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Alla scoperta del nulla

di Raffaele Pavoni
  El Cristo ciego
Data di pubblicazione su web 03/09/2016  

Il primo dei tre film latinoamericani in concorso alla Mostra è El Cristo Ciego del cileno Christopher Murray, classe 1985, al suo secondo lungometraggio di finzione. Il film narra le vicende di Michael (Michael Silva), meccanico di un piccolo villaggio del Cile convinto di essere investito di poteri divini, cosa che suscita l’ilarità dei suoi compaesani. Un giorno Michael scopre che il suo amico d’infanzia è rimasto ferito in un incidente e decide di andarlo a trovare, pensando di poterlo guarire con un miracolo. Durante il viaggio percorre a piedi nudi il deserto, dando vita a un curioso road movie che rivela tutto il disagio sociale del Tamarugal, la povera regione mineraria del deserto di Atacama situata a nord del Cile, abitata da gente diffidente e condizionata dal bisogno di credere in qualcosa di ultraterreno.

Tutti gli attori, ad eccezione di Michael Silva, sono locali non professionisti, ed è a loro ed al paesaggio che Murray guarda con interesse. Vento e terra si fondono, talvolta invadono lo schermo, costituendo un filtro visivo sugli spazi senza tempo dei villaggi esplorati.



Una scena del film

Ma, nonostante i nobili intenti, il film non funziona. Il “pellegrinaggio” di Michael è intervallato da cinque flashback, commentati da una voce fuori campo, che costituiscono una sorta di “vangelo apocrifo illustrato” in salsa cilena. Un espediente non privo di originalità, ma che innesca al contempo una forte dispersione narrativa. Se la destrutturazione della narrazione biblica evidenzia la drammatica assenza di Dio in un mondo che ha sete di fede (operazione simile, se vogliamo, a quella operata dai Coen nei confronti della religione ebraica in A serious man), l’affermazione di spiritualità intende quasi colmare tale assenza, sul filo di una filosofia dai tratti vagamente buddisti secondo la quale la divinità è nell’essere umano e il vuoto esistenziale ha valore in quanto tale.

Murray non è abbastanza cinico per demolire il racconto biblico (forse anche per una forma di rispetto verso i protagonisti del film). All’incertezza ideologica corrisponde una mancanza di solidità strutturale. Il film si avvita in un dedalo di micro-narrazioni che non sembrano portare da alcuna parte.

Pochissimi gli spettatori usciti dalla sala durante la proiezione, ma altrettanto pochi gli applausi alla fine della proiezione, segno che a fronte di un meccanismo narrativo capace di creare aspettative non c’è poi un degno seguito drammaturgico. Due i sospetti.



Una scena del film

Il primo è che il regista abbia puntato tutto sull’analogia tra la pampa cilena e la Terra Santa: l’ambientazione sembra infatti essere l’unico trait d’union tra le vicende narrate, al punto talvolta da ridursi a puro pattern visivo.

Il secondo sospetto, più malizioso, è che l’opera, pur non priva di tratti originali, sia stata inserita nel concorso ufficiale (anziché, ad esempio, nella sezione Orizzonti) per seguire la moda. Senza voler mettere in questione l’oggettiva vivacità dimostrata negli ultimi anni dalle cinematografie latinoamericane, è un fatto che tale continente occupi oggi uno spazio sempre maggiore nei circuiti d’essai europei (si pensi ai premi vinti nella scorsa edizione della Mostra, link). Non è improbabile un condizionamento in questo senso sui selezionatori del Festival di Venezia, da sempre cerniera tra il cinema cosiddetto “d’autore” e la distribuzione in sala. 




El Cristo ciego
cast cast & credits
 

In concorso


La locandina

 
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