Calorosi
applausi hanno accolto il debutto italiano di una tra le più celebri pièces di Anton Čechov, Il giardino dei
ciliegi (Livada de vişini), messa
in scena dal Teatro Nazionale di Cluj-Napoca, con la regia di Roberto Bacci, al Teatro della Pergola
di Firenze il 23 e 24 febbraio scorsi. La tournée
italiana della compagnia rumena è iniziata nella ricorrenza dei centodieci anni
dalla prima assoluta della commedia čecoviana, il 17 gennaio 1904 al Teatro
dArte di Mosca con la regia di Stanislavskij,
e dei centodieci anni dalla morte dellautore, il 2 giugno 1904. Alla Pergola è
andato in scena uno spettacolo rispettoso del testo originale e capace di
evidenziare la visione čecoviana del mondo: una commedia che sconfina in una
farsa amara e che analizza perfettamente la lucida incapacità di una futile
aristocrazia in declino di reagire alla propria rovinosa inettitudine. Lo
spettacolo curato da Bacci è lultimo esito della
monumentale storia della messa in scena della pièce di Čechov costellata
di illuminanti regie ed esemplari rappresentazioni che hanno contribuito alla
fama e alla fortuna di questo testo. Dalla prima regia di Stanislavski che, nel 1904, optò per una lettura tragica,
provocando le rimostranze dello stesso autore, fino a quelle più moderne di Jean-Louis Barrault, Peter Brook, Giorgio Strehler e Peter Stein, che hanno rivoluzionato il modo di intendere la messa
in scena del testo čecoviano. Lavori che ne hanno enfatizzato la tensione sottile appesa allambiguità comico-tragica
di personaggi che suscitano insieme compassione, senso di distacco e derisione.
Un momento dello spettacolo © Filippo Manzini Bacci
si pone nel solco della tradizione che assegna il leitmotiv dello spettacolo allinfrazione della “quarta parete” e
alla diretta partecipazione del pubblico, proponendo come elemento di
originalità una messa in scena lontana dal dettaglio realistico e che sconfina
in unatmosfera onirica. Evidente linfluenza di due esemplari allestimenti
come quello di Strehler del 1974, entrato nellimmaginario collettivo per
limpressionante scenografia che immergeva in un bianco vuoto e abbacinante le
vicende di Ljuba e della famiglia Ravenskaja, e quello di Stein del 1989, che
segna un vero e proprio punto e a capo nella storia delle messe in scena di Čechov, optando per una lettura corale che sposta gli
equilibri fra i personaggi e intensifica le relazioni per cercare di chiarire cosa
li muova e li determini. Atmosfera onirica, forte impatto scenografico, intenso
lavoro sullattore e continua relazione con lo spettatore sono le
caratteristiche più evidenti dellultima versione čecoviana andata in scena alla
Pergola. Una
lunga passerella divide in due il teatro e prolunga la scena fino al centro
della platea. Gli spettatori vengono sfiorati dalle entrate e dalle uscite degli
attori, grazie anche a una funzionale scaletta di raccordo tra passerella e
platea. La scenografia è allo stesso tempo essenziale e appariscente in quanto invasa
dal biancore di innumerevoli pezzetti di carta, che ricordano sia i paesaggi
russi innevati che il candore dei fiori del ciliegio. Lessenzialità, invece, è
data dagli unici oggetti di scena: le valigie con cui la famiglia arriva da
Parigi allinizio della pièce e con
cui riparte alla fine e che, alloccorrenza, fungono da divani e poltrone da
salotto. Lefficacia della messa in scena è garantita da instancabili
“attori-acrobati” e dalla loro recitazione che permette allo spettatore di
cogliere lintreccio delle relazioni tra i vari personaggi, nonostante
lostacolo linguistico, in parte aggirato dai sovratitoli in italiano. Gli attori
del Teatro Nazionale di Cluj-Napoca si contraddistinguono per le capacità
musicali e i tempi comici di un teatro che, a
giudicare dallefficacia delle azioni sceniche, appare fondato sulla
costruzione di sincere e solide relazioni tra gli interpreti, e dunque tra i
personaggi, cementate dalla pratica dellimprovvisazione.
Un momento dello spettacolo © Filippo Manzini Ljuba
(Ramona Dumitrean) è il simbolo di
un intero mondo in declino, quello dei nobili padroni, ormai soppiantato
dallavanzata della nuova classe borghese e materialista, rappresentata da
Lopachin (Sorin Leoveanu), il quale,
in seguito allabolizione della servitù della gleba, si carica orgogliosamente
del compito di affrancare la propria stirpe dalla condizione servile. Tra
questi due personaggi, esponenti di due contrastanti modi di vivere, si gioca
la partita della sopravvivenza contraddistinta sia da forti momenti di tensione
e di scontro che da spensieratezza e voglia di fare festa. Il campo di gioco è
un giardino senza tempo che sembra assistere impotente, come lo spettatore,
allavvicendarsi di generazioni irrimediabilmente lontane e in contrasto tra
loro. La
regia propone una lettura corale e ironica, sulle orme di Stein, che valorizza
anche le abilità di ciascun interprete lasciando intravedere la tragicità della
condizione umana appena al di sotto dellapparente giocosità e spensieratezza
dei personaggi. Lo spettatore si trova immerso nel candore del giardino, in un
mondo fantasmagorico popolato da personaggi in bilico tra la vita e la morte,
tra il reale e lonirico. In tal senso sono emblematici il tragicomico
Epichodov (Miron Maxim), contabile
di famiglia, che si presenta al pubblico, rivoltella alla mano, passeggiando
sullorlo della passerella ed esclamando: «non riesco proprio a capire se
vivere o tirarmi un colpo»; la stravagante Šarlotta (Irina Wintze), governante della casa che maschera abilmente la sua
tristezza esistenziale sotto le doti di maga improvvisata; e infine lanziano
maggiordomo Firs (Cornel Răileanu)
che, con una voce profonda e viscerale, appare dal nulla per ammonire le
giovani generazioni, ma non viene mai ascoltato.
Un momento dello spettacolo © Filippo Manzini I colori che prevalgono sono il bianco, dei ciliegi in fiore, e il beige degli
abiti di Ljuba e della sua famiglia, a sottolineare il carattere transitorio di
un mondo in disfacimento. Il solo Lopachin, non a caso, indossa abiti scuri che
si stagliano nettamente sullo sfondo chiaro. Questo personaggio rappresenta il
nuovo che avanza e che si definisce distaccandosi dal vecchio mondo sempre più evanescente.
Sapiente luso del controluce impiegato per accentuare il passaggio dal giorno
alla notte e per caricare di ironia e ambiguità alcune scene come quella
dellennesimo fallito tentativo di suicidio da parte di Epichodov, che resta
completamente nudo in scena, aiutato dalla penombra. Da
segnalare sono anche le scene corali e i momenti di infrazione della “quarta
parete”: Ljuba che, felice per il ritorno nella terra natia e immersa nei
ricordi infantili, cammina appoggiandosi alle poltroncine della platea
sfiorando le teste degli spettatori; la scena corale in cui tutti gli attori
riproducono fischiando il verso degli uccelli che abitano il giardino; ed
infine, la scena della festa in cui gli attori, infaticabili, invadono il foyer del teatro, durante lintervallo
tra i due atti, coinvolgendo gli spettatori stupiti e invitandoli a seguirli in
balli e canti, per poi rientrare tutti insieme in sala a riprendere lo
spettacolo, in realtà mai interrotto. La
scena finale, particolarmente riuscita, racchiude i nuclei tematici della
visione čecoviana: lironia del destino vuole che sia proprio quel giardino,
simbolo di innocenza senza tempo, a
soccombere, insieme allanziano maggiordomo Firs, vittime sacrificali
dellindifferenza di un mondo sempre più accecato dalla spietata logica del
profitto e della sopravvivenza. Firs, pur essendo seduto in scena, è invisibile
agli occhi di tutti e viene dato per ricoverato allospedale e abbandonato nella
confusione del trasloco. Al giardino dei ciliegi, invece, spetta la tragica
sorte dellabbattimento dopo linaspettato ingresso di taglialegna armati di
seghe elettriche. Triste epilogo che lascia il pubblico disorientato,
invitandolo alla riflessione.
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