Non è semplice fornire una
definizione univoca dellestrema produzione teatrale di Richard Strauss. Anni inquieti, segnati dallo smarrimento provocato
dallassenza di Hugo von Hofmannsthal
e dal clima di assoluta incertezza in cui il compositore si trovò a operare. Il
decennio 1930-1940 fu per Strauss, come giustamente scrive Quirino Principe, «lo
sgradevole destarsi da un sogno» (Strauss,
Milano, Rusconi, 1989, p. 880). Lartista, affatto indifferente ai drammi della
storia, si servì dellunico mezzo a sua disposizione, ovverosia la musica, per
opporsi allirrazionalità imperante. Leclettismo, che pure era la cifra
distintiva di Hofmannsthal, si amplia in maniera persino maggiore. Il mito e la
commedia si alternano, si mescolano dando vita a peculiari e inedite alchimie
teatrali.
Questo è il clima in cui nasce Die
Liebe der Danae, le
cui vicende esecutive si legano agli anni del conflitto. Dopo la prova generale
salisburghese del 16 agosto 1944, affidata alla bacchetta di Clemens Krauss, le previste
rappresentazioni vennero infatti cancellate per la chiusura dei teatri imposta
dopo il fallito attentato a Hitler.
Solo nel 1952, a tre anni dalla scomparsa del compositore, lopera venne
finalmente eseguita, ancora sotto la guida di Krauss e sempre nellambito del
Festival di Salisburgo. Seguono cinquanta anni di oblio. Occorre attendere il
2002 per rivedere questo titolo ingiustamente negletto nella città natale di Mozart. Oggi Die Liebe der Danae torna
a Salisburgo, e si tratta di una vera e propria riscoperta. Una scena dello spettacolo © Salzburger Festspiele / Forster
Il nucleo dellopera risale a unidea
che Hofmannsthal propose a Strauss in una lettera del 1920. Un progetto
naufragato e in seguito affidato alla penna erudita ma ben più modesta di Joseph Gregor. Delle intenzioni
iniziali restano suggestioni, atmosfere dettate dal più grande poeta decadente
che lAustria abbia mai prodotto. Il libretto confezionato da Gregor, per
quanto a tratti un poco sconnesso, offre comunque materia alla sfavillante
ispirazione straussiana.
Lombra di Wagner incombe sullazione. Giove, ad esempio, per saggiare la
fedeltà di Danae, si mostra nellultimo atto in veste di viandante, evocando in
maniera esplicita le atmosfere del Siegfried. Bagliori wagneriani si
colgono poi nel personaggio di Mercurio, il cui racconto divertito delle
vicissitudini amorose del dio richiama lironia dissacrante di Loge. Il vecchio
Strauss, giunto alla conclusione della sua parabola creativa, non ha più
bisogno di sfuggire la corazza wagneriana che agli esordi rischiava di
imprigionarlo nel ruolo dellepigono. Ora tratta la propria materia con estrema
libertà e consapevolezza, sorretto da una padronanza assoluta della tavolozza
orchestrale. Bello il secondo atto e ancora di più il terzo quando, dopo il
celebre intermezzo, si dipana un duetto fra Danae e Giove che si avvicina alla
struggente emotività del dialogo finale della Walkiria fra Wotan e
Brünnhilde.
La maledizione insita nelloro,
motore della Tetralogia wagneriana, agisce stavolta per mano di Mida. Questi,
condannato da Giove a trasformare in metallo prezioso tutto ciò che tocca,
abbracciando Danae la cristallizza involontariamente in una statua. Leroina
sceglierà in seguito lamore, rinunciando al destino immortale promessole dal dio.
Una vicenda che ricalca in vari aspetti quella della Frau ohne Schatten. Anche qui limperatore, trasformato in statua,
viene salvato dalla redenzione della sua sposa. La conquistata maternità è un
messaggio etico forte in unEuropa smarrita di fronte alla violenza (in questo
caso legata al primo conflitto mondiale). Una scena dello spettacolo © Salzburger Festspiele / Forster
La metamorfosi è dunque la cifra
di Strauss, in particolare nellultima parte della sua produzione. La sua
aspirazione a eludere il tempo passa attraverso i mascheramenti del mito. Nella
Dafne, ad esempio, la trasfigurazione delleroina diviene simbiosi
definitiva con il dato naturale. Limmortalità viene conquistata solo al di
fuori del mondo prettamente umano. Nella Danae
le cose vanno in maniera diversa. Il
dono di Mida è in realtà una maledizione di morte. Loro, falsamente prezioso,
rivela tutta la propria pericolosità impedendo lunione carnale. Solo lamore
riesce nellarduo compito di liberare i due protagonisti. Un messaggio
importante in unepoca in cui la civiltà occidentale sembra sul punto di
sparire, inghiottita dalle devastazioni del secondo conflitto mondiale.
Lallestimento visto al Festival
di Salisburgo rende pienamente giustizia a questa partitura. Il regista Alvis Hermanis situa la vicenda in un
oriente favolistico, nel quale la grecità classica viene solo suggerita dal
biancore immacolato delle pareti. Coloratissimi i costumi di Juozas Statkevičius, esplicitamente
ispirati allarte di Léon Bakst,
pittore e scenografo prediletto dei Balletti Russi di Diaghilev. Variopinti tappeti evocano un mondo distante e intriso
di atmosfere fiabesche. Danzatrici mimano la pioggia doro dipinta dalla
maestria orchestrale straussiana. In questo rutilante scintillio di colori non
cè traccia della decadenza del regno di Polluce, allinizio dellopera
assediato dai creditori. Alla fine del primo atto Giove si presenta in groppa a
un enorme pachiderma, naturalmente
posticcio, mentre vero è lasinello che suggerisce la reale condizione di Mida.
Unico dato prettamente realistico che però, con la sua riluttanza a percorrere
il palcoscenico, ha provocato a più riprese lilarità del pubblico in sala. Nel
finale la presenza di innumerevoli telai richiama la mitica Penelope. Anche
Danae, una volta respinto lassalto del divino pretendente, può riprendere il
corso del proprio umano destino. Chi ama le regie governate da un
pensiero forte, da unidea cardine sottesa allazione, sarà forse rimasto
deluso. Eppure non si può negare il fascino di un allestimento giocato sulle
suggestioni cromatiche, totalmente rivolto allaspetto estetizzante della
partitura. Nulla rimanda agli anni drammatici nei quali lopera vide la luce.
Hermanis aspira a un tempo che guarda alleternità, e in questo segue
perfettamente il dettato straussiano. Una scena dello spettacolo © Salzburger Festspiele / Forster
Bella lesecuzione musicale. Franz Welser-Möst appare particolarmente
ispirato. La sua direzione coniuga perfettamente il lirismo malinconico, celato
nelle intercapedini della scrittura, con i preziosismi profusi a piene mani nel
trattamento orchestrale. Il suono dei Wiener Philharmoniker è superbo e
magnifico, appena increspato da languori nostalgici e decadenti. Krassimira Stoyanova è una Danae di
eccellenti doti vocali e interpretative. Tomasz
Konieczny, pur senza possedere lo spessore vocale dei primi interpreti dellopera
(su tutti Hans Hotter e Paul Schöffler), è un Giove perfettamente credibile. Dopo un inizio in
sordina (nel finale del primo atto mostra qualche fissità nellacuto) cresce
notevolmente, fornendo una prova di grande solidità complessiva. Gerhard Siegel evidenzia qualche
problema nel registro alto, ma è comunque un Mida più che apprezzabile. Molto
brava Regine Hangler nel ruolo di
Xanthe. Bene il Polluce di Wolfgang
Ablinger-Sperrhacke e il Mercurio di Norbert
Ernst. Curati anche i ruoli di contorno, fra tutti quelli delle quattro
regine.
Grande lentusiasmo del pubblico.
Speriamo che questa esecuzione getti nuova luce non solo su questo titolo, ma
sullintera produzione senile di Strauss, troppo spesso ingiustamente
trascurata dai cartelloni.
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