloro che, nello stesso Festival, erano presenti al Don Chisciotte, e non certo per demerito della bellissima musica del grande compositore tarantino).

La grotta di Trofonio è stata co-prodotta dalla Fondazione del Teatro di San Carlo di Napoli dove l’opera sarà prossimamente rappresentata, sempre nel quadro del Progetto Paisiello 1816-2016.



La grotta di Trofonio



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Un momento dell'allestimento di Paisiello al Festival della Valle d’Itria

































Un altro momento dello spettacolo

 
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