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Gli incubi di Nora a confronto con la contemporaneità

di Eloisa Pierucci
  Casa di bambola
Data di pubblicazione su web 12/03/2016  

Una casetta di legno, gli interni ben visibili, illuminati da colori caldi, si staglia isolata contro un paesaggio marino dominato dal blu scuro, dove sabbia, cielo e acqua si confondono. Questa suggestiva immagine, quasi magrittiana, campeggia sulla locandina del nuovo allestimento di Casa di bambola di Henrik Ibsen – adattamento e regia di Roberto Valerio –, al suo debutto in prima nazionale al Teatro Manzoni di Pistoia.

Si apre il sipario e sembra di essere all’interno della piccola abitazione: sedie, poltrone, sofà e un enorme scaffale che ospita cassetti, scomparti, un albero di Natale inserito a incastro, una libreria dai volumi smaccatamente finti. Il grande mobile verticale, con le sue tonalità anonimamente grigie, ricorda ironicamente le soluzioni abitative Ikea, dando la sensazione di una moderna scatola domestica efficiente, neutra, soffocante. Appoggiata allo scaffale, la scaletta su cui si arrampica lo “scoiattolo-Nora” per raggiungere il ripostiglio dove nasconde indistintamente i dolcetti proibiti e le carte compromettenti. Ma il fondo della scena si increspa dando luogo a forme tondeggianti e semicircolari creando così «uno spazio onirico che trasfigura la realtà in miraggio, delirio, allucinazione, incubo», secondo le parole del regista. Decisamente più realistica la scena di Una casa di bambola, regia di Andrée Ruth Shammah, allestita in contemporanea al Teatro della Pergola: un elegante salotto dominato da tonalità rosa pastello.

La dimensione di sogno in cui Valerio avvolge la propria interpretazione della pièce ibseniana è sottolineata da un efficace gioco di luci (a cura di Emiliano Pona) e da alcuni effetti sonori: il rumore delle onde che segna i passaggi più significativi evoca immediatamente una possibile parentela tra Nora ed Ellida, protagonista della Donna del mare. Il mare, dunque, come luogo del mistero, spazio aperto sconosciuto e affascinante, irresistibile richiamo di libertà. Meno convincente il ricorso alle voci registrate che in due momenti dello spettacolo sembrano animare gli incubi della signora Helmer popolati soprattutto dalle tre figure maschili del dramma. Coerentemente con questa chiave di lettura, i personaggi di Torvald, Krogstad e Rank appaiono talvolta come fantasmi evocati dalla protagonista (idea suggestiva che però non sempre riesce a trovare una piena realizzazione, forse penalizzata da musiche “da thriller” più convenzionali che inquietanti). Come osserva Roberto Alonge, «non c’è un accidente che irrompe, da fuori, su Nora. Il dato esterno è assai meno importante di quanto possa sembrare a prima vista» (Introduzione a Ibsen, Casa di bambola, Mondadori 2011, p. 30).


Un momento dello spettacolo © Marco Caselli Nirmal
Un momento dello spettacolo 
© Marco Caselli Nirmal

L’interpretazione “psicanalitica” del dramma ibseniano mette in luce gli aspetti più complessi e ambigui del testo: una donna-bambina intrappolata in una perenne condizione di minorità da una società chiusa e crudele e da un marito-padre tanto affettuoso quanto opprimente; l’improvviso crollo delle certezze fornite da questo impianto claustrofobico ma allo stesso tempo rassicurante; la rinuncia al ruolo di bambola, da parte di Nora, solo nel momento in cui Torvald, alla prova dei fatti, si dimostra incapace di sostenere fino in fondo il ruolo dell’uomo forte e protettivo tanto millantato a parole.

Molto è stato scritto a proposito dell’ambivalenza della protagonista, considerata da alcuni critici una “femminista di comodo”, che segue la strada dell’emancipazione solo quando si rende conto che lo sposo-padrone non è in grado di difenderla (è questo il “meraviglioso” che dovrebbe accadere per salvare il matrimonio). Ma, a parere di chi scrive, tra le pieghe del testo c’è qualcosa di più: Nora vorrebbe, è vero, una forte presa di posizione da parte del consorte, ma non sarebbe mai disposta ad accettarne il sacrificio. Nel drammatico confronto finale si fa strada la sua necessità di essere trattata, finalmente, come un «essere umano» e di uscire dalla «stanza dei giochi» in cui lei stessa, fino a pochi istanti prima, si era volentieri cullata. Emerge così una figura sfuggente e sfaccettata, fragile e forte allo stesso tempo, di sconvolgente modernità. Non a caso Eleonora Duse, nella sua incessante ricerca, trovò in Casa di bambola e più in generale nella drammaturgia ibseniana lo slancio necessario per un’ulteriore innovazione della sua arte.

Valentina Sperlì, chiamata a misurarsi con un personaggio tanto complesso, si dimostra all’altezza dell’arduo compito, con un’interpretazione a tutto tondo in grado di cogliere ogni sfumatura del testo. La vocalità spazia con naturalezza dai “cinguettii” delle zuccherose scene coniugali ai toni suadenti della scherzosa seduzione nei confronti del dottor Rank, dalle “note” basse dei monologhi più introspettivi alla declamazione franta e dolorosa dell’ultima scena. La fisicità agile e aggraziata dell’affascinante mogliettina si spezza anch’essa durante l’esecuzione della tarantella, forse il punto più alto dello spettacolo (“gratificato” giustamente da un applauso a scena aperta): Nora diventa un corpo inerte nelle mani del marito, che la plasma a suo piacimento rendendola una marionetta dai movimenti meccanici e disarticolati e dal sorriso stereotipato. Un’idea semplice, ma ricca di riferimenti culturali (dal mito di Pigmalione alla Supermarionetta di Craig, accostamento che getta una luce metateatrale sul rapporto tra Nora-attrice e Torvlad-regista), vivificata, sul palcoscenico, dalla calibrata energia dei due eccellenti interpreti. 



Un momento dello spettacolo © Marco Caselli Nirmal
Un momento dello spettacolo 
© Marco Caselli Nirmal

Danilo Nigrelli offre un vivace ritratto di Torvald: più nevrotico che paternalista, sembra un piccolo despota che non riesce fino in fondo ad esercitare la propria autorità, assumendo nel finale tratti quasi grotteschi. Fin troppo sulfureo il Krogstad di Roberto Valerio: se nella sua scena iniziale l’attore-regista riesce a dosare perfettamente sottomissione e minaccia, nel prosieguo della rappresentazione i tratti “demoniaci” tendono a prendere il sopravvento. Il personaggio dello squallido ricattatore acquisisce così un rilievo quasi protagonistico che non gli compete, reso più forte da alcune controscene inserite a suo beneficio, ma riesce infine a trovare una sua dimensione umana nel confronto con Kristine (una Carlotta Viscovo più giovanile di quanto il ruolo richieda). Ottimo Massimo Grigò, elegante e malinconico nei panni di Rank.

Un cast equilibrato e bene amalgamato, che sembra aderire pienamente alle suggestioni registiche. Lo stesso non si può dire degli attori coinvolti nell’allestimento firmato Shammah il quale, offrendo un’originale interpretazione del rapporto tra i due protagonisti, dovrebbe trovare la sua cifra distintiva proprio nell’interpretazione femminile, e soprattutto in quella maschile. Qui Nora è l’indiscusso meneur de jeu, che mette continuamente in crisi le certezze del marito e degli altri personaggi. La chiave di lettura offerta dalla regista vuole che Torvald, Rank e Krogstad siano tutti incarnati dallo stesso attore: una sfida che Filippo Timi vince solo a metà. L’impegno profuso in un’impresa certo non facile e la forza comunicativa dell’interprete non si discutono; apprezzabile l’intento di conferire spessore umano a Torvald e di cercare un’efficace caratterizzazione per il dottor Rank (che sfocia però a tratti nel macchiettistico), ma in definitiva le tre figure non sembrano molto ben differenziate, soprattutto sotto il profilo vocale. Inoltre si può notare – almeno per quanto riguarda l’ultima replica fiorentina dello spettacolo – come il divo a volte prevalga sull’interprete, con atteggiamenti di eccessivo gigionismo.

Soprattutto nel finale il divertente gioco metateatrale dell’alternanza nei diversi ruoli, che innesca la complicità degli spettatori, rischia di stemperare fin troppo la tensione che invece dovrebbe pervadere la scena. E anche la scelta di rendere Torvald assoluto protagonista della tarantella sembra andare nella direzione di esaltare la simpatia dell’attore, beniamino del pubblico: siamo lontani dalla spietata analisi delle dinamiche di coppia che la regia di Valerio svolge così bene attraverso la stessa danza. Dal canto suo, Marina Rocco ha la presenza e la grazia necessarie per incarnare la Nora fascinosa e determinata voluta da Shammah; manca però forse della maturità richiesta dal ruolo e la sua interpretazione risulta troppo spesso monocorde e priva di sfumature.


Un momento dello spettacolo © Marco Caselli Nirmal
Un momento dello spettacolo 
© Marco Caselli Nirmal

Se anche l’allestimento visto al Teatro della Pergola si caratterizza per una lettura intelligente e originale, quello pistoiese risulta più equilibrato e convincente. L’adattamento di Valerio ha il merito di sottolineare i punti nevralgici della drammaturgia scegliendo un’impostazione essenziale, priva di orpelli. Ridotti al minimo gli interventi dei personaggi di contorno, tagliata la scena del gioco tra Nora e i bambini, che invece acquista uno spazio considerevole (e un sapore un po’ bozzettistico) nello spettacolo fiorentino. Le scene di Giorgio Gori e i costumi di Lucia Mariani proiettano la vicenda in un passato che dialoga con la contemporaneità.

A parte qualche limite precedentemente segnalato, la messa in scena pistoiese risulta efficace. La regia si caratterizza per l’ottima direzione degli attori, per la capacità di cogliere anche gli elementi comici sottesi al dramma e per alcune idee interessanti, come la già citata scena della tarantella, l’evocazione di un vero e proprio stupro consumato nel “nido” coniugale poco prima della sua distruzione e lo spiazzante finale: Nora, rimasta sola in scena, dice a sé stessa le sue ultime battute (straniante il momento in cui restituisce l’anello a un inesistente Torvald) e si toglie la parrucca “sbarazzina” per assumere finalmente le sembianze di una donna matura. Lo spettatore si aspetterebbe a questo punto la celebre uscita di scena che destò tanto scandalo nel 1879. E invece la protagonista torna sui suoi passi: muovendosi come spinta da una forza estranea, finisce per accasciarsi, stanchissima, ai piedi del sofà, elemento centrale del salotto borghese. Tuttavia l’atmosfera onirica che avvolge l’azione crea nuove ombre e incertezze: e se fosse, anche questo, un altro incubo di Nora?




Casa di bambola
cast cast & credits
 
Si rimanda per un confronto alla recensione di Una casa di bambola per la regia di A.R. Shammah di scena alla Pergola di Firenze







Un momento dello spettacolo © Marco Caselli Nirmal
Un momento dello spettacolo 
© Marco Caselli Nirmal














 
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