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Tra spaghetti indigesti e buone intenzioni

di Sara Mamone
  Brimstone
Data di pubblicazione su web 05/09/2016  

Satana è un angiolone ingenuo e un po’ geloso rispetto al reverendo Guy Pearce, vera incarnazione del male in una indefinita regione degli States, all’alba della grande epopea della conquista del West e della nascita della mitologia dei coloni duri e non puri. Il giovane e soddisfatto regista olandese Martin Koolhoven (curriculum impeccabile di premi prestigiosi e pure grande sbancatore di botteghini in patria e altrove) teorizza la nascita di un western olandese da affiancare, con pionieristica umiltà, alla grande epopea, non tanto di quello americano, quanto della declinazione italiana degli spaghetti western. Non sappiamo bene quanto l’olandesità influisca in questa rivisitazione del genere ma possiamo senz’altro pronosticare che non dovrebbe aprire un nuovo filone.

Una scena del film
Una scena del film

Di buone intenzioni, si sa, è lastricato l’inferno ma qui la speranza è che quelle del regista già in partenza non fossero buone e che la cattiveria gli abbia preso la mano nell’invenzione di un polpettone storico-biblico di sanguinaria fattura. La mefiticità delle intenzioni trova una pezza d’appoggio non solo nella divisione del racconto in quattro capitoli biblicamente connotati (Apocalisse, Esodo, Genesi e Castigo), quanto nell’inversione dei piani temporali acciocché lo spettatore si trovi di fronte ad un rebus più complesso di quanto non sarebbe la sua lineare disposizione e, facendo quindi maggior fatica, abbia la sensazione di un’opera di grande complessità. 

Buona anche se ormai usuratissima tecnica (ma si veda come lo slittamento dei piani temporali possa ancora funzionare se eseguito con impeccabile rigore stilistico, ad esempio nel pur complesso film di Tom Ford, link), bisognosa però almeno di qualche brivido di imprevedibilità. Qui invece è tutto prevedibile a partire dalla troppo evidente intenzione di formulare un “potente” atto d’accusa contro l’integralismo religioso (accentuato fin al sospetto caricaturale nella prosciugata maschera di Guy Pearce nel ruolo del fanatico Predicatore) e della forza di reazione (oggi più di moda dire “resilienza”) della vittima angelicata (l’efficacemente inespressiva Dakota Fanning), donna vittima predestinata di tutti gli orrori della società.


Una scena del film
Una scena del film

E così, neppur troppo lentamente, il film diventa un catalogo horror che si compiace della sua maestria, un po’ Dogma e un po’ Tarantino, inanellando infamie di tutti i tipi (sgozzamenti di pecore, maschere di ferro sui volti delle donne, sbudellamenti in serie, frustate, impiccagioni, roghi, lingue mozzate; aggiungete pure quel che volete, c’è). In tutta questa compiaciuta esibizione di violenza fisica, che non riesce neppur per un momento a diventare morale o, per lo meno, parodica, possiamo rivelare, senza timore di guastare sorprese, che il reverendo è il perverso padre della protagonista e che finalmente brucerà nelle fiamme di un lume a petrolio che l’eroina gli scaglierà addosso mentre lui tenta di violentare, come già aveva fatto con lei adolescente, la di lei adolescente figlia, id est sua nipote. Et cetera.

Ci chiediamo perché i selezionatori ci caschino ancora.




Brimstone
cast cast & credits
 
In concorso


Il regista Martin Koolhoven


 
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