Opera
dalla drammaturgia peculiare, ingiustamente negletta proprio in quanto lontana
dallo stereotipo di un Čajkovskij
dedito esclusivamente a un melodismo inquieto e disperato, emotivamente
instabile e preda di insanabili tormenti, Iolanta rappresenta un
capitolo importante nelleclettico percorso teatrale del compositore russo. Può
sconcertare il fatto che il suo estremo testamento operistico sia una vicenda
dal finale consolatorio, apparentemente distante dalla sua abituale temperie
emotiva, peraltro ambientata in Provenza e non
nella terra natia. Eppure la fiaba della fanciulla cieca, inconsapevole della
propria menomazione e oggetto di una miracolosa guarigione, già da tempo aveva
destato il suo interesse.
La
fonte letteraria sulla quale si basa il libretto confezionato dal fratello Modest proviene da un dramma del danese
Henrik Hertz, a sua volta ispirato
da un racconto di Andersen. Oggetto
di severi giudizi critici sin dalla sua prima comparsa sulle scene, ad un
occhio attento Iolanta rivela invece un proprio specifico valore. Chi
non ama i caratteri effettistici della musica di Čajkovskij troverà qui squarci di prezioso lirismo, tenui e
malinconiche pennellate color pastello, tonalità sfuggenti debitrici nei
confronti della musica francese. Siamo in un contesto di raffinatezza vagamente
preraffaellita, che anticipa alcuni tratti della poetica elusiva e immateriale
del Pelléas di Debussy. Lazione è
sostanzialmente statica e atemporale, il percorso dalle tenebre alla luce
prettamente simbolico.
Un momento dello spettacolo ゥ Michele Borzoni Perno
dellazione il misterioso medico Ibn-Hakia, personaggio di grande originalità,
astratto e profondamente umano al tempo stesso. Čajkovskij gli conferisce il
potere di guarire Iolanta dalla cecità, a condizione che questa dimostri un
autentico desiderio di vedere. È dunque una sorta di mago, ma anche un moderno
psicologo. Dal punto di vista musicale ricorda alcuni tratti dellOberon di Weber, autore molto amato da Čajkovskij. Al confronto più convenzionali appaiono le figure dei due
cavalieri, legate a pure esigenze narrative.
Lemergere
di qualche manierismo non inficia comunque il valore complessivo di una
scrittura elegante e curata in ogni dettaglio. Il grande duetto in cui
Vaudémont rivela a Iolanta le bellezze del creato, vero climax dellopera, è
frutto della migliore ispirazione del compositore russo, il quale si mostra perfettamente
a proprio agio nelle ambientazioni decadenti della vicenda. Una certa
estraneità traspare semmai nei toni trionfalistici della trasfigurazione
conclusiva; evidentemente lenfasi ottimistica non rientrava pienamente nelle
sue corde, più aduse al dramma che alla gioia. Mahler amava molto questa partitura, forse proprio perché adombra i
percorsi catartici di tante sue sinfonie.
Un momento dello spettacolo
ゥ Michele Borzoni Merito
del Maggio Musicale Fiorentino aver riproposto un titolo sovente incompreso e
di rara circolazione, in un allestimento coprodotto dal Metropolitan di New
York insieme al Teatr Wielki di Varsavia. Suggestivo lo spettacolo pensato dal
regista Mariusz Treliński, con le
scene di Boris Kudlička, aderente ai
percorsi psicologici dei protagonisti. La stanza di Iolanta è una sorta di
microcosmo nel quale la fanciulla vive segregata e separata dal mondo esterno.
La sua unica parete è ornata da trofei di caccia, mentre il giardino che la
circonda appare come una sorta di bosco incantato nel quale alberi sospesi a
mezzaria mostrano le proprie radici, mentre un cielo plumbeo è agitato da nubi
minacciose. Come una bella addormentata, che il padre vuole mantenere in una
sorta di perenne innocenza, ella attende di essere destata da un cavaliere che
infrangerà ogni divieto per averla. Durante la bella introduzione, tutta
giocata sugli impasti timbrici dei fiati, le video proiezioni animano il bosco
di cerbiatti guizzanti. Uno di questi cade abbattuto dalle armi dei cacciatori,
e sembra richiamare la fragile esistenza della protagonista. Il regista sottrae
a volte la vicenda alle atmosfere simboliste che le sono proprie. Trasforma ad
esempio le amiche Laure e Brigitte in dispettose cameriere, le quali non
disdegnano atteggiamenti irriverenti verso la loro indifesa e inconsapevole
padrona, il tutto sempre con misura, senza far scadere la narrazione in
buffonerie da operetta. Alla fine la natura riprende prepotentemente i propri
diritti, gli alberi affondano di nuovo le radici nel terreno, mentre fasci di
luce dal sapore cinematografico illuminano lapoteosi conclusiva.
Sostanzialmente
buona lesecuzione musicale. Stanislav Kochanovsky
dirige in maniera nitida ed elegante, distillando sapientemente i colori della
tavolozza orchestrale. Victoria
Yastrebova tratteggia con toccante sensibilità il personaggio di Iolanta, i
fremiti emotivi di una fanciulla dapprima esclusa dalla realtà, in seguito
consapevole del proprio stato e desiderosa di ottenere la guarigione. Ottimo Elchin Azizov nel ruolo di Ibn-Hakia,
il medico mauritano che riesce nellarduo compito di sanare la protagonista; efficace nella sua aria, uno dei punti forti dellopera
in cui Čajkovskij, lungi dallo scadere in un orientalismo di maniera, riesce a
evocare con efficacia il dualismo fra corpo e anima.
Bravo
anche Ilya Bannik nei panni del re, particolarmente
commovente nellaria in cui lamenta la cruda sorte della figlia, anche se la
divisa nera che il costumista ha confezionato per lui lo fa somigliare più a un
gerarca nazista che a un padre amorevole. Vsevolod
Grivnov (Vaudémont) ha impeto e buona volontà, ma il timbro è ingrato e la
voce sovente fissa nellacuto. Anche il Robert di Mikołaj Zalasiński mostra una linea vocale ampia ma molto instabile
e difficilmente governabile. Buone nel complesso le parti di contorno.
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